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Vendita online di prodotti contraffatti, l’Alta Corte di Londra stabilisce che il titolare di marchio può ottenere il blocco dell’accesso ai siti

di Iacopo Pietro Cimino L’Alta Corte di Londra ha recentemente emesso una attesa sentenza stabilendo che i titolari di marchio sono legittimati ad ottenere il rilascio di ordinanze giudiziali atte ad inibire – per il tramite dei fornitori di servizi di accesso ad Internet (Access Provider) – l’accesso degli utenti a siti web mediante i quali siano violati i diritti sul marchio, per effetto della vendita on line di prodotti contraffatti. La decisione – che certamente susciterà accese e contrastanti reazioni – risulta essere tra le prime in Europa con cui, allo scopo di combattere violazioni di marchio, venga accolta una domanda di blocco d’accesso a siti di terze parti, rivolta nei riguardi degli Access Provider. Si tratta, pertanto, di un precedente che sarà verosimilmente seguito da altre domande giudiziali similari, nel Regno Unito come pure nel resto dell’Europa. Sino ad oggi il blocco d’accesso era stato, infatti, concesso ed utilizzato limitatamente alla violazione di diritti d’autore, per l’illecita diffusione di opere protette attraverso la Rete (in Italia anche attraverso il tramite dell’Agcom, ai sensi della Delibera n. 680/13/CONS del 12 dicembre 2013), oltre che nel contesto di una azione penale. In relazione alla vendita on line di prodotti contraffatti (alias, alla violazione dei diritti sul marchio), quanto alle azioni in sede civile, si era sinora reputata esperibile la sola procedura di “notice and takedown”: cioè, la richiesta inviata ad un Hosting Provider (fornitore di servizi di memorizzazione di contenuti on line) di rimuovere dal server il materiale illecito; richiesta eventualmente seguita da un giudizio civile nell’ipotesi di mancata adesione del Hosting Provider alla richiesta di rimozione. I provvedimenti di “notice and takedown” si sono, tuttavia, rivelati assai spesso inefficaci nella pratica, come puntualmente evidenziato nella sentenza in questione: “notice and takedown is ineffective because, as soon as an offending website is taken down by one host, the almost invariable response of the operator is to move the website to a different host. Furthermore, the likelihood is that, sooner or later, the website will be moved to a host, typically based offshore or in a non-Western jurisdiction, which does not respond to notice and takedown requests. Still further, once that happens, the intellectual property owner faces obvious difficulties in jurisdiction and/or enforcement if it attempts to bring proceedings against the host to compel it to take down the website”. Un ordine rivolto ai fornitori di servizi di accesso ad Internet avente ad oggetto l’inibizione dell’accesso dell’utenza ad un determinato sito tramite “target”, tramite il quale sia venduta o promossa in vendita, merce contraffatta si rivela – di contro – assai più efficacie. Ciò anche in considerazione del fatto che – diversamente dalla procedura di “notice and takedown” – nell’ipotesi frequente di comportamenti elusivi dell’ordinanza interdittiva posti in essere dai titolati dei siti “target”, gli ordini di blocco d’accesso possono essere semplicemente “aggiornati”, anche attraverso l’ausilio di sistemi informatizzati: non richiedendosi, pertanto, l’emissione di un nuovo ed ulteriore provvedimento giudiziale. “(…) one of the key advantages of website blocking from the rightholders’ perspective was that the updating machinery built into the orders provided a mechanism for dealing with circumvention by the website operators which was not only more effective in the long run than notice-and-takedown, but also less burdensome. … it was less burdensome because it enabled the rightholders to use automated procedures such as Incopro’s BlockWatch to update the orders and hence the blocking carried out by the ISPs”. Ulteriore peculiarità dell’azione conclusasi con la sentenza in oggetto è quella di essere stata condotta – in analogia con le “Injunctions against service providers” di cui alla Section 97° del Copyright, Designs and Patents Act del 1988 – unicamente nei riguardi degli Access Provider e non già nei confronti dei titolari dei siti “target”. “By this application Richemont seek orders requiring the ISPs to block, or at least impede, access by their respective subscribers to six websites which advertise and sell counterfeit goods (“the Target Websites”). Richemont contend that the operators of the Target Websites thereby infringe the Trade Mark”. La questione fondamentale, affrontata nel giudizio, ruotava pertanto attorno al quesito se i benefici derivanti dalla reclamata misura di blocco d’accesso a siti web utilizzati per violare diritti di marchio, possano giustificare i costi di attuazione della misura stessa, che sono imposti ai fornitori di servizi di accesso ad Internet. I would encourage the two sides to have constructive discussions over ways in which the process can be streamlined so as to make it more efficient for both. Nevertheless, it is obvious that website blocking orders impose compliance costs on the ISPs, whereas notice-and-takedown requests to the hosts do not. Tale interrogativo, centrale per la valutazione di proporzionalità della misura interdittiva richiesta, è stato risolto positivamente dall’Alta Corte di Londra, in analogia a quanto già avviene in relazione alle “Injunctions” di cui alla precitata Section 97° del Copyright, Designs and Patents Act del 1988. 28 ottobre 2014

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