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Immuni, Gambino: governo rafforzi app, altrimenti inutile e fuorviante

“Il dibattito pubblico che si sta sviluppando intorno all’app Immuni è sbilanciato su problemi che non riguardano affatto la salute dei cittadini e la lotta contro il riacutizzarsi del virus”. Lo ha affermato il prof. avv. Alberto Gambino, presidente dell’Italian Academy of the Internet Code e direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia, intervistato su Radio 1 nel corso della trasmissione Giorno per giorno.

“Si è voluto escludere il tracciamento per GPS, strumento efficace per avere una fotografia della realtà dei contagi su base territoriale”, spiega il prof. Gambino, “e anche il meccanismo della volontarietà dello scaricamento dell’applicazione può portare ad esiti opposti agli obiettivi della salvaguardia della salute. È evidente infatti che se la app dovesse essere utilizzata da una minoranza dei cittadini, da un lato si genererà una falsa aspettativa di sicurezza da parte di chi la utilizza e dall’altra i contagiati asintomatici continueranno a mietere vittime”.

“A questo punto, per salvare il salvabile”, conclude Gambino, “la si renda obbligatoria almeno nelle zone ‘rosse’ dove il virus continuerà a serpeggiare ancora per mesi, e si ripristini il tracciamento satellitare così da poter localizzare con efficacia le fonti di contagio”.

Clicca sul video per ascoltare l’intervista completa.

Clicca sul video per ascoltare invece l’intervista di Alberto Gambino a Radio Radicale.

Alberto Gambino è stato intervistato, sullo stesso tema, anche dal quotidiano online Affaritaliani.it, al quale ha dichiarato: “Inizialmente ero molto scettico sulla possibilità di avere una app che tracciasse i comportamenti rilevanti per la tutela della salute collettiva e che fosse rispettosa della privacy. Uso il verbo all’imperfetto perché dopo avere visto i contenuti di Immuni, mi pare proprio che questa applicazione così com’è stata progettata sia sostanzialmente neutrale rispetto al tema del rispetto della privacy, ma che molto dipenda dall’utilizzo e dalle regole definite dal Governo. Per quanto riguarda il trattamento dei dati personali riguardanti la salute, che è il punto chiave, la competenza sarà comunque dell’autorità pubblica-sanitaria e qui occorre prevedere che una volta terminata l’emergenza se ne scongiuri in modo assoluto un utilizzo improprio. È evidente che in questa fase di emergenza l’autorità sanitaria potrà sapere più cose rispetto alla nostra salute di quanto non avvenga in momenti ordinari”.

“Gli stimati amici del centro Nexa del Politecnico di Torino hanno lanciato una lettera aperta al Governo in cui manifestano preoccupazione che in questa vicenda possano insinuarsi interessi che hanno priorità diverse da quella della tutela dei diritti fondamentali dei cittadini, con soluzioni in deroga alla normativa a protezione dei dati”, ha proseguito Gambino. “Sono d’accordo ma con un caveat: anche la salute è un diritto fondamentale, e, secondo l’art. 32 della Costituzione, non solo individuale, ma anche un interesse collettivo. È dunque un problema di bilanciamento. Per questo non me la sento di sposare a priori le soluzioni cosiddette decentralizzate, con dati anonimi in modo che non sia consentito di risalire all’identità delle persone. Ma allora la tutela della salute collettiva retrocede davanti ad interessi singoli. Come faccio – io Stato – a mettere in piedi misure di prevenzione della popolazione se non posso sapere chi sono i contagiati? Mi pare ci sia un’eccessiva sfiducia nelle autorità sanitarie italiane”.

Per continuare a leggere l’intervista di Affaritaliani.it ad Alberto Gambino, clicca qui.

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