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Come big data e intelligenza artificiale hanno rivoluzionato lo studio delle epidemie

Alessandro Vespignani è professore di informatica e fisica alla Northeastern University di Boston, dove dirige il Network Science Institute. Da anni lavora nel campo delle reti complesse e dei metodi computazionali per prevedere l’evoluzione delle epidemie. Nel 2019 ha pubblicato un saggio intitolato L’algoritmo e l’oracolo (Il Saggiatore) in cui racconta come la rivoluzione digitale, l’intelligenza artificiale e i big data hanno consentito straordinari progressi nel campo delle previsioni scientifiche.

L’epidemia di COVID-19, causata dal coronavirus SARS-CoV-2, probabilmente scoppiata nella città cinese di Wuhan, minaccia di diffondersi in modo massiccio anche in altri paesi grazie alla straordinaria capacità di movimento della nostra specie. Diventa dunque quasi scontato dire che in questo scenario i dati che descrivono dove ci troviamo e come ci spostiamo sono di fondamentale importanza per tentare di prevedere il modo in cui un virus si diffonderà tra la popolazione.

L’epidemiologia computazionale, la disciplina che utilizza modelli predittivi in campo epidemiologico, è davvero la nuova arma che abbiamo per fronteggiare le epidemie?

Le epidemie vengono combattute sia “in prima linea”, dai medici e dagli infermieri, che spesso sono i veri eroi di queste battaglie, sia nelle “retrovie”, grazie all’epidemiologia. Partiamo dal principio che esistono diversi modi di fare epidemiologia. Quella computazionale si è sviluppata negli ultimi venti-trent’anni come branca di quella classica. Svolge il lavoro, per così dire, di intelligence. Tenta cioè di prevedere le mosse del “nemico”, in questo caso il virus responsabile dell’epidemia, e di comprendere aspetti del fenomeno che altrimenti ci sarebbero sconosciuti o che verrebbero poi scoperti sul campo in modo imprevisto e tardivo. È un approccio che permette di affrontare il problema in maniera più efficiente.

Come funziona il vostro lavoro?

Produce previsioni in campo epidemiologico attraverso un metodo simile a quello utilizzato per le previsioni metereologiche. Prendiamo l’epidemia di COVID-19 attualmente in corso. Sappiamo che in Cina e non solo è stato confermato un certo numero di casi. Noi usiamo dei modelli matematici che integrano il meccanismo di trasmissione della malattia (cioè come la malattia si trasmette da individuo a individuo) con una simulazione molto realistica della popolazione mondiale, che ricrea il modo in cui viviamo, come ci muoviamo e come interagiamo fra noi.

Nel libro lei spiega come l’avvento dell’intelligenza artificiale abbia reso possibile ottenere nuove tipologie di dati, sempre più precisi. In che modo?

Certamente negli ultimi dieci anni l’epidemiologia computazionale è cambiata. Prima il lavoro era basato su modelli matematici e dati epidemiologici. Oggi utilizziamo anche l’intelligenza artificiale, il machine learning e tutto ciò che chiamiamo big data. Grazie all’intelligenza artificiale possiamo unire, per esempio, il dato che ci dice quante persone vivono in una certa area (per quanto riguarda l’Italia, può essere un dato Istat) alle immagini satellitari che segnalano il livello di illuminazione generato da città e villaggi. Gli algoritmi sono in grado di legare questi due dati, fornendo mappe che illustrano la distribuzione della popolazione con una precisione fenomenale.

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