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Coronavirus, sei lezioni digitali da non dimenticare finita l’emergenza

Stiamo imparando molto dalla situazione di emergenza che stiamo affrontando, molto sul nostro Paese, molto su noi stessi, molto sulle persone che ci sono più vicine.

E l’emergenza ci sta cambiando, sta, inesorabilmente, ridisegnando le nostre priorità come singoli e come Paese e ci sta facendo scoprire che esistono modi nuovi e diversi per lavorare, per studiare, per informarci, per fare la spesa, per socializzare e, più in generale, per vivere il nostro quotidiano.

L’emergenza ci sta anche insegnando molto a proposito dell’Italia digitale e vale la pena fissare, nero su bianco, qualche prima lezione importante da non dimenticare neppure quando l’emergenza sarà finita.

La prima.

L’ipertrofia normativa, l’eccesso di normazione, la pretesa, l’ambizione vien da dire la perversione di regolamentare tutto fin nel dettaglio, quella di stabilire per legge non solo cosa si può fare e non fare ma anche come lo si può fare, usando quale tecnologia è uno dei mali più gravi che affligge il nostro sistema, rallenta l’innovazione e rende complesso affrontare situazioni di emergenza.

Quanto tempo e quante energie in meno avremmo dovuto investire in queste settimane a elaborare e approvare deroghe su deroghe per abilitare lo smartworking nel pubblico e nel privato, la scuola in digitale, la medicina a distanza, la consegna di beni attraverso soluzioni innovative e dozzine di altre attività se solo non avessimo avuto così tante leggi, così tanto di dettaglio in vigore.

La prima lezione è, dunque, farla finita una volta per tutte di correre a scriver leggi quando non servono soprattutto in ambito tecnologico.

La seconda.

L’Italia dell’emergenza è letteralmente divisa tra chi ha la fortuna – perché solo di questo si tratta almeno guardando al problema dalla parte dei cittadini – di vivere in un’area raggiunta da un’adeguata copertura di banda larga e chi questa fortuna non ha. I primi possono lavorare in smartworking senza problemi, i secondi no e i figli dei primi possono continuare a studiare online, mentre i figli dei secondi no. E non basta perché i primi possono informarsi online senza problemi, interfacciarsi con l’amministrazione digitale, farsi visitare a distanza e comprare ogni genere di prodotto o servizio via internet. Non così per i secondi.

La seconda lezione è, dunque, che l’infrastruttura di connettività del Paese non è un optional, non è qualcosa della quale possa continuarsi a fare a meno ma è, al contrario, parte integrante dell’infrastruttura portante del Paese dal punto di vista sociale, democratico, culturale, educativo e economico.

La terza.

Un’altra dolorosa divisione dell’Italia dell’emergenza è quella delle competenze digitali.

Da una parte chi le ha e dall’altra chi non le ha.

Chi le ha, sebbene cambiando le proprie abitudini, continua a lavorare, a studiare, a vivere un quotidiano diverso ma comunque accessibile grazie alle tecnologie digitali.

Chi non le ha – e non riesce a recuperarle in fretta – si ritrova più isolato di quanto l’esigenza di contenimento del virus non imponga.

La terza lezione è, quindi, semplice davvero: nel 2020, emergenza o non emergenza, le competenze digitali di base rappresentano un presupposto di cittadinanza di cui ogni cittadino dovrebbe essere in possesso.

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