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Click-Community e il rovesciamento del rapporto impresa-consumatore

(via www.sistemaproprietàintellettuale.it) di Stefano Sandri* Nell’esperienza comune, il consumatore costituisce l’interlocutore privilegiato al quale l’impresa s’indirizza, secondo i paradigmi della comunicazione. Soggetti predefiniti, che con l’attività d’impresa interagiscono, in modo che si vorrebbe congruo alle finalità che questa persegue.

Attorno al concetto centrale del consumatore, di chi fa atto di consumo perché acquista un prodotto o utilizza un servizio, esiste una certa confusione terminologica che di per sé non avrebbe molta importanza al di là del mero dato lessicale, se non riflettesse l’evidente mancanza di approfondimento di questa figura che riassumerei nella formula provocatoria: ma cosa passa nella sua testa?

Il consumatore: questo sconosciuto 

Per semplificare, il comportamento del consumatore non è che un aspetto del comportamento umano. Di conseguenza ci si rivolge spesso alla psicologia sociale e cognitiva per prevedere e capire le attività del consumatore sul mercato. Allora, per intendere meglio come il consumatore si atteggi concretamente nel processo decisionale che lo porta ad un atto di acquisto o all’utilizzazione di un servizio, si deve ricordare che si riconoscono cinque passaggi: riconoscimento del problema, ricerca di informazioni, valutazione di alternative, acquisto e valutazione post-acquisto.

Ritroviamo dunque la conferma che il riconoscimento della forma rappresentativa della P.I., di volta in volta considerato, costituisce il passaggio preliminare ad ogni successiva valutazione della sua capacità attrattiva (momento dell’attenzione) e della sua rievocazione (momento della memoria) che permetto la comparazione tra diverse identità (momento della valutazione  alternativa ed atto d’acquisto/uso servizi).

D’altro canto, comprendere come i consumatori operino le loro scelte e vedano le differenze tra quelle rappresentazioni dipende in larga misura dal contesto che le circonda.

Dal modo come il consumatore si muove, emerge la connotazione dinamica del processo decisionale in tutte le rappresentazioni della P.I., che è un processo del fare.                                 

In altre parole, il modello decisionale va azionato in riferimento alla fattispecie di volta in volta considerata.

Ora, sappiamo, esprimendomi con una metafora, che la memoria funziona così: l’informazione è come una merce che, una volta fabbricata, viene immessa in un  magazzino, dove viene selezionata e ordinata  per qualità e quantità. Lì rimane, identificata opportunamente con i suoi codici di riferimento, per essere ritenuta all’interno del deposito all’ingrosso (memoria a lungo termine, MLT). Qui verrà conservata fino a che verrà trasportata al punto vendita del dettagliante (memoria a breve termine, MBT), dove sarà selezionata e recuperata per essere, on demand immessa sul mercato. L’informazione, stabilizzata nel ricordo, verrà allora decodificata e confrontata dall’utente con le precedenti informazioni in modo da operarne, attraverso il call-out (riconoscimento),  quel confronto che ne determinerà la decisione  finale (acquisto o utilizzazione dei servizi), evitando – possibilmente – di confondersi.

L’impresa moderna crea e utilizza le sue creazioni e le immaterialità che ne conseguono come strumento privilegiato di comunicazione dei propri messaggi per raggiungere i propri target e provocarne un consenso che si concretizzi in comportamenti conseguenti, e quindi, in primo luogo, economicamente utili. Peraltro, l’apporto del consenso oggi va rivisto, come dirò avanti. L’impresa vive, infatti, del differenziale tra costi e ricavi, ai quali concorre, in primo luogo, la reiterazione dei comportamenti dei consumatori. Questi messaggi sono di varia natura e destinati non solo a distinguere, ma sono sempre più rivolti a svolgere diverse funzioni, come quella pubblicitaria, di marketing, di ritorno degli investimenti, di conservazione e promozione della corporate image, del consolidamento della memoria collettiva, della stimolazione dell’innovazione, della crescita culturale dello scenario su cui l’impresa opera.

In questa strategia, altamente, concorrenziale, il ruolo del consumatore finale è determinante: essenziale, in particolare, è la considerazione di come percepisce le rappresentazioni della P.I. Si comprende dunque facilmente l’interesse dell’impresa a che le rappresentazioni si presentino in termini di stabilità di forma (identità), e raggiungano la più estesa e persistente notorietà sul mercato, attraverso un’adeguata diffusione sia nello spazio sia nel tempo (spazio-tempo). In questa prospettiva, il riconoscimento rinvia ai valori essenziali percepibili da parte del ricettore dei messaggi, (valori), quali quelli della emotività, della razionalità e dell’esperienza.

Nella memoria confluiscono, filtrate dall’attenzione, informazioni di cui siamo o meno consapevoli. Le prime si consolidano nelle esperienze che ci colpiscono direttamente e come tali vengono immediatamente registrate, le seconde entrano nel nostro patrimonio cognitivo più nascosto, quello delle emozioni, che restano al di là del nostro apprezzamento razionale. Comunque sia, sarà la nostra memoria che ci dirà qual’é l’identità della forma rappresentata e che ci insegnerà a come riconoscerla tra tante altre, come dal grafo che segue.

Riguardo alle emozioni (Sant’AGOSTINO pare abbia detto, più o meno: “so cosa sono, ma non chiedetemi di  descriverle“), il modello mostra attraverso un’accentuazione e dominanza (tre freccie) la prevalenza di questo componente nel comportamento del New-con. Antonio DAMASIO, il famoso neuroscienziato psicologo e saggista portoghese contemporaneo, ha dimostrato come, al contrario di una tradizione culturale che ha sempre svalutato le emozioni perché, dai tempi di CARTESIO, perturberebbero la serenità della ragione, esse siano invece alla base del buon funzionamento della mente: se l’uomo perde la capacità emozionale non è in grado di essere ragionevole. L’illustre studioso mette in evidenza l’azione reciproca del corpo e del cervello, che costituiscono un organismo cognitivamente unico e indissociabile. La ragione non potrebbe funzionare correttamente senza le emozioni, ovvero senza lo stretto collegamento con il corpo, che offre costantemente la materia di base con cui il cervello costruisce le immagini da cui origina il pensiero.

Questa rivelazione scientifica si rivela, evidentemente, di grande importanza per le implicazioni che se ne traggono nell’interpretazione e applicazione delle rappresentazioni oggetto della P.I. ai giorni nostri. Infatti, le analisi di quelle rappresentazioni che, di norma, vengono condotte all’insegna della razionalità del sillogismo fatto-norma-fatto, a garanzia del principio della certezza del diritto, devono essere attualizzate, nel contesto della  società del Cambiamento, lasciando lo spazio necessario per l’emersione sempre più palese dell’emotività, al netto dell’estetica e della morale.

Resta comunque, come è stato osservato, che “i processi emotivi possono esser meglio spiegati e compresi se interpretati come fenomeni di tipo sociale che di tipo individuali. Le emozioni infatti possono convogliare con immediatezza verso l’altro informazioni circa i propri sentimenti, le proprie intenzioni sociali  e  il proprio orientamento verso la relazione”. In piena coerenza e conferma dell’operatività della memoria collettiva(cfr.post).

Quanto alla razionalità, deve ricordarsi che l’apprezzamento razionale da parte del consumatore si completa percettivamente al momento della cognizione intellettiva del segno, cioè al secondo livello di profondità della percezione del segno, successivamente al momento della sua prima cognizione intuitiva. L’intervento in questa area della impresa si inscrive pertanto nella politica di rafforzamento e conservazione del ricordo del primo atto d’acquisto del New-con. Allo stesso tempo, occorre considerare che ogni processo decisionale – nella sua costruzione – è interessato da quel fenomeno che da tempo è stato riconosciuto nella c.d. razionalità limitata, per cui la libertà decisionale soffre di condizionamenti cognitivi e ambientali.

L’esperienzalità, infine, costituisce una componente essenziale e costante nella percezione della formazione dei ricordi e quindi della memoria che alimenta la comparazione tra i segni operata dal consumatore.

Tuttavia non è possibile sottrare questo dato alla sua intrinseca relatività che si traduce nell’apprezzamento fortemente soggettivo delle sue evidenze. Ma quello che interessa nella valutazione del Cambiamento è il fatto che il valore di questo paradigma sta declinando vistosamente nel patrimonio delle immaterialità di cui dispone il New.con., teso a vivere un presente senza progettualità che rinnega, o almeno contesta, il passato in sé e nella sua rievocazione esperenziale.

Naturalmente questa rappresentazione è frutto di un’estrema semplificazione, dal momento che l’impresa nelle sue scelte, azioni e strategie, dovrà tener conto del concorso di un rilevante numero di input.

Quanto appena detto, può spiegare perché i consumatori sono consapevolmente indotti a comprare i prodotti falsificati. La premessa di questo comportamento sta nel fatto che l’associazione di quei prodotti ai prodotti originali – specie se prestigiosi – provoca una sensazione positiva. La diffusione della pratica del look-alike ad esempio, agisce come una sorta di apprendimento guidato che attraverso la ripetizione e l’associazione induce alla generalizzazione dello stimolo, una volta che il consumatore è educato, in termini pavloviani (cioè di reazioni automatiche agli stimoli). Quando il consumatore si incontrerà in una situazione analoga di stimolazione generalizzata reagirà con modalità associative come in una situazione di stimolo condizionato .

 

Consumatore o consumatori?

Come è noto, esistono e si classificano diversi modelli di memoria. Tra di essi la  memoria collettiva riveste un posto di assoluto rilievo. Il pubblico dell’impresa, infatti, non è evidentemente il singolo, l’individuo (anche se mi piace molto pensare alla casalinga di Voghera), ma la sua espressione quantitativamente rilevante, la Collettività, la Comunità, o più semplicemente, la generalità dei consumatori, il pubblico con la sua memoria collettiva. Bisogna però intendersi: se questa fosse ritenuta semplicemente la risultante della sommatoria della memoria dei singoli, le cose sarebbero relativamente semplici. Ma non è così.

Scrive a riguardo Emil DURKHEIM, antropologo e sociologo di fama:

La coscienza collettiva[…](è) collocata al di fuori e al di sopra delle contingenze individuali e locali, essa considera le cose nel loro aspetto permanente e essenziale che fissa in nozioni comunicabili“, rimbalzando il discorso nell’alveo naturale della comunicazione tra impresa e ricettore. L’analisi strutturale della memoria – che i limiti di questo scritto non mi consentono di approfondire –  ci porta a dire che la memoria collettiva non si limita a condizionare quella individuale, ma ne rappresenta la condizione originaria.

Dunque, attraverso il rinvio della memoria collettiva, dobbiamo prender atto che

non esiste una Comunità, ma che ci sono tante comunità

a seconda di come quella memoria si manifesta.

A questo punto, occorrerà tenere in considerazione che l’impresa non è interessata ai comportamenti individuali soggettivamente intesi, ma a quelli condivisi dalla più ampia comunità dei suoi destinatari, in modo che sia assicurata la più estesa diffusione dei comportamenti utili, le scelte d’acquisto dei prodotti/servizi, e della loro ripetizione.

Dal consumatore individuale si passa così al piano superiore del  ricettore del messaggio convogliato dalle varie rappresentazioni della P.I., ciò che tuttavia impone di dare una risposta sul problema di come la memoria individuale si rapporti, appunto, alla memoria collettiva del consumatore, dal momento che senza il ricordo  non può attivarsi alcun comportamento individuale. Il ricettore, tuttavia, non è mai solo, come insegna Maurice HALLBACHS, il filosofo che ha inventato la memoria collettiva, ma è attore su un palcoscenico, che vede nella mise en scene  (Emil GOFFMANdello sfruttamento e della tutela  delle creazioni intellettuali, altri protagonisti: l’impresa, i suoi concorrenti, i suoi diritti e appunto i consumatori, con i loro obblighi, le loro aspettative, la loro responsabilità, le loro proposte comunicazionali.

Dalla pluralità delle comunità, emergono quei connotati di neutralitàcontestualitàmobilità e continuità che costituiscono, a mio avviso, lo scenario su cui si muove oggi il New-con.

La prima conseguenza giuridica che se ne trae è che il ricettore, quando entra in gioco nella P.I., assume un aspetto paradigmatico, nel senso che occorre prescindere dalle sue impressioni soggettive, che sono invece alla base delle sue risposte individuali

 E pare evidente come questo approccio può indurre criticità interpretative di non poco momento, se consideriamo la ricorrenza determinante del parametro della impressione nel sistema normativo della P.I. (ad esempio, nei giudizi di confondibilità dei marchi, nell’utilizzatore informato, nel design, nella configurazione del plagio nelle opere d’autore).

Il fatto è che i ricordi non affiorano per rievocazione dalla sola coscienza individuale, ma si formano in ambito sociale, nei quadri (gruppi) sociali ai quali ogni individuo appartiene (il partito, la squadra di calcio, il circolo dei bocciofili, la famiglia e i parenti, e via dicendo).

Può dirsi allora che

la memoria collettiva designa il patrimonio memoriale di gruppi connotati da un forte collante identitario.

L’importanza della memoria collettiva nel consumatore, per la verità, è stata da tempo riconosciuta nella P.I. (Pensiamo al marchio di rinomanza, all’associazione nel rischio di confondibilità, allo stato dell’arte nelle invenzioni, al pubblico dominio nel diritto d’autore, all’utilizzatore informato, situazioni tutte che rimandano alla globalità delle conoscenze e delle esperienze  condivise).

Ma quale sia il peso di questo patrimonio nel presente momento storico è una domanda che solleva un dubbio a dir poco inquietante. Il gruppo, nella società contemporanea, ha frammentato, parcellizzato e segmentato il gruppo inteso come fondante della comunità-istituzione. Sia all’interno della Rete che altrove è il gruppo quello che si ritaglia lo spazio di sopravvivenza. Come è stato da ultimo acutamente notato (GHIDINI,CAVANI) l’impresa sempre più agisce, e si presenta, nel mercato in ragione dei diversi rapporti, e reti di rapporti che intrattiene, per cu “non si declina più solo in termini di fonte produttiva, bensì più ampiamente in termini di ‘paternità commerciale’ …a esser mutata non è tanto mutata la funzione giuridica, ma l’oggetto della stessa”.

Ma accanto alla nascita di nuovi gruppi assistiamo anche all’estinzione di alcuni gruppi-istituzioni, come quello della famiglia.

Quali linguaggi, dunque, deve cercare e adottare l’impresa per interloquire con un target che non si riconosce più in una realtà esterna radicalmente cambiata, e sembra perdere il suo valore storico, culturale e identitario, quando le regole della percezione ci insegnano che attenzione e ricordo affondano in quei valori le radici cognitive? Come continuare a basare la capacità distintiva di un segno sulla rievocazione di un ricordo, che nel target di maggior interesse per le imprese ha espulso la componente essenziale della memoria di un passato che, almeno per le nuove generazioni,  non significa più niente?

Credo a questo punto che

il concetto di memoria collettiva debba essere ripensato, o meglio ricondotto all’interno di quel sistema chiuso di circolazione delle informazioni che la nostra generazione non è più in condizione di capire e può soltanto limitarsi a supporre, senza potervi entrare.

KEEP OUT, è scritto sulla porta delle stanze dei ragazzi. Appunto. In questo senso, l’avvento prepotente del gruppo sembra sostitutivo del concetto di comunità.

L’unità del gruppo, evidentemente, va nuovamente tarata sui vincoli inter-associativi che la Rete di continuo propone, alimenta e rapidamente sostituisce sulla nuova dimensione temporale passato-presente-futuro che ne deriva, come nella società liquida, preconizzata da Zygmunt BAUMAN. Arduo il compito e la responsabilità degli uomini di marketing, costretti a costruire brand, segni, immagini per tramettere i messaggi delle imprese a un target volatile che non reagisce secondo le regole della percezione tradizionale di fronte al segno, per non parlare del Giudice che lo dovrebbe interpretare.

 

Del consumatore medio

Ancora: ha senso parlare nella Società del Cambiamento di un consumatore medio, come piace molto al lessico giuridico? Siamo nell’era della comunicazione:

comunico, dunque sono, tutto è comunicazione, anche se non tutto è dialogo.

Qual è l’impatto di questa presenza, sempre più invasiva e pervasiva, nella disciplina giuridica degli istituti della P.I. per quanto riguarda l’identificazione del suo naturale interlocutore, il ricettore? Nonostante l’emersione sempre più evidente di una maggiore attenzione a questi aspetti da parte della giurisprudenza sopra tutto comunitaria,, non siamo ancora pervenuti ad una risposta soddisfacente.

Uno dei parametri giuridici più usati e abusati alla stregua del quale va condotto il giudizio di distintività e tutelabilità delle varie rappresentazioni è quello del c.d. consumatore medio. Con questo concetto, tradizionalmente, la giurisprudenza non fa altro che individuare il metro probabilistico del consumatore di normale intelligenza, diligenza e avvedutezza. Questo metro, tuttavia, altro non è che un modello astratto, puramente teorico, creato dagli interpreti (e, in particolare, dai Giudici) esclusivamente – lo scrivo senza ombra di polemica – a proprio uso e consumo. Non a caso, si ripete – con formulazione standard – che il consumatore è un modello mediale, perché non va considerato particolarmente accorto, ma neppure eccessivamente distratto o sprovveduto. Tuttavia non si va più in là di queste affermazioni piuttosto banali.

E’ pur vero, tuttavia, che la Corte di Giustizia da tempo sostiene che quel criterio deve essere rapportato alla natura dei prodotti/servizi, con ciò avvicinandosi alla realtà del mercato. Nell’applicazione pratica dell’identificazione del pubblico di riferimento questa apertura ha permesso infatti di cominciare a segmentare le categorie dei consumatori.

Tutti abbiamo ben presente, infatti, che la capacità di discernimento media del ricettore non è di per sé aprioristicamente definibile, perché essa per prima varia a seconda del contesto in cui opera. Nella Click-Community, oltre tutto, anche distinzioni che si danno per acquisite, come quelle che scaturiscono dal modello dell’end consumer e  del professional  vengono messe in discussione: il mio nipotino di cinque anni oggi esibisce una competenza informatica nell’uso dello smart phone (sembra passato un secolo quando lo chiamavamo telefonino) che mi relega nell’angolino del disinformato.

Dunque,

il concetto di consumatore medio è il risultato di una fictio juris

giurisprudenziale, avallata dalla dottrina, che non tiene più nel Cambiamento e che esige un approccio più analitico, realistico.

 

Del primato e della prevaricazione dell’immagine

Ho fin’ora cercato di ricordare, allo stato dell’arte, come il consumatore tradizionale si muove, reagisce e decide quando è in gioco la P.I., apportando qualche necessario chiarimento e correzione.

Prima di tentare di capire chi sia oggi il New-consumer, mi pare necessario rilevare alcune connotazioni essenziali che caratterizzano li Cambiamento che stiamo vivendo (alcune le ho già anticipate) e che lo determinano. Infatti, la Click-Community è il mondo delle immagini perché figlia dell’apparenza. Occorre dunque confrontarsi con il significato di questo ossimoro: la realtà dell’apparenza.

L’esaltazione dell’immagine trova un fertile terreno nella corrente attitudine dell’individuo quando viene intesa come rappresentazione soggettiva del ‘‘. La Selbstandarstellung, l'”autorapppresentazione“, corrisponde infatti ad una tendenza geneticamente presente in ogni vivente, umano o animale, di presentarsi, di manifestarsi. C’è, dunque, un bisogno vitale di esibirsi, di apparire, di suscitare ed attrarre l’attenzione dell’altro, attraverso l’ostentazione di richiami che possono essere finalizzati a un richiamo sessuale, a creare uno stimolo imitativo o semplicemente  instaurare un rapporto.

La semplice esistenza positiva non è sufficiente, bisogna apparire

cioè  – come è stato detto – dar forma nel campo del visibile ( ma può trattarsi anche di manifestazioni sonore o olfattive) alla singolarità di ciò che si è. Nel New-con la autorappresentazione trova la sua naturale capacità espansiva nelle opportunità mediatiche offerte dalla Rete e nella relativa disponibilità di mezzi particolarmente efficaci allo scopo, in particolare nei segmenti costituiti dagli articoli di lusso o trendy.

Di recente, Nicholas MIRZOEFF, teorico contemporaneo della cultura visuale, ha esplorato il modo in cui diamo forma alle immagini e come queste, a loro volta, plasmino la nostra esistenza, esaminando in una prospettiva storica che va da Walter Benjamin, Michel Foucault  Gilles Deleuze, i numerosi fenomeni della cultura contemporanea, a cominciare dai selfie“una forma di autoritratto non più appannaggio esclusivo delle élite ma strumento con cui la maggioranza globale dialoga con se stessa”.

Il potere delle immagini è cresciuto a dismisura. Con l’avvento dei nuovi media, la loro produzione è cresciuta vertiginosamente e la loro circolazione è così pervasiva da scandire ogni momento della nostra vita.

L’immagine è diventata una commodity, una merce come un’altra, data la facilità con cui è possibile produrre immagini, una operazione alla portata di tutti garantita da un qualsiasi smart phone.

Questa mutazione, tuttavia, non esclude quello che a noi interessa: la comprensione del rapporto tra il New-con e la sua attuale percezione dell’immagine, buona o cattiva che sia, così come in fatto si è determinato nella Click-Community. E questo rapporto va approfondito, avendo sempre davanti a noi l’immagine, visiva o, meglio,   visiva-testuale, della rappresentazione che di volta in volta ci propone la P.I. Quello che cambia, invece, non può che essere la strategia di una moderna impresa che deve esser consapevole del mutamento intervenuto nell’indirizzarsi al suo pubblico quando viene raggiunto da un messaggio visivo.

Comunque sia, il nuovo rapporto tra il New-con e l’immagine nella sua fruizione, apportato dal Cambiamento, richiede una attenta e cauta analisi da parte dell’impresa prima che affrettate scelte la coinvolgano in decisioni irreversibilmente errate, con le conseguenze intuitive che ne seguono.

Se l’immagine, in tutte le sue articolazioni e manifestazioni, è pur sempre riconducibile al fatto cultura, non è detto però che il processo degenerativo dell’immagine debba essere necessariamente irrefrenabile. L’mmagine, infatti, può anche rappresentare nelle nuove opportunità per il diritto della P.I. Lo dimostra l’emergente successo del visual merchandising.

 

Tempo e spazio: criticità

Altro connotato imprescindibile della Click-Community è il fattore temporale-spaziale. Si comprende, infatti, l’interesse dell’impresa che utilizza le rappresentazioni della P.I. a che raggiungano la più estesa e persistente notorietà (notorietà) sul mercato, attraverso un’adeguata diffusione sia nello spazio sia nel tempo (diffusione).

Conformemente alla concezione che vede in quelle rappresentazioni uno strumento dinamico, e non statico, della concorrenza, l’incidenza del fattore temporale rivela tutta la sua importanza. Il tempo, o meglio il limite temporale, costituisce infatti la cerniera tra l’interesse dell’impresa allo sfruttamento delle esclusive garantite dalla P.I. e l’interesse generale alla libera utilizzazione e circolazione delle idee e dell’innovazione.  Tutti i diritti della P.I. sono soggetti, infatti, a dei limiti temporali di protezione legale, oltre i quali la concessione del diritto di sfruttamento in esclusiva deve cedere il passo alla tutela dell’interesse generale della Collettività e della libera utilizzazione e circolazione. 

Il fattore temporale, inoltre, incide direttamente nella patologia di quei diritti: basti pensare a fenomeni come quelli della conversione del segno, usato nel tempo, in un marchio o altri segni distintivi, agli istituti della decadenza, della convalidazione, della volgarizzazione, della caduta in pubblico dominio, dell’esaurimento e la coesistenza di più diritti, del consolidamento dello stato dell’arte nelle invenzioni.

Fatta questa premessa, la dimensione temporale nella Click-Community risulta completamente stravolta. Diversamente da quanto avvenuto sinora nella storia, in cui i cicli si sono succeduti periodicamente e lentamente nell’arco di secoli – e non c’è bisogno di citare Giambattista VICO – il Cambiamento ha un ritmo vorticoso e parossistico, al quale concorrono diversi fattori: l’accelerazione dell’innovazione tecnologica e del tasso di obsolescenza dei nuovi tools informatici, l’avvento dei nuovi stili di vita, l’impatto dei media nel quotidiano corrente e la sostituzione dell’informazione alla comunicazione, l’invasiva dominanza dell’immagine, la decadenza della progettualità, la ristrettezza degli orizzonti perseguiti.

Un esempio significativo tratto dal mondo della moda è quello del fast fashion “che sta impattando la fascia alta del mercato e come le grandi griffe debbano rimodulare le loro strategie di proprietà intellettuale in un’ottica business focused e non più passivamente difensiva”.  La velocità con cui escono prodotti nuovi spinge le case di moda a tutelare i prodotti di punta della collezione e il design. La volgarizzazione di determinati prodotti simbolo, ai quali si ispirano i concorrenti,  è oggi visto anche come una dinamica positiva, una sorta di valorizzazione del posizionamento iconico. “Da una posizione di forte contrapposizione che ha caratterizzato gli inizi del rapporto tra queste due realtà, ci si sta spostando in un’area di reciproco riconoscimento e di ‘collaborazione’, che potrebbe portare a una pacifica convivenza futura“.

La furia del poco, maledetto e subito, sposta i valori classici della cultura di base dalla rievocazione del passato e dalla sua attualizzazione, al presente, cui viene negata ogni proiezione futura.

Tutto questo, per quanto possa essere banale e sotto gli occhi di tutti, rende sempre più affannosa la rincorsa del diritto verso la realtà.

La P.I. stessa rischia di scivolare dall’immaterialità alla materialità dei beni che ne costituiscono l’oggetto.

La diretta conseguenza per il New-con è che la MLT (la Memoria a lungo Termine) alla quale attinge attraverso la rievocazione del ricordo, tende ad essere sostituita dalla MBT (la Memoria a Breve Termine) che governa gli atti d’impulso, come quello nella sua automaticità di comprare un pacchetto di patatine fritte. L’attenzione si comprime, il valore della scelta razionale si attenua, l’emozione comanda e il valore dell’esperienza declina. Il pubblico di riferimento e i parametri della comparazione visuale, fonetica e concettuale vanno ridisegnati alla luce di queste considerazioni, in cui la contestualizzazione della fattispecie da valutare giuridicamente tende a prendere il sopravvento.

 

Il paradigma del New-consumer, polarità degli opposti

Come si è visto, stiamo vivendo un momento che si caratterizza dalla sua transitorietà. La successione dei fatti e degli eventi è drammaticamente rapida, ma l’accelerazione è accompagnata da rivolgimenti radicali ed epocali di tale intensità che mi ha indotto  a ricorrere all’adozione di un termine univoco come quello del Cambiamento, che però lascia impregiudicato la direzione e il consolidamento del nostro futuro. Questa constatazione, dettata dalla comune osservazione, dà ragione sia dell’ambivalenza che spesso qualifica le componenti nel Cambiamento che ho cercato di individuare, sia della contrapposizione di forze e tendenze che bilanciano quei componenti, anche quando crediamo che siano definitivamente assestati nel magma fluttuante del mondo in cui viviamo.

Se vogliamo riassumere quanto sin qui detto, mi sembra che lo strumento diadico della polarità si riveli il più adatto e che su di esso si possa costruire un profilo attendibile, anche se approssimato, del New-con. Alla regole moderne della comunicazione, si contrappongono i contro-linguaggi e le loro  malformazioni, alla attrattiva del brands, corrisponde l’emersione di una tendenza al loro rifiuto, all’apertura della rete si può opporre la perdita dell’identità del consumatore, al primato dell’immagine si resiste con la ricerca del contenuto narrativo, lo story telling.

Sotto tale aspetto, l’adozione del grafo che segue (© stefano sandri), si manifesta uno strumento cognitivo appropriato allo scopo. Credo che le polarità omologazione-individualità, chiusura-apertura, lento-veloce, realtà-apparenza, denotazione-connotazione e infine consenso-rigetto possano illustrare le varie situazioni critiche ed essenziali che la cultura del Cambiamento hanno messo in evidenza e che sono tali da direttamente definire il profilo del New-con.

Come risulta evidente nel grafo, ogni dicotomia interagisce con le altre.

Ogni coppia, formata da polarità opposte e contraddistinte da toni di grigio distinti, interagisce con la coppia più prossima. Nel grafo è peraltro individuabile un percorso di avvicinamento del New-con al terminale del consenso/rigetto nei confronti di ogni rappresentazione della P.I., raggiungendo la periferia della rete, secondo un canale preferenziale tra le opzioni  delle polarità. Così, l’affrancamento del New-condall’omologazione imposta dalla Rete e dai Social, apre al recupero dell’individualità e della lentezza e ponderazione delle sue scelte, scelte che gli permettono di cogliere il senso della realtà, nella sua valenza denotativa delle forme rappresentate, nei cui confronti, finalmente, può esprimere il suo consenso, come programmato e voluto dall’impresa titolare del diritto di P.i. o, viceversa (e questo è frutto del Cambiamento) la sua avversione, innalzando il vessillo della provocazione e dell’antisistema. Questa ultima eventualità anticipa, evidentemente, la conclusione che il rapporto impresa – consumatore debba essere realisticamente riletto, sino a portare al suo rovesciamento.

Senza pretendere di essere esaustivo, le componenti essenziali operate dal Cambiamento nella Click-Community e che ho cercato sommariamente di identificare e descrivere – per quanto di attinenza alla P.I. – dovrebbero nel modello prefigurato suggerire alle imprese di orientare le  loro strategie nel raggiungere il loro pubblico, evitando distorsioni, deviazioni e chiusure in quel percorso, e agli operatori del diritto di non disattenderle.

 

Del consenso/dissenso del New-consumer: la piramide

L’accenno alla polarità consenso-dissenso o rigetto merita qualche ulteriore osservazione. Come si nota dal grafo qui proposto,

la curva del consenso del recettore tradizionale delle rappresentazioni della P.I.  (a) tende a raggiungere il top, secondo una progressione continua e si assesta ad un livello dal quale declina lentamente, dopo una qualche permanenza nel tempo al livello più alto. Nel New-con, per effetto della compressione dei tempi, la curva (b) ha, invece, un andamento decisamente più violento, raggiungendo un top più alto, dal quale, tuttavia, precipita con pari velocità. Sembra che le sue scelte non si consolidino, neanche per brevi momenti, nel livello raggiunto.

La precarietà dell’attitudine del New-con è ancor più evidente se ripete la scelta decisionale(c). La spinta ascensionale della motivazione perde di slancio dopo la prima consunzione (a) e si avvicina ancor più rapidamente alla ascissa del consenso. Altre incertezze deve superare il New-con, quando si trova a prendere una decisione nel contesto di situazioni ambigue o contraddittorie che dovranno essere risolte secondo il principio dell’univocity assumption.

Non si può non evidenziare, in prima battuta, come l’evoluzione del consumatore tradizionale – prevedibile e tendenzialmente pigro nella ripetizione delle proprie scelte di consumo – verso il nuovo modello di New-con – così critico e imprevedibile nei suoi comportamenti, abbia imposto anzitutto l’adozione di un diverso approccio metodologico. Tale approccio deve fondarsi innanzitutto su una dilatazione dell’orizzonte di analisi, che non può esaurirsi nella mera risposta giuridica, ma deve necessariamente estendersi all’apporto di tutte le conoscenze utili al problem solving della P.I.

E’ anche vero, che l’enunciato della polarità nel processo decisionale del New-con può portarlo in tutt’altra direzione, assumendo una connotazione valoriale negativa. Si pensi alla c.d. eccezione di coesistenza nei giudizi di confondibilità tra marchi, in cui – secondo la dottrina più autorevole (VANZETTI) – il consenso tacito, la tolleranza del titolare del diritto non può essere limitata ad un semplice atteggiamento passivo, a una  conoscenza generica degli altri marchi compresenti, ma dovrebbe concretizzarsi in una tolleranza consapevole, responsabile e reattiva.

In questo particolare contesto, la consapevolezza del consumatore, espressione di attenzione matura e informata, assume il significato diverso, sociologicamente rilevante, della mancata registrazione da parte dell’ordinamento del progressivo lassismo, della distrazione e del disinteresse presente nel paradigma del consumatore moderno, discontinuo, volubile, ambiguo, indipendente, volatile, fluido.

Le imprese dovranno dunque tener conto che il consumatore si muove orizzontalmente, ma non linearmente, su uno scenario che – allo stato – solo eccezionalmente il diritto considera direttamente.

Riassumendo, anche nella definizione del profilo del New-con ritroviamo le stesse ambivalenze in cui ogni aspetto apparentemente positivo nei confronti delle diverse rappresentazioni che la P.I. gli propone, viene resistito da un contro argomento negativo.

Vediamo ora come il New-con attiva il suo fare e con quale progressione dinamica.

Notiamo subito, come nell’oscillazione di un pendolo, si va un massimo di attrazione, alla sua radicale negazione, nel verso opposto. Proviamo a riassumere la situazione, anche qui, attraverso la costruzione di un grafo la cui idea di base è quella di una piramide rovesciata (© stefano sandri), un po’ come quella del Louvre a Parigi.

L’impresa, come si assume di norma nel modello classico delle sue relazioni con il consumatore, deve generare consenso nel suo pubblico, d’intensità tale da indurlo a ripetere le sue scelte. Le evidenze dell’analisi del New-con, come determinato dal Cambiamento, suggeriscono che il consenso può tendere a un massimo o a un minimo, a seconda che prevalgano alcuni fattori, invece di altri. C’è comunque una progressione graduale continua (diversamente da quanto occorre nell’invenzione tecnologica, in cui l’innovazione si assesta ciclicamente su dei gradini di sosta), rappresentata dai gradoni della piramide che si situano a diversi livelli.

Nella piramide positiva, al primo livello si situa l’attenzione, senza della quale non si può attivare alcun processo di memorizzazione delle informazioni. Una volta che le informazioni, a livello intuitivo, prima, e poi a livello intellettivo, saranno entrate a far parte della memoria esperenziale, il New-con avrà maturato un primo consenso che gli consentirà, previo recall del ricordo della prima decisione, di procedere ad una comparazione tra un numero indefinito (n) degli enti contraddistinti dalla stessa o simile forma. Se la decisione sarà stata positiva, il suo apprezzamento tenderà a crescere attraverso l’effetto della ripetizione delle decisioni, fino a raggiungere un livello massimo che gli consentirà di trasferirlo anche su altri enti non direttamente contemplati nella prima decisione (come avviene, ad esempio, nel marchio di rinomanza per il quale ha un suo ruolo la predisposizione favorevole all’accettazione delle promesse portate dal brand, specie quando si presentano con il profumo allettante della novità, o in un design particolarmente attraente).

Nella piramide negativa, speculare e invertita rispetto alla prima, potremo invece assistere ad un progressivo declino del consenso e della conseguente capacità attrattiva di una data rappresentazione della P.I. L’omologazione, indotta dal coinvolgimento nelle Rete e il conformismo imposto dai Social, suggeriscono un atteggiamento di rallentamento del senso critico che induce ad una passività nei confronti di ogni forma di comunicazione, compresa quella nei confronti dei messaggi portati dalla rappresentazione in considerazione. Il messaggio ne viene ulteriormente affievolito nella sua efficacia. Da qui, l’insorgere di una diffidenza, dettata sempre più da una contestazione del sistema, fino a deragliare nel rigettodell’ente, come accade dalla messa in discussione del copyright o nella contestazione dei brand più famosi.

Naturalmente, sia nella fase di accrescimento del consenso, che in quella inversa del suo decadimento, non si prospetta un andamento lineare, potendo intervenire pause, ripensamenti, inversioni di rotta, digressioni, a volte anche imprevedibili.

La piramide, dunque, impone all’impresa la

scelta strategica di situare la propria azione e capitalizzare i propri intangible assets al livello di dove si trovi il suo New-con., in un momento dato, tenendo conto dei moti ascensionali o discendenti del consenso.

Fatta questa digressioneentriamo nello specifico, per notare che le connotazioni della Click-Community (transitorietà, instabilità, velocità, plasticità, frammentazione) si riflettono puntualmente nelle connotazioni del New.con (inaffidabilità, incostanza, imprevedibilità, adattabilità, rete, gruppo).

In sintesi, dal quadro semiotico delineato, l’impresa potrà estrarre informazioni utili alla identificazione del New-con. così come  configurato.

 

Un consumatore consapevole?

A questo punto s’impone una domandaCome appare evidente dall’indagine in corso, la principale sfida che si è rappresentata dal tramonto della concezione tradizionale di consumatore, in favore di una figura nuova, dai lineamenti e identità sfuggenti e non facilmente incasellabili in uno stereotipo unico e definitivo. Possiamo allora assumere che il consumatore ne sia effettivamente consapevole, e in che misura?

Se il consumatore tradizionale è riconducibile, con le sue caratteristiche e peculiarità, al modello comportamentale generalizzato che ho descritto nel modello paradigmatico – e per questo in qualche misura rassicurante per l’impresa – il New-con è un soggetto più complesso, le cui scelte sono sempre più il frutto di autonome valutazioni critiche, più che della reiterazione quasi meccanica delle precedenti esperienze d’acquisto.

Come già aveva intuito Erwing GOFFMANN, tra i più influenti sociologi americani, “il rapporto tra soggetto e senso proprio a tutte le sociologie di impianto individualistico è radicalmente capovolto: non sono gli stati interni dell’individuo che determinano il senso della sua azione, ma sono piuttosto i frame metacomunicativi (ovvero il contesto) che circondono le attività  che permettono di inferire un senso della soggettività degli individui che vi sono coinvolti”.

Tradotto in linguaggio narrativo il New-con. “opta per “l’ambiguità, la complessità, il disordine, il bicchiere mezzo vuoto, il dubbio sistematico contrapposti alle certezze, alla ricerca di semplificazione e di ordine , al bicchiere mezzo pieno, alle grande ideologie della modernità  individualismo contrapposto a individualità, pluralità versus consenso dissenso versus conformismo, eterogeneità verso omogeneità, differenza verso la somiglianza”, come già emerso dalle ricerche cognitive degli anni ’90.  

 

Per finire alla rivoluzione copernicana della P.I.

“Siamo abituati a fare affidamento su determinati settori del diritto di proprietà intellettuale per fornire i mezzi per preservare il nostro sistema convenzionale di distinzione sociale basata sul consumo, il nostro codice suntuario, a fronte di condizioni sociali e tecnologiche incipienti che minacciano la redditività di questo codice” (così, Barton BEEBE, studioso newyorkese specializzato nell’analisi giuridica, empirica e culturale della proprietà intellettuale).

Tutte le rappresentazioni della P.I. non sfuggono a queste tentazioni conservatrici che traggono fondamento dalla natura monopolistica del diritto di sfruttamento esclusivo dei suoi vari titoli, una volta riconosciuti e tutelati dall’ordinamento a determinate condizioni.

Il Cambiamento e l’emersione di un nuovo New-con impongono ora il superamento di schemi e standard giuridici pre-definiti

per permettere alle imprese di affrontare la sfida dell’adattamento delle loro strategie ai nuovi modelli di consumatore che ho cercato di descrivere.

Le strategie aziendali, implicano una progettazione a lungo termine per interpretare le nuove istanze insorgenti dal mercato, mentre le tattiche aziendali, sono rivolte invece a perseguire transitoriamente obiettivi ristretti e contingenti di breve termine.

Il messaggio comunicato e convogliato dalle imprese –  attraverso la creazione e utilizzazione dei tools messi a loro disposizione dalla P.i. – deve assumere connotazioni specifiche per raggiungere il suo ricettore, il consumatore, e provocarne il necessario coinvolgimento e la sua adesione.  Vale la pena di notare, ad esempio, l’enorme influenza dei brand nell’industria dello streetwear e sportswear, ma anche il loro inverso effetto, come nello spettacolare avvento degli influencer. Attraverso l’analisi dei Social e le tecniche appropriative della privacy (Cookies), le aziende hanno diretto accesso a questi mondi, così acquisendo le informazioni utili ad interpretare il New-con cui si rivolgono, ma anche a prendere consapevolezza degli errori che commettono, adottando plasticamente le opportune correzioni di rotta.

Alla base di questa tendenza, che sembra andare al di là della transitorietà di una moda, o del più modesto trendy,  c’è la ricerca dell’accettazione dell’inclusione dell’altro.

Le immaterialità hanno sempre più bisogno di contenuto, non solo per resistere alla prevaricazione dell’immagine e l’omologazione verso il  basso generata dalla Click-Community, ma perché devono ricercare il coinvolgimento della sua base sociale, interconnessa e illimitatamente diffusa, per assicurarsi la facilità al suo accesso e accreditarsi attraverso la proposizione di modelli autentici tratti dal quotidiano.

L’altro, quello che acquista i prodotti e usufruisce dei servizi dell’azienda, legge i libri on line, guarda al packaging, e cerca nuove idee, non è più un mero testimonial, ma il protagonista del racconto che non ha più bisogno di recitare, perché è richiesto soltanto di rappresentare se stesso. Non occorre Kevin Costner per convincere il consumatore della bontà del tonno, ma basta che lo dica, anzi, più esattamente, che lo dica un pescatore di Anzio, dalla faccia cotta dal sole e pieno di rughe.

Il nuovo consumatore non si lascia lusingare dall’appeal del testimonial noto, manifestando una resistenza crescente alle strategie di marketing tradizionali, accompagnata da una sempre minore reattività dinanzi ai toni seduttivi tipici della pubblicità. 

Il superamento del paradigma tradizionale impresa predatore – consumatore bersaglio in favore di un nuovo modello di consumatore interlocutore induce oggi le aziende a ricercare nuovi canali di comunicazione che puntino a coinvolgere l’acquirente, anziché sedurlo.

In altre parole, il New-con non si limita oggi a essere destinatario dell’offerta (product taker), ma partecipa egli stesso alla sua definizione, elevandosi a co-creatore del valore del prodotto, protagonista lui stesso della produzione, e non soltanto suo componente causale.

Nel corso degli ultimi anni marketing e pubblicità hanno operato nella diffusa consapevolezza che la comunicazione è narrazione: ma anche la Proprietà intellettuale è un racconto, come ho scritto in altra sede,:

“in cui l’autore giorno per giorno cerca parole nuove per avere l’attenzione del lettore, che legge e dice la sua. Un processo, una story-telling che si svolge secondo il paradigma della narrazione, con i suoi protagonisti, interlocutori, oppositori, in cui c’è chi parla (l’impresa) e chi ascolta (il consumatore). Sotto quest’aspetto, il ricettore del racconto (il consumatore) non è più, se mai lo è stato, un soggetto passivo e inerte dell’interlocuzione, facile preda della manipolazione del marketing, ma il protagonista inter-reattivo nel racconto della Proprietà Intellettuale, sempre pronto a modificarne i termini del dialogo o, addirittura, a rimetterla in discussione”

Se è vero che la promozione del bene offerto è anzitutto narrazione della qualità dello stesso, è altrettanto vero, però, che in tale narrazione il ruolo del consumatore non è più – o almeno non soltanto – quello di ascoltatore, ma di agente narrante.(attante, si direbbe in semiologia).

Da un lato, l’acquirente non si limita a recepire le informazioni sul prodotto, ma le rielabora criticamente e le diffonde agli altri consumatori: diventa cioè co-protagonista della narrazione del prodotto. Dall’altro, le aziende hanno intuito il valore strategico dell’alleanza impresa-consumatore e hanno ricercato nuove forme di dialogo con l’acquirente, rivolgendosi a lui non più come a una preda da sedurre, ma un partner nella valorizzazione del prodotto.

Come si è già avuto modo di rilevare, la fedeltà preconcetta agli intangible assets  – tipica del consumatore tradizionale – ha lasciato oggi spazio alla ricerca di contenuti, di conferme; non è più il logo a orientare la scelta dell’acquirente, ma la storia che quel logo ha da narrare, storia alla quale il consumatore intende ora partecipare.

Ecco dunque che il dialogo tra impresa e acquirente si complica, arricchendosi di nuovi canali di comunicazione, di contenuti che mirano a conquistare il consumatore, più che a sedurlo, attraverso l’utilizzo di un linguaggio che al richiamo effimero del jingle sostituisce il potere comunicativo della narrazione. Ma lo stesso consumatore rivendica ora il diritto di conquistare l’impresa, appropriandosi dei suoi messaggi.

Se un tempo l’impresa si avvicinava al consumatore sfruttando la forza seduttiva dello slogan – ovvero sovrapponendo a quello del pubblico un proprio, diverso linguaggio – oggi il linguaggio scelto dalle aziende nelle proprie strategie di marketing è lo stesso del pubblico a cui è diretto. In altre parole, non è più il linguaggio dell’impresa a influenzare quello del consumatore, ma è il linguaggio del consumatore a orientare e modellare quello dell’impresa. Coccolato dalla pubblicità e gratificato dall’indipendenza di cui crede di godere, sembra quasi che il consumatore, orgogliosamente, voglia ricompensare l’impresa, acquistandone i prodotti.      

Le aziende che sono in grado di cogliere il cambiamento del loro interlocutore sanno infatti che il consumatore che si muove nella Click- communityha una propria identità e un proprio linguaggio e che l’unica via per raggiungerlo è rivolgersi a lui con lo stesso linguaggi. E se ancora quel linguaggio non c’è, lo inventa per lui: pauraggio, nostalgioia e allegrida, come se fosse suo: “provala su SKY“.

L’impresa attenta alla evoluzione del consumatore non tenta di ammaliare, ma di raccontare, non propone nuovi modelli, ma avvicina il pubblico celebrandone la storia e l’identità.

Lo storytelling, espellendo – almeno all’apparenza – il messaggio di consumo dalla narrazione, allenta le resistenze del pubblico e ne vince la diffidenza, facendo leva non sui bisogni, ma sulle emozioni.. Ed abbiamo visto come le emozioni sono gli elementi valoriali costitutivi del decidere, del fare del New-con che fanno premio sugli altri costituenti, la razionalità e l’esperenzialità. In altre parole, il messaggio positivo promanato dalla storia narrata – ma specularmente vissuta in fed-back con l’azienda proponente – si traduce, nella psiche del consumatore / spettatore, in un giudizio positivo sul prodotto, poiché il pubblico è portato inconsciamente a trasferire le emozioni positive suscitate dalla narrazione sugli attributi del prodotto che ne è alla base (c.d. risposta emotiva).

Mediante l’espediente narrativo, le imprese assecondano il desiderio di condivisione e d’immedesimazione del consumatore, richiamandol’attenzione non sul prodotto, il suo marchio, il suo aspetto, il suo design – che resta per tutto il tempo ai margini del racconto – ma su un insieme di valori condivisi.

E’ solo in un secondo momento che il bene pubblicizzato recupera la propria rilevanza e ciò in virtù di un complesso meccanismo che ha il suo innesco nella suggestione del racconto.

Come puntualmente osservato dagli esperti del settore a proposito del brand, “uno spot è prima di tutto una storia che crea le condizioni emozionali in cui si collocherà la comunicazione relativa al brand o al prodotto”.

Ed è di tutta evidenza come questo processo è proprio quello che interessa l’impresa, tesa a creare nel primo e nei successivi atti d’acquisto del consumatore – creati, scelti e comunicati dall’impresa stessa – una reazione positiva, che alla fine si tradurrà in un consenso continuato ed affidabile da parte del suo pubblico. Creando in tal modo il paradosso di

una fidelity nell’infidelity (del New-consumer)

 

Cosa cambia, dunque,  nella P.I.

Se intendiamo la Proprietà Intellettuale in senso strettamente normativo, è chiaro che auspicandone semplicemente un cambiamento mi porrei in una prospettiva de jure condendo alla quale non sono interessato e in contraddizione con l’approccio realistico che ha motivato questo contributo.

Il cambiamento intervenuto nel rapporto impresa/consumatore che ho cercato brevemente di riassumere nell’assunto di una vera e propria rivoluzione copernicana, mi hanno peraltro indotto a formulare una serie di direttive che possono trovare adeguato spazio nell’interpretazione e applicazione del diritto vigente della P.I.

Prima di procedere in tal senso, non mi sembra inutile però affrontare la questione davvero preliminare se l’intervenuto Cambiamento sia davvero sempre di pregiudizio al diritto della P.I., almeno fino a quando il sillogismo fatto-norma-fatto si riproponga in una nuova dimensione che ne tenga conto.

La domanda infatti è:

lecito e illecito nella P.I. sono davvero così in contraddizione?

La maggior parte della letteratura accademica in materia attribuisce al consumo illegale un effetto netto negativo sulle vendite legali. Tuttavia, ci sono alcuni studi su giochi e libri che ritengono insufficienti le prove per concludere con certezza che la pirateria danneggia le vendite legali.

Sono diversi i motivi per i quali non vi è consenso su ciò che può sembrare così ovvio a prima vista: il legame tra la pirateria online e le vendite illegali. Innanzitutto, esistono diverse interazioni opposte tra pirateria e consumi legali, alcune delle quali hanno un impatto negativo sulle vendite, alcune sono positive ed alcune neutrali. L’effetto positivo più importante è noto come effetto di campionamento: i consumatori sono introdotti alla nuova musica, agli attori e ai generi, e questo crea una nuova domanda. La pirateria online può anche migliorare la domanda di prodotti complementari come concerti dal vivo e merchandise. Come rovescio della medaglia, l’effetto più evidente è ovviamente la sostituzione: un consumatore si astiene dall’acquistare legalmente contenuti specifici dopo averlo acquistato o consumato da una fonte illegale. Inoltre, la pirateria può soppiantare il consumo legale attraverso la competizione temporale: non è possibile guardare un film da una fonte legale e uno da una fonte illegale allo stesso tempo. Infine, si verificano effetti neutri, ad esempio, quando la condivisione dei file soddisfa la domanda dei consumatori con un’insufficiente disponibilità a pagare. Per molti consumatori il consumo legale e la pirateria vanno di pari passo. Di conseguenza, una correlazione positiva tra pirateria e consumo legale rappresenta un’ipotesi non del tutto infondata, come messo in luce da un’attendibile ricerca. (L’Istituto (L’Istituto di diritto dell’informazione (IViR), presso l’Università di Amsterdam,  insieme a Ecorys, consolidata società di ricerca e consulenza in Europa, ha pubblicato Global Online Piracy Study“, un progetto di ricerca che analizza l’acquisizione ed il consumo di musica, film, serie, libri e giochi attraverso i vari canali legali e illegali che esistono al giorno d’oggi. in SPRINT-Sistema Proprietà Intellettuale, 2/08/2018

E ancora: Le devianze e le lacune secondo il paradigma classico giuridico sono rilevanti per il diritto?

Si pensi all’esempio della valenza ricreativa dello shopping nei centri commerciali, nel visual merchandising, nella filosofia dell’incontro (come nel caso STARBUCKS, McDONALD).

Dal grafo qui presentato,

emergono alcune indicazioni  giuridiche alle quali la P.I. è tenuta a dar seguito se vuole adattarsi alla mutata realtà, a seguito del percorso che ho sin qui seguito:

  • il rifiuto delle schematizzazione astratte
  • la ricerca della plasticità dell’adattamento
  • l’approccio multidisciplinare nel problem solving
  • l’inversione del rapporto impresa-ricettore
  • l’individuazione  delle specificità dei sotto-sistemi delle categorie generali del ricettore
  • la applicazione delle regole della percezione nel ricettore
  • l’osservanza della contestualizzazione nel processo decisionale del ricettore e del Giudice
  • la ricerca metodologica della condivisione sociale

 

Di alcune riflessioni finali

Dall’analisi sin qui svolta, emerge che lo scenario su cui si muovono le imprese e i consumatori è radicalmente mutato negli ultimi anni. Percezione e comportamento dei consumatori nei confronti delle rappresentazioni della Proprietà Intellettuale si sono evoluti sempre più, secondo una tendenza irreversibile all’estensione e alla mutazione. Per effetto del Cambiamento, il rapporto tra l’impresa e i suoi interlocutori si configura in termini di un dialogo continuo e necessariamente reciproco che nella Click-Community sembra però aver perso il suo carattere paritetico, e che vede nel caso della Proprietà Intellettuale quel rapporto rovesciato; è il consumatore, infatti, che – nella sua volatilità e transitorietà – sembra inseguire l’impresa, piuttosto che subirla come soggetto passivo delle sue proposte/proposizioni.

Mi pare che il linguaggio dell’inter-comunicazione impresa-ricettore richieda oggi nuove ‘parole’ e che debba essere attualizzato.
Le imprese hanno registrato questa evoluzione e di conseguenza comunicazione e marketing si stanno adattando alle sfide del Cambiamento, dovendo confrontarsi con un nuovo modello di New-consumer che tende a mettere in discussione la natura e funzione dei vari istituti con cui siamo familiari (il marchio/brand, il design, l’opera d’autore, le invenzioni) e che presenta ambivalenze espresse in una polarità attrazione-rifiuto, come evidenziato nei  grafi proposti.

Il fatto è che la Proprietà Intellettuale, non si è affatto dato carico di questa evoluzione, scontando da un lato il fisiologico ritardo del diritto stesso nell’interpretare e riconoscere gli emergenti interessi della società contemporanea, oggi Click Community, meritevoli di tutela, dall’altro incapace di una visione olistica e interdisciplinare nell’affrontare la nuova realtà.

Cominciano però a comparire, specie nella più attenta giurisprudenza e autorevole dottrina, segnali di apertura e sensibilità verso il “mondo della vita”, la Lebenswelt, che aprono spazi interpretativi e applicativi nell’accoglienza e tutela delle forme esistenti e in quelle nuove emergenti,  in particolare, nei giudizi di confondibilità, nella comparazione tra i prodotti e nella tutela del consumatore contro l’inganno, nella considerazione del pubblico dominio.

Non a caso, ho sottolineato l’importanza determinante del riconoscimento dell’identità delle varie rappresentazioni della P.I. da parte del ricettore/consumatore. In termini più generali, infatti, il riconoscimento si inscrive nella teoria politica e filosofica del diritto tesa a individuare nuove forme e linguaggi di cooperazione solidale tra soggetti che possano contribuire all’impresa sociale comune, in una sorta di più puntuale e approfondita riproposizione del principio di solidarietà.

La presa in considerazione dei diversi linguaggi che interessano oggi il rapporto impresa-New-con, come si sta configurando a seguito dell’impatto della Click-community, induce a ipotizzare l’apertura di nuovi spazi e territori sui quali l’impresa può intervenire in chiave predittiva, e quindi anche nella fase costruttiva e produttiva delle sue creazioni immateriali, prima ancora della fase della loro tutela giuridica. E’ chiaro che in questa prospettiva – come suggerito dal catalogo dei tools strategici che si è tentato di identificare nella analisi – non è più possibile operare, seppure solo metodologicamente, magari metaforicamente, secondo paradigmi esclusivi e tradizionali, come quelli proposti dal marketing, dalla semiotica, dalla sociologia, dalla psicologia e dalle scienze cognitive, per non parlare del diritto, messi in crisi permanenti dal tumultuoso e travolgente sviluppo della Click-community, che non sappiamo dove ci possa portare.

Ma la Lebenswelt bussa prepotentemente alla porta nell’irrompere fragoroso e incontrollabile dell’attualità, spostando, alterando o semplicemente modificando i precari equilibri degli interessi delle parti in gioco che la Proprietà Intellettuale faticosamente cerca di preservare o inseguire. Occorrono comunque delle risposte, ma sono le parole più appropriate quelle che vanno cercate nel dialogo impresa-consumatore. E qui, la creatività dei processi che conduce alla costituzione dei diritti, deve spostare il suo orizzonte da quello che c’è, a quello che ci sarà, giocando d’anticipo.

Flessibilità, apertura, intelligenza, operatività, condivisione sono le linee d’intervento e della strategia di un’azienda e di un giurista moderno che vuole salvaguardare quel capitale d’entreprise rappresentato dalla creazione, gestione e difesa dei beni immateriali, tra i quali emergono quelli riconosciuti dalla Proprietà intellettuale.

Ma oggi anche, inscindibilmente, dalla Comunità.

 


*Prof. Avv. Stefano Sandri
Esaminatore opposizione marchi UIBM e former Special Adviser at EUIPO

 


(*) Alcune precisazioni terminologiche: con il sintagma New-con (New-consumer) intendo riferirmi al nuovo (new) tipo di Consumatore (con) proposto/imposto dalla Click-Community. Al corrente consumatore preferisco, nei contesti più tecnici, il più esteso concetto di ricettore,  di tutte le rappresentazioni con cui si manifesta la P.I. (marchi, brand, design, opere d’autore, invenzioni e via dicendo). La P.I., a sua volta, è evidentemente l’acronimo corrente della Proprietà Intellettuale nel senso più lato. Con il neologismo Click-Community intendo designare nel suo insieme le caratteristiche della società contemporanea icasticamente rappresentata dal gesto del ‘click’ del computer. Nel termine Cambiamento, riassumo l’insieme dei fenomeni che caratterizzano storicamente, socialmente, antropologicamente, economicamente il continuo divenire della società  contemporanea.

 

 

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