Massimo Proto, Ordinario di Diritto privato, è di ruolo presso l’Università degli Studi Link…
Contact tracing, i rischi per la privacy dei dati sanitari. Intervista ad Alberto Gambino
Prendendo spunto dai Paesi asiatici, per cercare di contenere la diffusione del coronavirus, anche il governo italiano ha intenzione di implementare soluzioni di “contact tracing”. Professor Gambino, ci aiuta a capire meglio di cosa si tratta?
Il senso comune depone oggi per un intervento normativo straordinario, finalizzato a restringere un diritto fondamentale come la privacy, per tracciare con i dispositivi mobili gli spostamenti e i dati sanitari, così da mappare quanti siano entrati in contatto con persone infette. Attenzione, però: tale eccezionalità non potrà mai discriminare le persone fragili e malate.
Quali sono gli aspetti più critici?
Occorre ad esempio scongiurare che il singolo dato sanitario correlato all’emergenza del coronavirus possa essere combinato con altri dati così da consentire attraverso gli analytics di costruire un vero e proprio fascicolo sanitario elettronico del cittadino contagiato.
L’intervento normativo dovrà, poi, essere strettamente collegato al perdurare dell’emergenza e, dunque, prevedere che, tornati a condizioni di normalità, i dati dovranno essere cancellati e le società coinvolte in questo progetto dovranno operare con affidabilità e trasparenza.
Come agire, quindi?
Per essere concreti è doveroso introdurre da subito, nello stesso decreto, una norma che inasprisca il traffico illecito di dati sanitari, così da impedire qualsiasi forma di discriminazione diretta o indiretta verso i soggetti più vulnerabili, a cominciare dalle prerogative fondamentali dell’accesso al lavoro, al credito, a forme assicurative e previdenziali.
Non basta il semplice ripristino del GDPR?
No, non basta, in quanto i dati sanitari individuali, una volta disvelati in modo così massivo, potrebbero finire senza controllo nel dark web ed essere trafficati illegalmente al fine di aberranti due diligence sullo stato di salute della cittadinanza per le finalità più bieche: dal marketing mirato verso chi necessita di medicinali, alla commercializzazione delle biografie sanitarie ai fini di un’assunzione lavorativa, passando per lo stigma sociale e i ricatti onerosi per impedire la rivelazione di tali dati a terzi. È l’anticamera della discriminazione. Accanto al traffico delle parti del corpo umano, avremmo il traffico dei dati sanitari personali.
Cosa fare per scongiurare questa possibilità?
Forse l’unica soluzione normativa efficace è quella di inserire tale fattispecie proprio tra i reati dell’art. 601 del codice penale che sanziona la tratta di esseri umani: anche nel caso del traffico dello stato di salute delle persone si mina profondamente la loro dignità.