skip to Main Content

La comunicazione ai tempi del coronavirus

Mai come in queste settimane di “infodemia”, la polemica tra fautori e utilizzatori di mass e social media era stata così vigorosa. E ha ricordato la controversia che si sviluppò in Francia nel ‘600 tra i sostenitori della superiorità della lingua e letteratura classica e i partigiani della lingua e letteratura moderna.

È un fatto che la comunicazione social sia entrata nelle case degli italiani. E viva, nelle nostre case, in un circolo a metà tra il virtuoso e il vizioso. Tra gli effetti inevitabili delle misure cui tutti i Paesi si stanno via via adattando, e che implicano la riduzione drastica delle attività “extra moenia”, c’è infatti quello dell’aumento ripidissimo e rapidissimo dell’utilizzo dei social media collegato alle nuove tecnologie.

Prova ne sono l’incremento vertiginoso del traffico audio/video, complice la diffusione dello smart working, e le nuove offerte di piattaforme sulle quali stiamo dirottando una larga parte delle nostre relazioni sociali. Tra “Hangouts”, “Teams”, “Skype”, “Whereby”, “Zoom”, “Scopia”, “Houseparty” – per citarne alcune – ci siamo addentrati in un mondo che solo un mese fa sembrava confinato ad addetti ai lavori ed appassionati di tecnologie innovative, possibilmente under 30.

La comunicazione social è diventata anche protagonista della gestione della crisi e della metrica delle misure del Governo, nel tentativo di acquisire follower, viralità (sic) nella trasmissione di messaggi sempre più disintermediati. Non sono mancate, col loro seguito di polemiche, conferenze stampa trasmesse su Facebook e riprese dai canali TV ad anticipare provvedimenti di legge.

Eppure sono in tanti a pensare – con Bernardo di Chartres – che “siamo nani sulle spalle dei giganti”. E costoro fanno considerazioni opposte, a prefigurare – come effetto collaterale e magari inconfessabilmente auspicabile di questa crisi – la fine della comunicazione digitale a tutto vantaggio dei media tradizionali. Nell’emergenza i cittadini riscoprono l’esigenza di riconnettersi con un’informazione credibile, fonti affidabili e non nickname, firme in calce ad un articolo. I dati attuali dello share, delle copie vendute, della raccolta pubblicitaria sono significativi.

In questa interpretazione, i mass media nazionali – tv, radio o carta scritta che siano – insieme alle testate locali, tornano ad essere all’origine di informazione di qualità, contrasto alla proliferazione di fake news che quando si tratta di salute sono ancora più pericolose. Tra il cittadino e la notizia si affievoliscono blogger e influencer da social network i quali cedono il passo all’expertise che forse non è morta.

Insomma, la querelle è aperta, e mai così viva. Si assiste ad una rivincita dei mass media, o è solo un rigurgito all’interno di un trend di crescita inarrestabile dei social, che anzi nella crisi stanno scoprendo nuove funzioni e spazi?

Come spesso accade nei fenomeni sociali, la verità sta a metà. I mezzi di comunicazione, mass o social che siano, sono appunto un “mezzo” e a seconda dell’obiettivo perseguito ve ne sarà uno più adatto dell’altro. In una pluralità di strumenti e strategie che sarà sempre più al centro delle agende dei comunicatori, della politica, delle organizzazioni complesse. Possiamo allora dire, parafrasando l’antica formula francese riferita ai re e alla continuità dell’istituto monarchico, “La comunicazione è morta, viva la comunicazione”!

Gianfrancesco Rizzuti

Back To Top