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Esplorando le Implicazioni Giuridiche dell’Intelligenza Artificiale nei Contratti: Una Conversazione con il Prof. Fabio Bravo

In un mondo in continua evoluzione digitale, l’uso sempre più diffuso dei sistemi di Intelligenza Artificiale (IA) sta sollevando nuove sfide e interrogativi nel campo giuridico, soprattutto quando si tratta della formazione e dell’imputazione dei contratti. Il Prof. Fabio Bravo, esperto in diritto dell’informatica e in diritto contrattuale, ci offre un’illuminante analisi sulle questioni legali che sorgono dall’impiego dei sistemi di IA nella contrattazione, esplorando anche le soluzioni e le implicazioni di sistema nell’ordinamento giuridico europeo e nazionale.

Fabio Bravo, Avvocato e Professore Ordinario di Diritto Privato all’Università Alma Mater di Bologna, ove è altresì Direttore del Corso di Alta Formazione in Privacy e Data Protection Officer. La sua attività di ricerca è incentrata sul diritto delle nuove tecnologie. E’ autore di numerose pubblicazioni.

 

 

Quali sono le principali questioni che emergono riguardo alla formazione dell’accordo contrattuale e al ruolo della volontà nell’ambito dei sistemi di intelligenza artificiale?

I sistemi di intelligenza artificiale, benché basati su tecnologie non riconducibili ad una categoria unitaria, sono per definizione in grado di agire in ambienti complessi con un certo livello di autonomia, al fine di raggiungere obiettivi e generare risultati, tra i quali la produzione di output, raccomandazioni e decisioni. In ambito contrattuale assume particolare rilevanza l’utilizzo dei sistemi di IA per l’adozione di decisioni rilevanti sul piano della formazione dell’accordo, con una certa autonomia rispetto al loro utilizzatore, che nel contratto avrà il ruolo di parte.

Emergono delicate questioni sul piano giuridico, tra cui quella relativa ai confini e ai limiti dell’autonomia contrattuale dell’uomo di fronte all’autonomia decisionale del sistema di IA, a cui l’uomo stesso ricorre per impieghi contrattuali, ma anche la questione relativa al ruolo della volontà nelle fattispecie contrattuali connotate dal ricorso all’IA per la formazione del contratto, nonché la questione dell’imputabilità del contratto e dei suoi effetti giuridici, a cui si ricollega quella della ripudiabilità o meno delle decisioni contrattuali adottate tramite IA e dei rimedi esperibili.

Si tratta di questioni che possono essere osservate con il filtro dell’autonomia contrattuale, declinabile in direzioni diverse. L’autonomia contrattuale richiede, in primis, che il vincolo tra i paciscenti sorga solamente qualora sia il frutto della volontà delle parti, sicché preliminarmente va individuato quale sia il ruolo della volontà nella vicenda contrattuale contrassegnata dall’uso di un sistema di IA dotato di autonoma capacità decisionale. Siamo nell’ambito dei “contratti senza accordo”, volendo richiamare, per il nuovo contesto tecnologico, la celebre e provocatoria tesi irtiana? Oppure la volontà della parte ha ancora una sua dimensione di rilievo, che connota in maniera decisiva la fattispecie contrattuale segnata dall’uso dell’IA, a tal punto da preservare la natura stessa di “contratto” quale accordo voluto dalle parti, , in tale specifico scenario tecnologico?

Invero la volontà della parte permane, anche se si atteggia in maniera peculiare: sussiste nel momento in cui l’uomo intende avvalersi del sistema di IA per fini contrattuali; sussiste inoltre allorché l’utilizzatore voglia far propri gli effetti giuridici in ordine al contratto tecnicamente concluso ricorrendo al sistema di IA. Tanto basta per poter riconoscere natura contrattuale all’accordo così raggiunto e, conseguentemente, per attrarre tale accordo, tecnologicamente mediato da sistemi autonomi di intelligenza artificiale, nell’alveo della fattispecie contrattuale.

Ciò consente di utilizzare gli istituti del diritto contrattuale, che ovviamente vanno interpretati ai fini della loro corretta applicazione alla fattispecie che stiamo considerando. Non si tratta di operazione semplice, per la verità, come dimostra il discusso problema del ricorso all’istituto giuridico della rappresentanza o del ricorso ai principi, come quello di responsabilità e di affidamento, per risolvere le incertezze applicative del diritto dei contratti a fronte dell’uso dell’IA.

Il sistema di IA viene impiegato non solo per determinare il contenuto o l’oggetto del contratto “per relationem”, ma eventualmente anche per stabilire se concludere o meno il contratto, con quale controparte, a quali condizioni. Non è solo uno strumento per determinare l’oggetto del contratto, ma finisce per essere uno strumento di integrazione della volontà contrattuale della parte sugli aspetti rilevanti della vicenda contrattuale, anche travalicanti l’oggetto del contratto, fino ad interessare le decisioni sull’an del contratto, sull’individuazione dell’altra parte contraente e, ove il sistema lo consenta, sul contenuto giuridico ed economico del contratto.

 

 Come viene affrontata l’imputazione del contratto e quali sono gli effetti giuridici considerati nell’analisi dell’uso dei sistemi di IA nella contrattazione?

Un aspetto delicato riguarda, in effetti, proprio l’imputabilità delle dichiarazioni contrattuali alla parte che si avvale del sistema di IA per la formazione del contratto, al fine di evitare che si sottragga agli effetti giuridici promananti da tale contratto.

Le tecniche di imputazione a cui solitamente si ricorre in tale ambito specifico presentano problemi applicativi ed evidenti inefficienze: mi riferisco, per un verso, all’applicazione in via analogica dell’istituto della rappresentanza e, per altro verso, all’applicazione del principio di responsabilità.

Chi intenda ricorrere in via analogica all’istituto della rappresentanza, al fine di imputare il contratto ed i suoi effetti giuridici vincolanti alla parte che utilizzi l’IA, compie evidenti forzature.

Da un lato, ove una parte si avvalga dello strumento tecnologico, che è una res, manca il substrato minimo per poter ravvisare la presenza di una fattispecie analoga a quella che invece riscontriamo nella rappresentanza, ossia la pluralità di soggetti. Sicché l’istituto della rappresentanza non è in grado di spiegare l’imputazione del contratto e degli effetti giuridici alla parte che si sia avvalsa del sistema di IA. Inoltre, i tentativi di antropomorfizzazione e di soggettivazione dell’IA non mi pare siano da incoraggiare, né de iure conditode iure condendo, sia perché l’ordinamento europeo, nel rapportarsi alla disciplina dell’IA, ha dichiaratamente abbracciato l’approccio antropocentrico e non certo res-centrico, sia perché la soggettività giuridica è sinonimo di centro di imputazione di interessi e nel nostro ordinamento giuridico, anche di fronte alla fictio della persona giuridica, l’interesse rilevante è pur sempre riferito all’uomo, che partecipa dell’ente superindividuale, e mai alla res.

Dall’altro lato, qualora si ricorra all’istituto della rappresentanza, sorgono evidenti incertezze ed inefficienze allorché una parte disconosca gli impegni contrattuali adducendo che il sistema di IA abbia generato un contratto con effetti giuridici che considera non voluti e non prevedibili.

Ne discenderebbe per tale via, nell’uno e nell’altro caso, l’impossibilità di imputazione della dichiarazione contrattuale e gli effetti giuridici alla parte che abbia utilizzato un sistema contrattuale automatizzato basato su tecnologie di Artificial Intelligence.

Un’altra strada che è stata percorsa per risolvere il problema dell’imputazione degli effetti generati dal contratto è quella che fa leva sull’uso dei principi, che mai devono mancare tra gli strumenti del giurista. Al riguardo è stato felicemente invocato il principio di responsabilità, applicando il quale la parte che si avvale degli strumenti tecnologici di IA dovrebbe rispondere delle conseguenze giuridiche prodotte e, dunque, farsi carico di esse nei confronti dell’altra parte contraente, che ha invece fatto affidamento sulla realtà giuridica che s’è andata a cristallizzare.

Neanche tale strada però è esente da criticità: i principi invocati hanno una spinta “centripeta” rispetto alla vicenda contrattuale e ad essi si contrappongono principi che hanno invece una spinta “centrifuga”, come il principio di vincolatività del contratto ai soli effetti giuridici voluti o comunque effettivamente prevedibili, sicché il loro bilanciamento non è detto che porti, in senso univoco, a risolvere le questioni relative all’imputabilità, senza considerare la circostanza che l’applicazione dei principi non è automatica e di pronta soluzione, ma richiede un’applicazione da parte del giudice che richiede un tempo di accertamento, in sede giudiziale, incompatibile con le esigenze di velocità degli scambi per cui si ricorre alle tecnologie evolute di IA.

La tecnica di imputazione a mio sommesso avviso preferibile mi pare sia quella che faccia ricorso alla teoria, espressa in un mio lavoro monografico del 2007 ed in successivi contributi, che consideri lo strumento tecnologico di intelligenza artificiale usato nell’attività contrattuale come una fonte di integrazione del contratto e, segnatamente, una fonte di integrazione volontaria di tipo oggettivo, non riducibile solamente a mera tecnica di determinazione dell’oggetto del contratto, ad esempio “per relationem”.

 

Può approfondire il concetto di bilanciamento tra principi con spinta centripeta e centrifuga nell’ambito delle vicende contrattuali e come questo si applica ai sistemi di IA? 

Ove si volesse ricorrere ai principi per risolvere il problema dell’imputabilità degli effetti giuridici del contratto, così come la loro vincolatività e la loro non ripudiabilità per la parte che si sia avvalsa del sistema di IA per la formazione del contratto, va considerato che, in generale, i principi non operano mai isolatamente ma vanno coordinati con altri, anche di segno opposto, che possono trovare applicazione nel peculiare contesto che stiamo esaminando. Così, il principio di responsabilità e di assunzione del rischio impongono di considerare vincolanti gli impegni contrattuali per la parte che abbia deciso di ricorrere a strumenti di IA, dotati di un certo livello di autonomia, per la formazione del contratto: in altre parole, la parte che ha ingenerato una peculiare situazione, giuridicamente vincolante, si farà carico delle conseguenze giuridiche prodotte dall’uso dell’IA, assumendosi i rischi relativi all’impiego di tale tecnologia. Il richiamato principio di responsabilità, così come quello di assunzione del rischio, com’è evidente, vengono invocati per ancorare agli impegni contrattuali la parte che attiva un procedimento di formazione del contratto con l’uso di tecnologie di Artificial Intelligence. In questo senso, possiamo dire che tali principi hanno, per così dire, una “spinta centripeta” rispetto alla vicenda contrattuale. Analoga spinta viene esercitata anche da altro principio, quello di affidamento, in considerazione del quale dovremmo ritenere tutelata la posizione giuridica di chi, esposto all’uso di strumenti di IA a cui abbia fatto ricorso la controparte, sia stato indotto in buona fede a confidare sulla vincolatività degli effetti giuridici generati dal contratto che si è andato a formare in tal modo. Anche il principio di affidamento ha dunque una “spinta centripeta” rispetto alla vicenda contrattuale, perché, unitamente al principio di responsabilità e di assunzione del rischio, fa propendere per l’attivazione di meccanismi di tutela che portino l’utilizzatore del sistema di IA a farsi carico delle conseguenze giuridiche prodotte con la formazione del contratto e la controparte ad essere tutelata per avervi confidato in buona fede.

Va però considerato che, in direzione opposta ai predetti principi operano altri di segno opposto, che possono essere utilizzati dalla parte che si avvale del sistema di IA per sottrarsi agli impegni contrattuali e alle conseguenze giuridiche derivanti da tale peculiare modalità di formazione del contratto: in questo senso si tratta di principi aventi, per così dire, una “spinta centrifuga” rispetto alla vicenda contrattuale. Mi riferiscono al principio di vincolatività del contratto ai soli effetti giuridici voluti o, quantomeno, ai soli effetti giuridici prevedibili, che può essere considerato una esplicitazione del principio di autonomia contrattuale e di autodeterminazione. Gli effetti giuridici che si hanno con il contratto, quale “atto giuridico”, possono prodursi solamente qualora siano il prodotto della volontà delle parti, il che richiede anche, in senso negativo, che nessuno possa essere costretto a subire effetti giuridici non voluti, né direttamente né indirettamente, tenendo conto di ciò che poteva ritenersi ragionevolmente prevedibile in relazione alla fattispecie contrattuale posta in essere. In altre parole, una parte che si avvale di uno strumento di IA per l’attività contrattuale non può ritenersi soggetta ad effetti giuridici che non potevano essere previsti al momento in cui abbia volontariamente attivato il procedimento perfezionativo del contratto mediato dalle tecnologie di IA.

È nel bilanciamento tra tali principi, di segno opposto, che dovremmo cogliere il punto di equilibrio tra le esigenze di tutela delle parti. Si comprende che è operazione complessa, non agevole, né di pronta soluzione, ma che richiede l’intervento valutativo del giudice, al fine di concretizzare l’operazione di bilanciamento. Non è certo una soluzione efficiente, se si considera che l’introduzione di sistemi di IA trova una delle sue ragioni nelle esigenze di speditezza che può realizzare, defaticando l’uomo dall’attività che altrimenti gli sarebbe propria.

V’è un altro rilievo critico da considerare. Anche qualora concentrassimo l’attenzione sui soli principi aventi spinta “centripeta”, cioè quello di responsabilità e quello di assunzione del rischio, oltre che quello di affidamento, ci accorgeremmo che, a ben guardare, si tratterebbe di principi che di per sé soli non portano a ritenere giuridicamente vincolante il contratto, né ad imputare le obbligazioni contrattuali alle parti, potendo essi valere, al contrario, per fondare un’ipotesi di responsabilità da cui discendono conseguenze sul piano risarcitorio, per esempio, ma non sul piano della conferma in ordine all’effettiva vincolatività del contratto e all’effettiva produzione degli effetti, traslativi o obbligatori, che si intendevano produrre con il contratto. Ciò ovviamente qualora il risultato dell’attività contrattuale dell’IA abbia portato all’instaurazione di contenuti ed effetti non prevedibili per la parte che vi abbia fatto ricorso e, dunque, non riconducibili, nemmeno implicitamente, alla sua autonomia contrattuale.

Anche sotto tale profilo, dunque, il ricorso ai principi, sempre doveroso, non appare di per sé risolutivo. Occorre dunque orientare le riflessioni anche su altri strumenti giuridici.

 

Quali sono le implicazioni della mancanza di adattabilità degli istituti della rappresentanza alla contrattazione tramite sistemi di IA, e come possono essere affrontate queste sfide nell’ambito legale?

Neanche l’istituto della rappresentanza, come già detto, riesce ad offrire soluzioni appaganti ed efficienti. Volendo approfondire ulteriormente le implicazioni che avrebbe, ove se ne facesse ricorso con riguardo all’uso di tecnologie di IA nell’attività contrattuale, ci accorgiamo subito della sua inadeguatezza nel nuovo contesto tecnologico.

A parte il problema dell’assenza dei presupposti per l’applicazione analogica della rappresentanza e del contrasto con l’approccio antropocentrico delineato dal legislatore europeo, va ribadito che tale istituto non si rivela in grado di risolvere le questioni giuridiche emergenti dall’impiego contrattuale di sistemi di IA.

Qualora la parte che si sia avvalsa di tale tecnologia per la formazione del contratto facesse valere il principio di vincolatività del contratto ai soli effetti voluti o comunque prevedibili e invocasse dunque tutela perché non si considera giuridicamente soggetta agli effetti traslativi o obbligatori prodotti dal contratto, si pone il problema giuridico di quale siano le soluzioni esperibili ed i rimedi invocabili. Se, ragionando per assurdo, si applicasse l’istituto della rappresentanza, l’attività contrattuale posta in essere dal sistema di IA andrebbe ricondotta all’ipotesi del falsus procurator, in quanto, producendo attività contrattuale con effetti non prevedibili per la parte che se ne sia avvalsa, si troverebbe in maniera corrispondente a chi avesse agito al di fuori dei poteri rappresentativi conferiti per la conclusione del contratto. Ne discenderebbe che gli effetti del contratto non sarebbero imputabili alla parte che abbia utilizzato il sistema contrattuale di IA, che nella “metafora” è il rappresentato, perché estranei alla propria volontà contrattuale, né sarebbero imputabili al rappresentante, che nella metafora è il sistema di IA, in quanto non avrebbe svolto  l’attività contrattuale per sé stesso, ma per conto d’altri. Si dovrebbe ravvisare, per assurdo, un profilo di responsabilità del falsus procurator, che nella metafora è il sistema di IA, che abbia formato il contratto in difetto di adeguati poteri rappresentativi. In altre parole, fuori dalla metafora, non si rinverrebbe il soggetto a cui attribuire gli effetti contrattuali, né si riuscirebbe ad individuare un soggetto a cui imputare la responsabilità, giacché il “falsus procurator” è una res.

Anche ove qualcuno pensasse di mantenersi su tale strada e trovare così una conferma alla necessità di soggettivizzare i sistemi di IA dotandoli di peculium e di personalità giuridica (artificiale), le obiezioni sarebbero comunque considerevoli e decisive: sul piano teorico la soggettività giuridica reclama l’individuazione di un centro di imputazione di interessi che, a propria volta, nel nostro ordinamento è riconducibile all’uomo e non alla res, ancillare rispetto alle esigenze dell’uomo; sul piano giuridico e valoriale, l’UE ha ribadito la necessità di adottare un approccio antropocentrico nel disciplinare l’IA, il che renderebbe dunque incompatibile ogni prospettazione volta ad antropomorfizzare i sistemi di Artificial Intelligence; da ultimo, sul piano operativo,  una siffatta operazione porterebbe ad introdurre limitazioni di responsabilità per l’uso dell’IA e sinceramente, in questa delicata fase in cui l’ordinamento giuridico mira a presidiare tale tecnologia per governarne tutti i rischi, non se ne sente affatto il bisogno.

Mi pare dunque che la strada per affrontare la complessa questione delle implicazioni giuridiche dell’uso contrattuale dell’IA debba rivolgere lo sguardo ad altre soluzioni e ad altri rimedi, iniziando da istituti collaudati in ambito contrattuale, nei cui confronti vanno poi pensati i necessari adattamenti per adeguarli “sartorialmente” alle specificità del nuovo contesto tecnologico.

Andrebbero introdotti in vista sistematica, ad esempio, dei meccanismi di controllo e di gestione dell’autonomia contrattuale con riguardo all’utilizzo dell’IA nella formazione contratto, che siano in grado di rispondere meglio ai principi, primo tra tutti quello di autonomia contrattuale, e che al contempo offrano soluzioni efficienti.

Si pensi all’istituto del diritto di recesso: introdotto nei contratti con i consumatori per le note esigenze di tutela nell’ambito della contrattazione fuori dei locali commerciali e in quella a distanza, potrebbe essere ripensato per riconoscergli una portata di carattere generale, a beneficio di tutti coloro che facciano ricorso a sistemi di IA, incluso le imprese.

L’istituto del recesso potrebbe essere utilizzato – già oggi dai consumatori nell’ambito dei contratti B2C a distanza conclusi con sistemi di IA e auspicabilmente domani anche dai non consumatori ove se ne generalizzasse la portata applicativa con riguardo all’uso dell’IA – con funzione diversa rispetto a quella che ha portato alla sua originaria introduzione: lo spatium deliberandi potrebbe cioè essere utilizzato non per sincerarsi della bontà dell’operazione contrattuale a fronte di un possibile gap percettivo o informativo nella valutazione del bene o del servizio oggetto del contratto concluso con tecniche di comunicazione a distanza, bensì come espediente per restituire un potere di controllo sull’attività contrattuale mediata dalla tecnologia di IA.

In altre parole, quando si decide di avvalersi di un sistema di IA, dotato di un certo grado di autonomia, per le decisioni da assumere in ordine alla vicenda contrattuale, si è esposti ad effetti giuridici non sempre controllabili ex ante, al momento in cui si manifesta (anche implicitamente) la volontà  di ricorrere a tale sistema per la formazione e l’integrazione del contratto e di far propri gli effetti giuridici che ne discendono, incluso quelli non previsti ma prevedibili in relazione alle circostanze. Manca, attualmente, un momento di controllo ex post, che restituirebbe invece centralità all’uomo di fronte all’azione tecnica del sistema di IA: andrebbe cioè generalizzato un meccanismo che consenta alla parte, una volta che si sia avvalso per scopi contrattuali di uno strumento di IA, di poter eventualmente recedere ad nutum dal contratto, in un lasso di tempo congruo ad esercitare un controllo ex post sull’operazione contrattuale. Il mancato esercizio del recesso, nello spatium deliberandi previsto, porterebbe a far ritenere definitivamente accettato – ed eventualmente anche convalidato – il contratto, finanche a paralizzare l’esperibilità dei principi di spinta centrifuga a cui s’è già fatto riferimento. Ove invece la parte si avvalga del diritto di recesso, esercita il potere di controllo sull’attività contrattuale posta in essere tramite tecnologia di intelligenza artificiale, riappropriandosi appieno, in senso antropocentrico, di quell’autonomia contrattuale e di quell’autodeterminazione che, con l’avvento dell’IA, tende invece a scolorirsi.

Qui il diritto di recesso avrebbe una funzione nuova, non riconducibile a quella tipica della contrattazione a distanza: non avrebbe tanto un diritto di “ripensamento”, ma un diritto all’autodeterminazione, ovvero, detta in altre parole, un diritto a far valere quella “riserva di umanità” che, anche in materia di diritto dei contratti, non può mai venir meno al cospetto dell’avvento dell’intelligenza artificiale.

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