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La trasparenza dell’informazione su Internet e la tutela del pluralismo. L’analisi di Gambino (DIMT)

Il seguente testo è estratto dall’intervento del professor Alberto Gambino – prorettore dell’Università Europea di Roma e direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia – durante il convegno “5G: le nuove frontiere della comunicazione“, organizzato dall’Università Telematica Internazionale UNINETTUNO.

C’è un tema di fondo che riguarda la trasparenza dell’informazione in Rete, ovvero il fatto che esistono oggi soggetti – anche grandi multinazionali tecnologicamente avanzate – che operano in Rete per fini di lucro. Il loro obiettivo, dunque, è uno solo: aumentare al massimo la frequentazione del proprio ambito, in modo tale da far muovere il business, che poi significa – in termini di pubblicità, di marketing, di traffico di dati – aumentare i profitti.

Ed è qui che entra in gioco l’autorità pubblica, lo stato, la legge, il diritto. Perché davanti ad un mondo che fa il proprio business – e lo fa anche bene -, occorre rimettere alcuni capisaldi. In parte lo si sta facendo: abbiamo in Europa un’agenzia che si occupa di tutta la sicurezza dei social e oltre. E abbiamo le autorità di settore: l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni; i Corecom, che sono le autorità di prossimità, cioè tutto quello che riguarda il territorio.

Il tema delle comunicazioni elettroniche è decisivo. Il tema di fondo però sono le prospettive. Io ritengo oggi che il punto più cruciale sia l’incompletezza delle informazioni che ci vengono date attraverso la Rete. E cioè il fatto che noi siamo instradati, attraverso dei percorsi dove vengono selezionati a monte dalle multinazionali. I nostri gusti, i nostri stili di vita e le nostre preferenze inevitabilmente – sia in chiave commerciale, sia in chiave informativa – ci indirizzano verso un esito. Un esito che può essere finalizzato ad un acquisto o alla consultazione di un sito. Se tutto questo viene fatto senza offrire invece la pluralità di informazioni, ecco che il tema diventa delicatissimo. Perché ci vuole poco a passare dall’economia alla politica, e cioè a rendersi conto che questi strumenti sono gli stessi strumenti per la formazione del consenso nelle sedi politiche. Non è diverso. Il marketing è lo stesso, le tecnologie sono le stesse; il modo per raccogliere consenso attraverso una piattaforma web è uguale se si vuole vendere un prodotto o un programma politico: non c’è nessuna differenza.

E quindi queste autorità non possono occuparsi soltanto di mercato. Quando l’AGCOM è nata era il garante per l’editoria, cioè era il garante del pluralismo. Poi piano piano si è un po’ perso questo discorso – rimane solo in campagna elettorale sulla par condicio -, ed è invece diventata l’autorità che regolamenta il mercato delle telecomunicazioni: quindi in un’ottica di strapotere di uno sull’altro, di pubblicità ingannevole, di pratiche commerciali scorrette. E’ rimasto un po’ sullo sfondo invece tutto il tema del pluralismo, che non è il pluralismo della campagna elettorale, ma il pluralismo di essere informati nella maniera più ampia possibile.

Ed è questo che oggi la politica e le autorità pubbliche devono ricominciare a governare. Cioè la possibilità di dare, attraverso le tecnologie, un accesso assolutamente ampio e che vada in profondità, che non rimanga in superficie. Noi stiamo creando una realtà che diventa davvero virtuale, nella quale veniamo instradati su dei comportamenti. Quindi in questo senso io immagino un grande tavolo con le autorità per la regolazione, i governi, gli enti internazionali, certamente le Nazioni Unite, con i player – perché tanto non se ne può fare a meno -, che ad un certo punto si mettono d’accordo e trovano un grande codice di regolazione etica della Rete, del web, delle tecnologie. Perché altre strade non ce ne sono: le giurisdizioni nazionali non possono nulla, tanto più se ci sono paesi come la Cina che per motivi di business sfuggono totalmente a quei diritti fondamentali.

Cerchiamo però anche una via italiana. Recuperiamo un utilizzo delle tecnologie per andare in profondità sulla cultura. Pensate a tutta la digitalizzazione del patrimonio che abbiamo in Italia, che diventa open access e che può a questo punto essere cultura, competenze, per formare i nostri giovani – perché tanto alla fine sono le competenze che fanno la differenza. Avendo noi quel patrimonio, se riusciamo ad utilizzarlo attraverso le tecnologie per una fruizione più larga possibile, secondo me riusciamo a fare anche quel contro-servizio che ridà una pluralità di contenuti all’informazione.

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