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Intervista ad Emanuela Andreola: “Minori e incapaci in Internet”
Emanuela Andreola è avvocato, ha conseguito il dottorato di ricerca in diritto civile presso l’Università di Padova e l’abilitazione nazionale a Professore Associato. È autrice di monografie, saggi e note a sentenza pubblicati in varie riviste in materia di diritto di famiglia, responsabilità civile e diritto della tecnologia.
Dott.ssa Emanuela Andreola
A Suo avviso ed in relazione alla Sua recente pubblicazione, “Minori e incapaci in Internet“, l’attuale sviluppo tecnologico e digitale quale ripercussione sta dando su quelle particolari categorie giuridiche che tutelano le fasce di popolazione definite “fragili”, come anziani e minori? Nello specifico, quale rilievo ha la tecnologia sulla giurisprudenza che definisce la loro capacità di agire?
Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione hanno inciso e tendono ad avere sempre maggiore rilevanza rispetto alle categorie giuridiche per effetto dello stretto rapporto di sviluppo e di reciproco adattamento esistente tra tecnica e diritto. In questa fase dell’era digitale e nel contesto della globalizzazione, la tecnologia ha travolto i precedenti modelli sociali, economici, politici, culturali con ricadute anche sugli istituti tradizionali di protezione come quello della «capacità di agire». La digitalizzazione dei dati e l’aumento dei rapporti telematici, quale mezzo normale di espressione della personalità e di scambio commerciale a distanza, offrono certamente un ampliamento del diritto all’informazione ma nascondono altresì numerose insidie nella frequentazione della rete. Di qui i numerosi nuovi problemi applicativi delle norme, in particolare con riferimento a quei soggetti che possono definirsi «deboli» in relazione alla capacità di comprensione dei contenuti e all’uso degli strumenti tecnologici nelle relazioni personali e commerciali. La questione fondamentale che riguarda l’efficacia degli istituti tradizionali di protezione degli incapaci legali o dei soggetti che costituiscono rapporti on line in condizione di inferiorità psicofisica per ragioni di età (il minore e l’anziano), di salute o di arretratezza culturale, deriva dalla difficoltà di applicare la disciplina sulla condizione soggettiva delle parti «fragili» nei rapporti giuridici a distanza caratterizzati da una sorta di «spersonalizzazione» degli atti telematici. L’esigenza di protezione si realizza attraverso il controllo giudiziale delle condizioni soggettive dell’utente, verificando la coscienza e la volontà del soggetto al momento della dichiarazione digitale. Nell’adattamento degli istituti ha un ruolo importante il formante giurisprudenziale che, ad esempio, nel contenzioso familiare mostra di riconoscere sempre maggiore rilevanza alla «capacità di discernimento» del minore anticipando la capacità di agire rispetto al raggiungimento della maggiore età con conseguenze sulla validità degli atti e sulla responsabilità per gli illeciti.
Il rapporto tra diritto all’informazione, la quale viaggia sempre più tramite social media e piattaforme digitali, e la validità del consenso nei rapporti telematici sta mettendo di fronte alla comunità giuridica nuovi problemi di tutela delle fasce di popolazione “fragili”. Come approfondisce l’analisi su queste criticità all’interno del Suo volume? Come si può effettivamente tutelare e regolamentare l’effettiva consapevolezza dell’atto telematico compiuto nel caso delle fasce di popolazione fragili, come per persone in età avanzata?
La validità del consenso nei rapporti telematici, relativamente ai diritti fondamentali della persona e agli atti patrimoniali di disposizione dei soggetti-consumatori vulnerabili, pone numerose questioni che vanno affrontate in modo diverso nell’ambito extracontrattuale e contrattuale. Sotto il primo profilo, è stato ampiamente messo in luce dalle scienze sociologiche che i social network e i gruppi di messaggistica istantanea creano un apparente senso di intimità che può spingere gli utenti a esporre senza limiti la propria vita privata e a rivelare informazioni di carattere strettamente personale, che possono provocare effetti collaterali anche a distanza di anni. Con riferimento alla soglia di validità del consenso al trattamento dei dati personali, la normativa europea, come recepita dagli Stati membri, prevede oggi un’anticipazione della capacità di agire del minore al sedicesimo o quattordicesimo anno di età. La previsione non ha tuttavia ha carattere generale ma riguarda l’ambito ristretto dei servizi direttamente offerti dalle piattaforme digitali ai minori, con esclusione di altri settori (bancario, finanziario ed altri) per i quali opera il limite dei diciotto anni. Nell’ambito contrattuale, gli acquisti on line vengono regolati dalla normativa generale sui vizi del consenso, in base ai principi elaborati dalla giurisprudenza e dalla dottrina nel contesto europeo e nazionale e secondo gli effetti dell’istituto della rappresentanza legale, ma con difficoltà applicative in ordine alla effettiva imputabilità dell’atto negoziale all’incapace legale o naturale.
Sotto il profilo del metodo, l’esame delle questioni impone al giurista un’analisi interdisciplinare della fattispecie e una prospettiva transnazionale, rispetto alla quale è anzitutto rilevante il sistema delle fonti, sia con riferimento ai diritti assoluti della persona, sia con riguardo alla qualità di parte dell’utente del web nei contratti del commercio elettronico. Il panorama normativo di riferimento è articolato e le fonti molteplici (principi costituzionali applicabili al «nuovo» diritto alla libertà informatica e di accesso alla rete Internet, convenzioni internazionali, regolamenti e direttive europee, leggi nazionali di recepimento – a volte solo parzialmente conformi -, nonché codici di autoregolamentazione degli operatori del mercato virtuale), il che rende necessaria una omogeneizzazione della disciplina.
Come può essere definito il consenso digitale e l’illecito telematico nel caso del minore? Come l’attuale giurisprudenza si sta muovendo per la tutela di questi particolari casi?
Il concetto di «consenso digitale» e di «illecito telematico» sono strettamente correlati anche se il primo attiene alle condizioni di validità di trattamento dei dati personali del minore e l’altro riguarda gli effetti dell’atto antigiuridico dal medesimo commesso in internet. Nel primo caso, il minore viene protetto da una violazione altrui, nel secondo egli può essere ritenuto responsabile di una propria violazione. La ragione di questa stretta connessione deriva dal fatto che il giovane utente della rete, nel flusso delle informazioni cui accede per finalità didattiche, ludiche o di socializzazione, può essere al tempo stesso soggetto passivo di violazioni di diritti e partecipare attivamente al traffico infodemico, anche in modo non del tutto consapevole, favorendo la perpetrazione di un illecito civile. Nel momento in cui il minore condivide il contenuto illecito (diffamatorio, lesivo delle privacy o altro) diventa infatti egli stesso autore e perciò civilmente responsabile.
Sulla nozione di «illecito telematico», non è ancora stata elaborata una figura autonoma ma già si intravedono elementi distintivi, come la gravità dell’illecito, l’irreparabilità del danno e la potenziale pluralità di soggetti responsabili. La complessità della figura determina un problema di effettività della tutela attraverso il ricorso all’autorità giudiziaria. Il rimedio risarcitorio sembra quello realmente meno compensativo del danno, essendo invece preferibili rimedi cautelari immediati inibitori volti ad impedire la perpetuazione del pregiudizio. In Italia un esempio recente di applicazione del potere interdittivo di autotutela ex art. 58 GDPR, in funzione cautelare, si ravvisa nell’intervento del Garante per la protezione dei dati personali, in risposta al drammatico episodio di cronaca della bambina di dieci anni morta nell’ambito di una sfida emulativa (“hanging challenge”) lanciata su TikTok. Nel caso concreto, risultavano violate le regole sul consenso digitale nella procedura di iscrizione alla piattaforma social.
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