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Intervista al Prof. Emanuele Bilotti: “Questioni di Diritto minorile attraverso il cinema”

Il Professor Emanuele Bilotti è dal 2016 ordinario di Diritto privato nell’Università Europea di Roma e, dal 2016 al 2021, Coordinatore del Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza e componente del Senato accademico. Dal 2019 è stato componente del Management Committee per l’Italia dell’Azione COST “The European Family Support Network. A bottom-up, evidence-based and multi-disciplinary approach” (CA 18123).

Il Prof. Emanuele Bilotti

 

Come nasce l’iniziativa “Questioni di Diritto minorile attraverso il cinema”?

Col ciclo di seminari “Questioni di diritto minorile attraverso il cinema” il Corso di laurea in Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma vuole offrire un contributo al miglioramento dell’esperienza dei suoi studenti attraverso l’innovazione della didattica. È uno degli obiettivi che la nostra comunità accademica ha messo al centro dei suoi sforzi come si evince anche dal Piano strategico di Ateneo 2021-2024 recentemente approvato.

L’idea è quella di sfruttare le potenzialità del linguaggio cinematografico nella didattica universitaria del diritto. Non si tratta certo di una novità. Ci siamo infatti ispirati ad esperienze di successo realizzate già da diversi anni in altri Atenei. Penso in particolare al “Diritto penale al cinema” proposto dalla prof.ssa Antonella Massaro del Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di “Roma Tre”.

Nel nostro caso abbiamo scelto di invitare gli studenti a riflettere insieme su alcuni temi di diritto minorile. L’impressione, infatti, è che si tratti di una materia un po’ trascurata nel percorso formativo del giurista. Eppure, è una materia di grande rilievo e di straordinaria attualità.

Oggi il diritto della famiglia è certamente uno dei settori più dinamici dell’intero ordinamento. E il principale motore di questo dinamismo è appunto il principio del superiore interesse del minore. Ci auguriamo che le questioni che abbiamo pensato di approfondire in ciascun seminario – le scelte terapeutiche del minore, il sostegno alla genitorialità e i segreti nell’adozione – possano essere utili a metterne a fuoco la nozione, superando quella percezione di ambiguità e di indeterminatezza che talora la caratterizza, soprattutto quando viene ridotta ad arma di uno sterile confronto ideologico.

Ci aiuteranno, con la loro sensibilità e la loro competenza, i tre relatori che animeranno ciascun incontro: tre magistrati – Eugenia Serrao, Daniela Bianchini ed Angela Rivellese – che, come giudici minorili o come giudici tutelari, hanno maturato un’esperienza di anni nelle singole materie oggetto di approfondimento. Sono sicuro che il confronto con queste figure offrirà ai nostri studenti anche l’occasione di interrogarsi sulla propria vocazione professionale.

Abbiamo pensato al diritto dei minori anche perché si tratta di un sapere tipicamente interdisciplinare o, meglio, transdisciplinare. In effetti, il giurista che si occupa dei problemi dei bambini e degli adolescenti non deve semplicemente sapersi muovere con disinvoltura in diversi settori dell’ordinamento. Deve possedere una sensibilità capace di andare ben al di là di quella propria dell’interprete dei dati positivi. Sono fondamentali anche gli apporti della psicologia, della pedagogia, della sociologia… Ma soprattutto è fondamentale un sapere integrale sull’uomo.

Ci auguriamo perciò che questa proposta del Corso di laurea in Giurisprudenza possa trovare interesse anche tra gli Studenti degli altri Corsi del nostro Ateneo. E così pure tra le tante figure professionali che, a diverso titolo, si occupano dei problemi dei bambini e degli adolescenti in una grande città come Roma. In fondo, anche iniziative di questo tipo attestano lo sforzo di public engagement dell’Università Europea di Roma.

 

Si parla spesso, con l’esposizione al digitale del minore, di diritto all’autodeterminazione del minore in relazione allo sviluppo della capacità decisionale. Potrebbe approfondire con noi queste tematiche inerenti ai diritti dei bambini e degli adolescenti?

Il tema controverso dell’autodeterminazione dei minori è oggi al centro del dibattito. E non solo tra gli addetti ai lavori.

Da ultimo è stata soprattutto la rivoluzione digitale a richiamare su di esso l’attenzione. La bella intervista alla prof.ssa Ilaria Garaci, pubblicata proprio su DIMT qualche settimana fa, chiarisce i termini del problema. Ma l’attenta analisi della prof.ssa Garaci – “Il «superiore interesse del minore» nel quadro di uno sviluppo sostenibile dell’ambiente digitale”. Intervista alla Prof.ssa Ilaria Garaci – mette anche in evidenza come, nell’affrontare il tema dell’autodeterminazione del minore, sia necessario prestare la massima attenzione a non farsi condizionare da schemi ideologici semplificanti.

In effetti, in tempi recenti, alla tradizionale retorica paternalista della protezione di soggetti considerati per legge psichicamente immaturi si è sostituita l’idea secondo cui, almeno con riferimento all’esercizio dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, al minore che abbia conseguito una sufficiente capacità di giudizio andrebbe riconosciuta la capacità d’agire.

Beninteso, è senz’altro auspicabile il superamento di una concezione secondo cui la condizione giuridica del minore sarebbe interamente assorbita dalla soggezione ai poteri-doveri di rappresentanza e di cura spettanti ai genitori nel suo interesse. Quest’idea non trova infatti riscontro nella realtà. Né sembra coerente col rispetto dovuto alla dignità di ogni persona.

Anche l’idea opposta dell’autodeterminazione assoluta del minore non sembra però meno mistificante. In effetti, anche a non voler far riferimento alla prospettiva ormai superata secondo cui i minori sarebbero un gruppo sociale discriminato, che dovrebbe essere “liberato” dal potere opprimente degli adulti, la radicalizzazione dell’idea dell’autodeterminazione del minore trova pur sempre giustificazione in una concezione astratta e materialista della persona, riguardata semplicemente come soggetto di bisogni materiali.

Nonostante le migliori intenzioni anche questa proposta rischia allora di essere funzionale ad esigenze del mercato. La pervasività delle logiche mercantili esige infatti che il dogma dell’assoluta libertà di disporre estenda sempre più il suo raggio di azione. Di qui l’esigenza di valorizzare oltremodo anche l’autodeterminazione del minore.

Ma così, a ben vedere, bambini e adolescenti sono lasciati in balìa di condizionamenti esterni forse ancor più insidiosi di quelli che possono determinarsi in un rapporto problematico con i genitori. D’altra parte, la logica libertaria dell’autodeterminazione assoluta del minore finisce per indurre nei genitori un disimpegno e una deresponsabilizzazione sempre maggiori.

In realtà, tra la logica paternalista e quella libertaria il nostro ordinamento ha adottato un’opzione mediana. L’autodeterminazione del minore, pur non essendo affatto priva di rilievo, trova comunque un limite nel munus educativo dei genitori, che però, a sua volta, deve sempre conservare una struttura dialettica e non autoritaria.

La regola è allora quella del concerto delle volontà, per cui né la volontà del minore è destinata ad annullare il munus educativo dei genitori né la volontà dei genitori può senz’altro imporsi al figlio fino al punto di comprometterne la libertà e i diritti fondamentali. In nessun modo la giusta privatezza da riconoscere alla relazione tra genitori e figli può allora intendersi come una pretesa di immunità e di chiusura totale ai valori del libero svolgimento della personalità e della vita comunitaria.

Ma con ciò è chiaro anche quale debba essere il criterio per affrontare correttamente le delicate questioni che si pongono ormai con frequenza sempre maggiore nei rapporti tra genitori e figli in contesti sociali in cui appartenenze etniche o religiose impongono sistemi valoriali non sempre compatibili col rispetto della dignità della persona.

 

Come affrontava nel quaderno uscito nel 2014 sulla nostra rivista scientifica: Fecondazione eterologa, diritto alla genitorialità naturale e diritto alla conoscenza delle origini biologiche, ad oggi come a Suo avviso è evoluta la giurisprudenza in relazione alle tecniche riproduttive? Quali le tutele? 

Il problema dell’accesso alle tecniche riproduttive viene presentato per lo più come un problema di non discriminazione rispetto all’esercizio di un preteso diritto fondamentale della persona adulta: il cd. “diritto a procreare”. In realtà, dopo alcune incertezze iniziali, anche la Corte costituzionale riconosce ormai che l’interesse a diventare genitori non può essere tutelato dal legislatore “sempre e comunque sia”. E dunque che non esiste un diritto fondamentale della persona a far ricorso alle tecniche riproduttive.

Ne consegue che il legislatore può senz’altro prevedere dei limiti rigorosi all’accesso, sempre che – s’intende – non operi scelte prive di qualsiasi ragionevolezza.

Ci si può chiedere, in realtà, se la norma personalista – e cioè la centralità riconosciuta alla dignità della persona – non imponga addirittura una soluzione di maggior rigore.

A ben vedere, infatti, solo finché il cd. “diritto a procreare” si atteggi come libertà di diventare genitori attraverso l’esercizio della sessualità rimane aperta la possibilità per i generanti di relazionarsi al generato secondo una logica di pura gratuità. Diversamente, anche con riferimento al nascere dell’uomo, il “provenire da” che è proprio di ogni vita che nasce – la relazione di dipendenza che inevitabilmente si dà tra i generanti e il generato – si riduce a un “essere prodotto da”. Anche la relazione umana originaria è così fatalmente consegnata a dinamiche tipiche del mondo delle cose.

Il che vuol dire, in altri termini, che ciò che davvero è in questione quando si discute di accesso alle tecniche riproduttive è la garanzia dell’eguale dignità delle persone. È vero allora che l’accesso alle tecniche pone un problema di discriminazione. Ma si tratta di un problema che riguarda i generati e non gli adulti che aspirano alla genitorialità.

Ciò posto, non si possono però chiudere gli occhi di fronte alla realtà. Non può essere eluso lo spinoso problema dello status dei nati in violazione dei divieti di accesso alle tecniche. Al riguardo, del resto, sia la Corte costituzionale sia la Corte di Strasburgo hanno affidato al legislatore un compito molto chiaro: al nato deve essere garantita una tutela piena, ma senza perciò dover mettere in discussione i divieti previsti dalla legge. Né tanto meno la legittima finalità di disincentivare pratiche degradanti come la maternità surrogata, che sono anche pesantemente sanzionate dalla legge.

Ma se la finalità da perseguire è questa, allora deve senz’altro escludersi la soluzione di un riconoscimento ab initio della genitorialità già accertata all’estero attraverso la trascrizione dell’atto di nascita straniero.

Ma anche la soluzione della cd. stepchild adoption appare problematica. Certo, in quest’ultimo caso l’accertamento del rapporto genitoriale consegue a un accertamento in concreto della sua conformità al superiore interesse del minore. Non sembra tuttavia ammissibile che possano essere gli adulti a far valere una genitorialità conforme a un progetto disapprovato dall’ordinamento. D’altra parte, se gli adulti decidessero di non attivarsi, il minore rimarrebbe privo di tutela.

È dunque solo al minore che deve essere riconosciuta l’azione volta al riconoscimento di tutti i diritti propri del figlio anche nei confronti dell’adulto privo di legame biologico. Si tratta infatti di tutelare il superiore interesse del minore, non l’interesse degli adulti a diventare genitori “sempre e comunque sia”.

Il legislatore dovrebbe poi prevedere che l’azione volta al riconoscimento di tutti i diritti connessi allo status di figlio debba essere esercitata, per conto del minore, da un curatore speciale nominato a tal fine dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza di chiunque vi abbia interesse.

 

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