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Intervista al Prof. Avv. Massimo Franzoni. Premio alla Carriera SIEDAS 2021, categoria “Diritto”

Intervista al Prof. Avv. Massimo Franzoni

Premio alla Carriera SIEDAS 2021, categoria “Diritto”

In occasione della premiazione alla Carriera SIEDAS 2021, la redazione di DIMT ha intervistato il Prof. Avv. Massimo Franzoni vincitore della categoria “Diritto”.

Massimo Franzoni è Professore Ordinario presso il Dipartimento di Scienze Giuridiche delll’Università “Alma Mater Studiorum” di Bologna. Ha diretto la Scuola di Specializzazione delle Professioni Legali di Bologna è stato ed è tuttora componente del Comitato scientifico di Fondazioni Forensi, oltre che componente del Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Bologna. È direttore di numerose e prestigiose riviste giuridiche e nel 2011 è stato nominato Miembro De Honor dell’Associazione cubana di Diritto civile di diritto di famiglia. Ha al suo attivo più di 230 pubblicazioni, tra le quali più di 20 monografie.

 

Prof. Massimo Franzoni

 

Nel confronto tra due ambiti molto distanti tra loro, quali il diritto e l’arte, possiamo parlare di interpretazione e improvvisazione nella musica come nel diritto? E’ possibile un paragone del lavoro dell’interprete della norma a quello della partitura?

Chi dipinge un quadro o scrive un romanzo stabilisce un rapporto diretto con il suo pubblico; lo stesso è per chi esegue una scultura o realizza un allestimento: il medium è l’opera d’arte. Per contro la musica e il diritto non sono i testi su cui si possono leggere. Un brano musicale non è il solo spartito, così come il diritto non è la sola Gazzetta Ufficiale su cui sono scritte tutte le leggi dello Stato. I testi di per sé non sono sufficienti, occorre che un soggetto (per il diritto, necessariamente) diverso dal suo autore li interpreti e, così dicendo, che li faccia vivere. La musica è il risultato della scrittura di un brano su un foglio e dell’esecuzione da parte dell’interprete, che diventa tale, quand’anche ne sia stato l’autore. Questa esecuzione può variare da interprete a interprete per tante ragioni, pur essendo identico lo spartito che la riproduce.

Molto simile è il diritto che, senza l’interprete che fa emergere il precetto scritto nella norma, non potrebbe esistere come sistema sociale di composizione dei conflitti. È l’interprete della norma – il giudice è l’interprete per eccellenza – che leggendo il testo scritto è in grado di collegarlo al fatto accaduto nella realtà, adoperando proprio quella norma per risolvere la lite nel processo. È il giudice che leggendo nell’art. 111 cost. l’espressione, “giusto processo”, deve stabilire se sia tale quello durato troppo a lungo, oppure quello in cui, sebbene nessuna norma sia stata apparentemente violata, non abbia consentito alla parte un adeguato diritto alla difesa, come dicono gli addetti ai lavori: il rispetto del contraddittorio.

Lo stesso è per l’interprete di un brano musicale che deve tradurre l’indicazione “Andante” in un tempo che varia, secondo una recente convenzione, fra 73 e 77 pulsazioni al minuto; che deve tradurre l’indicazione “Rallentando” in una progressiva riduzione del tempo di esecuzione in modo corrispondente all’indicazione il cui risultato non si può rappresentare in modo matematico; che deve corrispondentemente diminuire l’intensità sonora, anche se non è scritta nello spartito; e che deve orientare verso una certa direzione la frase musicale scritta nello spartito.

Suggestiva è la parte della domanda che riguarda l’improvvisazione. Talvolta è necessaria nella musica, così come nel diritto. Quando si parla di improvvisazione nella musica, si pensa normalmente al Jazz. In realtà l’improvvisazione nasce probabilmente con la stessa musica. Ci sono brani scritti di epoca barocca che sono volutamente incompiuti, per lasciare all’interprete il compito di completarli, come molti divertimenti nelle fughe, secondo i manoscritti originali.

Lo stesso accade per il diritto in presenza di norme che sono soltanto evocative di qualcosa che il legislatore non ha inteso esprimere in modo analitico. Si pensi alla buona fede, al buon costume (degli affari), all’ordine pubblico (in senso economico), al danno ingiusto nell’illecito aquiliano; si pensi all’ipotesi in cui manchi una norma precisa per risolvere il conflitto e questa debba trovare soluzione con l’impiego dell’analogia. Qui l’interprete deve di fatto creare il precetto per il tempo in cui va risolto un certo conflitto con un’attività molto simile a quella dell’improvvisazione in musica. Come in musica, l’“improvvisazione” del giurista deve considerare il contesto in cui eseguirla e lo strumento adoperato che non può essere abbandonato. In altre parole: nel diritto, l’interprete può improvvisare nei limiti dei principi generali dell’ordinamento giuridico; in musica, probabilmente si può sostenere che l’improvvisazione può essere più libera, ma non ne sarei così sicuro.

 

La somiglianza tra il linguaggio musicale e giuridico, dove entrambi necessitano dell’attività dell’interprete, porta a individuare diverse analogie tra i due modelli interpretativi, potrebbe approfondire con noi quali sono tali affinità e quali le differenze?

L’affinità è soltanto nel modello, nell’uso dello strumento ermeneutico; certo la musica e il diritto operano su settori sociali affatto differenti e non altrimenti paragonabili. Un’affinità può essere ravvisata in quell’antico adagio secondo il quale il giudice è la bocca della legge. Si tratta di quella antica regola di fonte illuminista che vedeva la supremazia della lex, in quanto diretta espressione della volontà popolare, subordinato essendo il ruolo del giudice.

Volendo trovare una similitudine con la musica, qualcosa del genere è accaduto a partire dagli anni sessanta del secolo scorso, quando molti interpreti hanno incominciato ad interrogarsi sul modo di eseguire la musica antica e la musica barocca in particolar modo. L’esigenza di riprodurre la musica scritta nei tre o quattro secoli scorsi, allo stesso modo in cui, verosimilmente, veniva eseguita nel suo tempo, ha legittimato anche l’impiego di strumenti d’epoca. Forse questa vicenda può essere apparentata a quella giuridica che conduce alla logica della interpretazione meramente letterale, secondo le direttive di una scuola inaugurata verso la metà dell’800 andata sotto il nome della scuola dell’esegesi.

Ciò detto, nell’ambito giuridico, la scuola dell’esegesi ai nostri giorni è impensabile; l’ermeneutica giuridica, infatti, si è profondamente trasformata per via del variegato sistema delle fonti del diritto. Al contrario, nella musica, una esecuzione il più aderente possibile agli intenti del compositore antico può avere un indubbio valore estetico e storico-scientifico. Per contro può avere un altrettanto pregio estetico una completa rilettura sul piano dell’esecuzione, effettuata con gli stilemi dell’attualità.

 

A Suo avviso, l’analisi e la comparazione tra l’interpretazione normativa e musicale può supportare una più vasta comprensione del fenomeno giuridico?

La comparazione su cui si è finora ragionato è un elegante esercizio formale e non è foriero di sviluppi ulteriori. Si limita a rilevare delle coincidenze che si verificano di tanto in tanto, ma che non consentono di procedere oltre, una volta che siano state scrutinate. La musica non è il diritto, non potrà mai esserlo, il diritto non va prezzato sul piano estetico, anche se ciò che gli addetti ai lavori chiamano enforcement, ossia la verifica dell’efficacia di una certa norma, la sua effettività, può somigliarvi con una qualche approssimazione.

Sono portato a pensare che, in larga misura, il problema della musica sia estetico e si risolva nel modo in cui la sua esecuzione riesca a comunicare emozioni a chi ascolta: a questo fine mi pare rivolto prevalentemente l’attività dell’interprete. Al contrario, lo scopo della norma giuridica, attraverso l’applicazione del giudice che interpreta la legge, è quella di comporre conflitti, così da evitare la litigiosità sociale. Come si dice nel nostro tempo, la best practice dell’interprete è di applicare la norma per risolvere conflitti, così da ottenere una decisione che raccolga il massimo grado di consenso da parte di tutti i consociati. Ai tempi nostri, la tecnicità del diritto deve coniugarsi con il grado di consenso che raggiunge il decisum, ossia il diritto applicato.

 

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