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Intervista al Prof. Virgilio D’Antonio. Minori superdigitali e la stanca categoria della capacità di agire

Il Prof. Virgilio D’Antonio è un esperto di Diritto Privato Comparato, attualmente Professore ordinario presso l’Università degli Studi di Salerno. Ha ricevuto il titolo di “Doctor Honoris Causa” dalla Universidad Católica de Colombia nel 2020. È stato anche national reporter per l’Italia al XVIIIth International Congress of the International Academy of Comparative Law nel 2010. Ha svolto periodi di studio e ricerca presso diverse istituzioni in tutto il mondo, tra cui l’University of Illinois at Urbana-Champaign negli USA, l’University of Haifa in Israele, l’Universitat Estatal de Barcelona in Spagna e l’Universidad Católica de Colombia. Partecipa attivamente alla redazione di diverse riviste accademiche e fa parte del Laboratorio di Ricerca In.Di.Co. (Informazione, Diritto e Comunicazione) e del Laboratorio di Linguistica Computazionale “M. Gross”, oltre ad essere membro del Co.Ri.Sa. (Consorzio Ricerca Sistemi e Agenti).

 

L’intervista che segue offre un’opportunità preziosa per approfondire l’intervento del Prof. Virgilio D’Antonio nell’ambito degli “Stati Generali del Diritto di Internet e della Intelligenza Artificiale III edizione”, organizzati da Francesco Di Ciommo e Giuseppe Cassano presso la Luiss. Durante questo evento di grande rilevanza, il Prof. D’Antonio ha esaminato in dettaglio il tema “Minori super digitali e la stanca categoria della capacità di agire”, offrendo riflessioni profonde sulle sfide giuridiche e sociali legate alla partecipazione dei minori nella società digitale. Questa intervista ci consente di approfondire ulteriormente le sue analisi e di esplorare le implicazioni di questo dibattito in evoluzione continua.

 

 

Il suo studio evidenzia un cambiamento significativo nel concetto di capacità di agire per i minori, soprattutto alla luce dello sviluppo della social network economy. Potrebbe illustrare come la definizione tradizionale di capacità di agire si sia adattata a questo nuovo contesto digitale?

Ove visto nella peculiare prospettiva dello sviluppo della persona, l’istituto della capacità di agire, nelle declinazioni che esso assume nei diversi ordinamenti giuridici, è lo strumento tramite cui, secondo tradizione, il minore d’età viene accompagnato alla consapevolezza di sé nell’agire giuridicamente rilevante.

Questa funzione torna costante nelle diverse declinazioni che l’istituto pure assume tanto negli ordinamenti di Civil Law quanto in quelli di Common Law, seguendo anche la distinzione canonica tra atti di natura personale (rispetto ai quali la capacità di discernimento funge da leva di progressiva emancipazione dall’incapacità totale propria della minore età) e quelli di carattere patrimoniale (ove secondo diverse dinamiche normative si tende a conferire stabilità di effetti all’attività negoziale minuta del minore: si pensi al nostro art. 1426 c.c. o alla teoria dei necessaries del diritto anglosassone).

Le ricostruzioni che potremmo definire “classiche” del progressivo consolidarsi della capacità di agire del minore ci restituiscono, dunque, una prospettiva ove l’approfondimento dottrinale (e giurisprudenziale) si è concentrato essenzialmente sulla dimensione personale (si pensi, a titolo esemplificativo, alle pronunce in materia di scelte religiose del minorenne o a quelle, più recenti, legate alle vaccinazioni), con una forte marginalizzazione degli aspetti patrimoniali, relegati alla soglia del giuridicamente irrilevante e con una casistica pressoché insistente.

In buona sostanza, un sistema costruito sulla caratterizzazione del minore quale soggetto di diritto indifferente in termini economico, in quanto fisiologicamente escluso da traffici negoziali consistenti e con conseguente possibilità per l’ordinamento di “sopportare” un certo margine di incertezza in ordine alla stabilità di effetti di contratti di piccolissimo cabotaggio (tipico l’esempio di scuola dell’acquisto di caramelle).

Lo scenario è cambiato drasticamente con l’avvento di Internet e, soprattutto, della social network economy, ove il minore, lungi dal muoversi in contesti alle soglie del giuridicamente irrilevante (almeno in termini economici), diventa a tutti gli effetti consumatore di massa e uno dei protagonisti principali di questo modello di mercato (come prosumer, al contempo produttore e consumatore di contenuti).

Si assiste, allora, a novelle normative (emblematici, ad esempio, il Children’s Online Privacy Protection Act statunitense o il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101) ove si anticipa considerevolmente la soglia temporale entro cui il minore acquista spiragli sempre più ampi di una sorta di capacità d’agire digitale, con l’intento di assicurare stabilità di effetti alla molteplicità di atti e negozi da questi compiuti online.

 

Nell’era digitale, i minori sono sempre più coinvolti come consumatori di massa e partecipanti attivi nella social network economy. Quali sono le principali sfide giuridiche e normative che emergono da questo cambiamento di ruolo dei minori nel contesto digitale?

Come accennavo, la sfida principale è legata alla possibilità di conciliare le dinamiche di protezione che l’ordinamento lega alla minore età con l’inedito ruolo del minore quale consumatore di massa dell’economia del web: insomma, possiamo dire che Internet ha segnato il tramonto della lunga stagione che ha visto il minore quale soggetto economicamente e giuridicamente irrilevante nel suo agire con rilevanza patrimoniale.

In questo scenario, si pensi alla legge francese (loi no. 2020-1266 del 19 ottobre 2020) dedicata ai cd. baby influencer, cioè minori di sedici anni produttori di contenuti audio e video destinati a essere caricati su piattaforme online di condivisione con finalità lucrativa. Oppure, si consideri ancora il mondo variegato – ancora in parte privo di regole definite – dei gamer professionisti (collegati anche agli e-sport): videogiocatori professionisti, spessissimo minorenni, che muovono capitali importanti partecipando a tornei online oppure condividendo le proprie esperienze di gioco. Per rimanere nel campo degli esempi, c’è poi tutta l’area dei contenuti presenti online destinati specificamente a consumatori minori: contenuti gratuiti accanto a quelli cd. freemium (versione di base gratuita cui si affiancano estensioni con funzionalità aggiuntive a pagamento).

La sfida del diritto (e, con esso, della capacità di agire) è quella di conservare la capacità di accompagnare e tutelare il minore senza privarlo della centralità che oggi riveste nella dimensione digitale, ma garantendogli al contempo adeguati strumenti di tutela rispetto alla sua identità (non soltanto digitale) in formazione.

 

Ha menzionato normative come il Children’s Online Privacy Protection Act statunitense e il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che anticipano considerevolmente la soglia temporale entro cui i minori acquisiscono una sorta di capacità d’agire digitale. Potrebbe spiegare quali sono le implicazioni di queste normative e come influenzano il concetto di capacità di agire per i minori?

Come dicevo, sono state introdotte diverse normative che consentono al minore, prima del raggiungimento della maggiore età, di poter disporre dei propri dati personali.

In Italia il riferimento è il d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che, parallelamente a quanto avvenuto negli altri Stati dell’Unione Europea, ha fissato un’età minima per l’accesso autonomo ai social network e, più in generale, ai cd. “servizi della società dell’informazione”: 14 anni. Per la verità, il GDPR (il Regolamento Privacy Europeo: Reg. UE n. 2016/679), nel disciplinare siffatto limite, aveva previsto la soglia dei 16 anni, ma a ogni ordinamento nazionale è stata lasciata la possibilità di introdurre previsioni derogatorie, circostanza questa che ha comportato un pressoché generalizzato orientamento nell’abbassare la soglia a 14 anni.

Oggi, dunque, il compimento del quattordicesimo anno di età viene ritenuto il momento in cui il minore matura una “consapevolezza digitale” di sé tale da poter agire autonomamente nel web: potremmo dire che, a 14 anni, il minore acquista una sorta di capacità di agire digitale.

Invero, l’accesso ai servizi informatici non è legalmente precluso in termini assoluti al minore di 14 anni, ma in questo caso è necessario che il fornitore del servizio acquisisca il consenso dell’esercente la responsabilità genitoriale. Va detto che, nonostante questa possibilità, molti operatori vietano comunque ai minori di 13 anni l’accesso ai propri servizi, così da non essere soggetti al Children’s Online Privacy Protection Act (COPPA), legge federale adottata negli Stati Uniti nel 1998 ed entrata in vigore nel 2000, che si applica a chiunque raccolga online informazioni personali di minori di età inferiore ai 13 anni (anche non statunitensi).

Nel tornare, dunque, al quattordicenne che si accosta autonomamente ai social network ed alla Rete, la disciplina comunitaria, in linea con quanto già garantisce al fruitore maggiorenne, impone che il fornitore del servizio informi il minore circa la sorte dei suoi dati personali che verranno acquisiti nell’ambito della fruizione: l’unica previsione di garanzia peculiare è che tale informativa deve essere redatta con linguaggio particolarmente chiaro e semplice, conciso ed esaustivo, facilmente accessibile e comprensibile dal minore, al fine di rendere significativo il consenso prestato da quest’ultimo. In altre parole, almeno in astratto, sembrerebbe imporsi al prestatore di servizi un “aggravamento” dell’onere informativo, da calibrare sulla specifica capacità di decodifica del minore, così da ottenere da questi un consenso effettivamente informato.

Eppure, i dubbi restano molteplici, soprattutto nella misura in cui la prassi di utilizzazione dei servizi informatici dimostra, secondo un trend (in crescita) costante, come siano moltissimi i minori di 13 anni che, spesso anche con l’assistenza di adulti (ben poco consapevoli!), si iscrivono fraudolentemente, inserendo dati anagrafici falsi, ai principiali social network oggi disponibili (alcuni dei quali pensati appositamente per fasce d’età particolarmente basse).

Qui viene in rilievo della c.d. age verification, che, anche attraverso l’introduzione di tool di intelligenza artificiale, dovrebbe fungere da garanzia per certificare l’età effettiva dell’utente del servizio online. Emblematica l’esperienza in materia del Regno Unito, ove l’ICO (Information Commissioner’s Office) ha elaborato un codice di condotta, il cd. “Age Appropriate Design Code”, entrato in vigore il 2 settembre 2021, rivolto ai fornitori di servizi della società dell’informazione ai quali è richiesta l’adozione di adeguate misure di verifica dell’età degli utenti (ispirandosi a tre distinti modelli: autodichiarazione, certificazione dell’età mediante servizi di terzi o dinamiche tecnologiche di stima dell’età).

 

Secondo lei, qual è la differenza fondamentale tra il modello originario della capacità di agire e la sua attuale concezione nell’ambito digitale? In che modo questa evoluzione influisce sulla protezione dei minori e sulla loro formazione come cittadini digitali consapevoli?

Come sappiamo, oggi una delle caratterizzazioni portanti dell’economia del web è legata al ruolo centrale dei dati personali, compresi quelli dei minori, che fungono da parametro patrimoniale nell’epoca digitale.

Se l’adozione di strumenti di age verification appare dirimente al fine di garantire tutela al minore nel suo armonico sviluppo, dall’altro è indubbio che, nelle società contemporanee, la costruzione dell’identità dei minori è in parte rilevantissima affidata anche alla possibilità di accesso, sempre più precoce, ai contenuti di Internet.

Coerentemente, anche nei dibattiti sul digital divide, torna sempre più spesso la codificazione di un vero e proprio diritto di accesso dei minorenni alla Rete; come è naturale, questa prospettiva di dibattito si è particolarmente rinforzata durante il biennio del Covid, con richiamo ai principi di non discriminazione, del superiore interesse del minore, del diritto alla vita, alla sopravvivenza e allo sviluppo, come al rispetto delle opinioni del minore.

“Ripensare” la capacità di agire negli ambienti digitali nella prospettiva di protezione e valorizzazione dell’identità del minore non può in alcun modo tradursi in prospettive meramente escludenti o anelastiche: alcuni indici di evoluzione sembrerebbero lasciar intravedere una progressione della categoria verso un modello assimilabile a quello proprio dei sistemi di Common Law, ove, a differenza dei principali sistemi di diritto continentale, si tende ad adottare un approccio più flessibile e case oriented della legal capacity.

 

Infine, considerando il contesto sempre più complesso e interconnesso della social network economy, quali sono le prospettive future per il concetto di capacità di agire per i minori? Come può essere sviluppata una normativa adeguata per proteggere i diritti e la sicurezza dei minori in questo ambiente digitale in rapida evoluzione?

Continuo a pensare che l’obiettivo fondamentale quando si discorre di minori (e non solo) che si muovono e interagiscono nel web (e domani nel metaverso) sia quello di creare consapevolezza rispetto all’essenza del medium e al suo utilizzo.

Il nodo della questione, in questa ottica, più che meccanicamente anagrafico, torna ad essere quello della consapevolezza (di sé come dello strumento): quanto può essere consapevole del proprio agire digitale un quattordicenne (anche oltre il tema specifico della tutela dei dati personali)? Possiamo davvero dire che la maggioranza dei quattordicenni, oggi, sia in grado di utilizzare in maniera accorta i servizi informatici, da quelli di messaggistica istantanea alle piattaforme più complesse?

Chi dovrebbe introdurli a questo mondo (innanzitutto, genitori ed insegnanti) ha idea delle potenzialità di queste tecnologie e dei conseguenti rischi connessi? Ed ancora, i genitori sanno che questa soglia del quattordicesimo anno per l’accesso autonomo alle piattaforme digitali non muta i principi generali del nostro ordinamento rispetto alla responsabilità genitoriale per eventuali illeciti (civili e penali) commessi online dal minore?

Quelle che precedono sono soltanto alcune delle molteplici domande che seguono alla riflessione intorno alle più recenti declinazioni della capacità di agire del minore in ambienti digitali: in realtà, era legittimo attendersi che, laddove la norma ha fissato una soglia d’età minima per accedere a determinati servizi digitali (definendo così, almeno in astratto, la dimensione temporale della consapevolezza digitale), siffatte opzioni fossero accompagnate da misure serie e idonee, di taglio promozionale, volte a valorizzare la formazione dei minori (e di chi è chiamato a educarli) alla fruizione dei servizi del web.

Questo processo di “alfabetizzazione digitale” si può realizzare esclusivamente tramite campagne di informazione ed educazione, che devono vedere la scuola protagonista.

Eppure, in questa prospettiva, se guardiamo ai più recenti provvedimenti normativi, di cui pure abbiamo accennato, di tanto non v’è traccia, sicché viene mestamente da pensare che la ratio ultima non sia quella di accompagnare la formazione dei minori verso la consapevolezza, bensì esclusivamente quella di renderli precoci nel loro pieno assurgere a consumatori digitali.

 

 

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