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La “space race” delle Big Tech: la sfida per l’innovazione tecnologica si gioca in orbita

La “space race” delle Big Tech: la sfida per l’innovazione tecnologica si gioca in orbita

di

Piero De Rosa

 

  1. Dall’era atomica all’era spaziale.

Il 4 ottobre 1957, il mondo intero rimase stupefatto dalla notizia che l’URSS era riuscita a lanciare il primo satellite artificiale attorno alla Terra, denominato Sputnik 1. Il lancio decretò il sorpasso sovietico sugli USA in piena Guerra fredda e inaugurò il cuore del conflitto politico tra Occidente e Oriente[1].

L’evento ebbe un enorme effetto politico e psicologico in tutto il mondo e un forte impatto mediatico.

Da allora si apriva ufficialmente la gara fra l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti d’America per la conquista degli spazi interplanetari, caratterizzata dal lancio successivo di sempre nuovi satelliti e missili che, grazie a una propulsione controllata, potevano sollevarsi fino a diversi chilometri dal suolo[2].

La possibilità che l’URSS potesse colpire il territorio americano con missili balistici intercontinentali alimentò le paure di una nuova Pearl Harbor e segnò la corsa agli armamenti degli Stati Uniti per colmare il cosiddetto missile gap.

Come scritto da David Halberstam (1934-2007):

“The success of Sputnik seemed to herald a kind of technological Pearl Harbor.”[3]

Il lancio dello Sputnik 1 alimentò enormemente il rispetto e l’influenza dell’Unione Sovietica nel resto del mondo e, di converso, i politici americani reagirono chiedendo maggiori aumenti della spesa pubblica per l’istruzione militare e scientifica, incrementando gli investimenti nel sistema di difesa e di spionaggio.

Il 7 febbraio 1958, venne istituita l’Advanced Research Projects Agency – poi divenuta, nel 1969, la Defense Advanced Research Projects Agency un’agenzia governativa del Dipartimento della Difesa con il compito di sviluppare nuove tecnologie per uso militare[4], mentre il 29 luglio 1958 il presidente Dwight D.  Eisenhower firmò l’atto di costituzione della National Aeronautics and Space Administration (NASA) quale nuovo ente responsabile delle attività aeronautiche e aerospaziali di interesse civile degli Stati Uniti, che iniziò le sue operazioni nell’ottobre dello stesso anno[5].

L’umanità aveva appena fatto a tempo di assuefarsi al proprio ingresso nell’era atomica[6], che già si trovava davanti all’avvento di una nuova fase storica, l’era spaziale: ciò costitutiva l’aspetto più clamoroso della trasformazione che il mondo stava subendo sempre più velocemente ad opera del progresso scientifico e tecnologico.

Il primato tradizionale, detenuto fino ad allora dall’industria pesante legata al carbone e all’acciaio, si avviava ad un graduale declino rispetto all’importanza assunta, oltre che dalle industrie chimiche, da nuovissimi settori industriali, come quello elettronico, verso una sempre più larga automazione dell’industria, cioè nella sostituzione su vasta scala della macchina all’uomo nei più diversi lavori[7].

Il passaggio dall’era atomica all’era spaziale, l’impiego di armi sempre più sofisticate, il miglioramento dei sistemi di intelligence, furono tutti fattori che stimolarono un maggiore approfondimento delle conoscenze e della ricerca scientifica da parte dei governi nazionali[8].

Il successo sovietico stimolò la nascita di una persistente competizione con gli Stati Uniti d’America nel campo dell’astronautica e la scienza stessa divenne, contemporaneamente, il mezzo e il limite dei contendenti: nel contesto della Guerra fredda, per l’URSS e gli Stati Uniti, lo Spazio divenne il nuovo campo di battaglia da contendersi e da conquistare. Non passava anno senza nuove clamorose imprese sia da parte sovietica che americana.

Il lancio dell’Explorer 1 nel gennaio 1958 permise finalmente agli Stati Uniti di partecipare alla corsa allo Spazio, ma soltanto il successo del cosiddetto “Programma Apollo”[9] consentì agli americani di superare il colpo di stato propagandistico ottenuto con il lancio dello Sputnik.

La corsa allo Spazio da parte delle due superpotenze culminò la notte tra il 20 e il 21 luglio 1969 con il primo sbarco sulla Luna da parte dei due cosmonauti Neil Armstrong e Buzz Aldrin della missione statunitense Apollo 11 che, allo stesso tempo, segnò idealmente “the next leap forward in man’s evolutionary destiny”[10].

Tuttavia, da un punto di vista storicistico, la conquista dell’orbita terrestre (prima) e della superficie Lunare (poi), rappresentavano innanzitutto obiettivi militari e non imprese mosse puramente dalla curiosità scientifica: il successo dei programmi spaziali era stato, infatti, possibile soprattutto grazie agli enormi investimenti nel capitale umano ed economico quali motori di un pressante science-technology push[11].

L’innovazione orientata al successo delle missioni spaziali comportò una spinta in avanti sia della ricerca di base che della combinazione di tecnologie esistenti in nuove forme, insieme ad una gestione attiva di progetti sempre più ambiziosi, creativi e visionari[12].

Le stesse politiche di ricerca e sviluppo erano innovative, garantendo finanziamenti privi di condizioni ai gruppi di tecnici e scienziati che erano lasciati liberi di pensare. In altre parole, alla base di tutto, c’era un forte sistema aperto all’innovazione e caratterizzato da una autorità centrale non oppressiva che delineava precise linee guida su ciò che la ricerca doveva produrre o meno.

Il confronto tra i due blocchi, per altri versi, stimolò la concorrenza tra l’economia socialista e quella capitalista: lo scontro era quello tra due “geoconomie” che si contendevano l’egemonia di un modo che, soprattutto grazie ai processi di integrazione economica, finanziaria e culturale, diveniva sempre più globalizzato e palesava, al contempo, anche i meccanismi di dipendenza verso una costante espansione dell’economia di tipo capitalista[13].

In particolare, l’innovazione scientifica e la geopolitica della “quarta dimensione”[14] costituiscono ancora oggi una sfida rilevante, considerando esclusivamente gli aspetti tecnologici e finanziari. Non è un caso che l’importanza del controllo e del dominio dello spazio circumterrestre nasce come naturale estensione delle conflittualità planetarie[15].

L’avvento dell’informatica a cavallo tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, tra l’altro, ha segnato nella storia della tecnologia una nuova svolta che ha fornito al capitalismo occidentale l’accumulazione flessibile di mezzi e risorse capaci di imprimere una accelerazione al progresso e all’innovazione[16].

Per queste ragioni, i governi nazionali oggi investono moltissimo sulla sovranità tecnologica e sul controllo dei dati al fine di garantire e migliorare l’integrità e la resilienza delle infrastrutture, delle reti e delle comunicazioni.

I settori industriali ad alto contenuto tecnologico – e in particolare quello spaziale, per sua natura strategico – rappresentano, infatti, un fattore estremamente rilevante non soltanto nell’influenzare la politica internazionale, ma anche su cui puntare per uscire dall’attuale crisi economica.

Con la dissoluzione dell’Unione Sovietica nel 1989 (e la contestuale fine della Guerra fredda), gli Stati Uniti hanno conseguito una leadership indiscussa quale superpotenza in campo spaziale.

Tuttavia, questo primato non è più scontato. La supremazia americana risulta fortemente minacciata – e, per certi versi, anche ridimensionata – dai nuovi attori statali emergenti, oramai affermatisi sulla scena geopolitica internazionale.

Mentre il mercato spaziale dell’Unione Europea è limitato alle attività istituzionali dell’European Space Agency, che ha come obiettivo principale che gli investimenti effettuati per la conquista dello Spazio continuino a produrre vantaggi e ricadute positive per tutti i cittadini europei, gli altri governi nazionali impiegano sempre maggiori risorse economiche nelle attività di valenza strategica e militare.

La Cina costituisce il vero (e, al momento, unico) reale sfidante al predominio terrestre e spaziale degli Stati Uniti, con l’obiettivo di scalare rapidamente la classifica dei tassi di crescita economica statunitense, sfruttando l’inesauribile manodopera a buon mercato e il più vasto bacino di forza lavoro del mondo[17].

In tale contesto, si pone il recente accordo tra Cina e Russia che hanno siglato un accordo di collaborazione per la realizzazione delle future missioni lunari, incluso la realizzazione di una stazione di ricerca in orbita o sulla superficie della Luna.

“China and Russia will use their accumulated experience in space science, research and development and use of space equipment and space technology to jointly develop a road map for the construction of an international Lunar scientific research station.”[18]

La rincorsa e la competizione tecnologica del decennio 1960-1970, allora focalizzate sull’acquisizione di prestigio e supremazia nel dominio dello Spazio, oggi si è allargata a numerose altre nazioni e si è aperta ad interessi di tipo squisitamente commerciale[19].

Nell’attuale scenario geopolitico l’avvento dei privati e delle nuove potenze emergenti, Cina fra tutti, ha ridato la spinta agli USA nel rimettersi in gioco nella politica spaziale, cercando di riaffermare quel ruolo prioritario che aveva ottenuto con le conquiste interplanetarie durante la Guerra fredda.

Almeno per gli Stati Uniti, l’esplorazione spaziale si sta radicalmente trasformando da una attività centralizzata sotto la guida degli enti governativi ad una caratterizzata da una fertile collaborazione con i privati, relegando in secondo piano il modello preesistente, imperniato unicamente sul controllo statale.

Senza dubbio uno dei maggiori fattori di cambiamento della nuova era spaziale è rappresentata dall’entrata di scena delle grandi compagnie private – come, ad esempio, la Space X di Elon Musk, la Blue Origin di Jeff Bezos e la Virgin Galactic di Richard Branson – che hanno come principale obiettivo non soltanto lo sfruttamento minerario degli asteroidi e l’implementazione delle comunicazioni satellitari, ma anche quello dell’industria dei trasporti, rendendo i viaggi spaziali più facili e convenienti e mirando a posizionarsi abilmente in un settore che si sta rivelando sempre più strategico e competitivo[20].

L’attività spaziale del XXI secolo assume così connotati differenti rispetto a quelli del passato, dovendo adeguare gli attuali valori della società, ambientali o umanitari, all’efficienza degli investimenti e al rapporto tra costi-benefici, mentre i governi nazionali hanno disperatamente bisogno di trovare alternative al modello tradizionale dei servizi top-down a causa dei drastici tagli di spesa[21].

Da questo punto di vista, la società moderna sta vivendo un cambiamento radicale con il passaggio da un modello dominato dal controllo governativo sui programmi spaziali, ad uno nuovo in cui il governo è soltanto uno dei tanti player e caratterizzato dalla presenza di nuovi soggetti innovatori che operano all’interno di una “economia delle soluzioni”.

La corsa per la conquista dello Spazio diventa così sempre più un affare privato caratterizzato da grandi reti di collaborazione con il settore pubblico per la ricerca di un vantaggio reciproco e per la creazione di scenari win-win in cui si combinano profitto e impatto sociale[22].

 

  1. Spazio res communis?

Arrivati al XXI secolo possiamo affermare che la globalizzazione dei mercati e la crescente digitalizzazione hanno determinato l’inizio di un nuovo ciclo nello sviluppo spaziale, caratterizzato dall’utilizzo universale delle tecnologie in campi industriali eterogenei che hanno permesso di realizzare scoperte innovative in settori diversificati allo scopo di studiare non soltanto gli scenari attuali, ma soprattutto quelli futuri.

La competizione internazionale tra le potenze planetarie ha lasciato il campo ad una più diffusa collaborazione tra le agenzie spaziali nazionali e le grandi compagnie private, consentendo un crescente utilizzo degli outputs provenienti dall’impiego delle infrastrutture satellitari (segnali e dati) nei prodotti di largo consumo per il vasto pubblico dei consumatori e nella estensione delle applicazioni spaziali a valle[23].

Al contempo, lo stesso settore spaziale – di per sé conservativo in quanto tenuto a garantire affidabilità, durabilità e costi minori – sta oggi sperimentando un profondo cambio di paradigma improntato alla open innovation[24].

L’assenza di vincoli e di regolamentazioni ha portato nel settore un nuovo modello di business e un approccio disruptive di innovazione che però deve rispondere a variati stakeholder con richieste differenti e livelli di tecnologia differenti.

In particolare, nel settore aerospaziale le innovazioni percorrono l’intera catena del valore della ricerca fondamentale fino all’utilizzo di massa di nuovi prodotti e servizi che sfruttano i dati e i segnali satellitari.

Tutto ciò è reso possibile, oltre che da un progresso scientifico e tecnologico rapido e dinamico, anche dalla capacità degli imprenditori di saper cogliere le nuove opportunità nella commercializzazione di prodotti e servizi innovativi e dalla complementare efficacia nella loro più ampia produzione e distribuzione.

Il fatto che queste nuove tecnologie sia abbastanza diffuse (e open source) ha determinato cambiamenti nella composizione dell’offerta, incentivando l’entrata nel mercato di nuovi attori, lo sviluppo di nuovi prodotti e servizi con riduzione dei costi e l’eliminazione di asimmetrie informative.

Il settore spaziale è, dunque, diventato un fornitore essenziale delle infrastrutture pubbliche e private, contribuendo a determinare una crescente dipendenza dello stile di vita dei cittadini dai segnali e dai dati provenienti dalla costellazione dei satelliti privati in orbita. I sistemi spaziali in campo civile e commerciale hanno subito una crescita esponenziale e le relative tecnologie sono state gradualmente trasferite dalle applicazioni scientifiche e militari a quelle di tipo civile e commerciale[25].

Da questa disamina iniziale, emerge chiaramente come lo Spazio rappresenta, oggi, una infrastruttura critica e una grande opportunità per le grandi imprese commerciali: i governi nazionali, anche a causa dei drastici tagli dei fondi per i futuri progetti spaziali, sono intenzionati a fornire sempre più sostegno agli attori privati nell’esplorazione spaziale e quest’ultimi, di rimando, hanno come obiettivo la creazione di nuovi ambienti di mercato in cui espandersi e consolidarsi.

Ma tutto questo potrà portare ad una inevitabile privatizzazione dello Spazio?

Se prendiamo come presupposto che il volo umano sulla Luna non è stata una impresa sportiva e scientifica, ma l’inizio della conquista (o del tentativo di conquista) dello Spazio da parte dell’uomo, bisogna aspettarsi una radicale trasformazione culturale e sociale dell’intera umanità.

Sul punto occorre, inoltre, evidenziare che l’attuale legge spaziale è regolata da una serie specifica di trattati internazionali, oltre che dalle varie leggi nazionali, che, ancora oggi, costituiscono la base giuridica della space international law.

La materia può sembrare una nuova frontiera della regolamentazione giuridica, ma la sua origine risale agli anni Sessanta, quando le Nazioni Unite hanno promosso l’elaborazione dell’Outer Space Treaty del 1967[26], contenente i principi generali che governano le attività degli Stati nello spazio extra-atmosferico.

Fra le regole generali previste nel trattato (ratificato da più di cento stati) si rintracciano il principio di libertà di accesso e di utilizzo dello Spazio da parte di tutti gli attori della comunità internazionale, il principio di non appropriazione dello Spazio e dei corpi celesti, il principio di utilizzo pacifico dello Spazio, il principio di cooperazione internazionale, il principio di responsabilità statale per i danni causati dalle attività spaziali.

Peraltro, le Nazioni Unite, attraverso l’Ufficio per gli Affari dello Spazio Esterno e la Commissione sull’uso pacifico dello spazio extra-atmosferico, si occupano di temi cruciali quali il controllo degli armamenti, la libertà di esplorazione, la sicurezza e il salvataggio degli astronauti e dei veicoli spaziali e la prevenzione delle interferenze dannose che le missioni in orbita possono causare all’ambiente.

Inoltre, nelle ipotesi di responsabilità internazionale per le attività spaziali, così come delineata dall’Outer Space Treaty, gli Stati sono internazionalmente responsabili per le loro attività nello spazio extra-atmosferico, siano esse condotte da organi governativi o da privati. Ne consegue un obbligo per gli Stati di autorizzare e monitorare costantemente le attività dei privati e degli altri enti non governativi[27].

Negli ultimi anni si è assistito, tuttavia, al prolificarsi di nuove fattispecie la cui attuazione non era prevedibile al momento della conclusione dell’Outer Space Treaty (ad esempio, il turismo spaziale) e i principi generali delineati nel trattato sono stati interpretati nel senso di acconsentire allo svolgimento di attività innovative che, sulla scorta di una lettura letterale e rigida delle norme, sarebbero state inevitabilmente precluse, ma che invece oggi risultano necessarie nell’ottica dello sfruttamento economico dello Spazio.

Da ciò è emersa la volontà degli Stati di disciplinare talune condotte per promuovere la commercializzazione delle attività spaziali, anche per la crescente partecipazione di attori non statali in un settore tradizionalmente caratterizzato dal monopolio dei governi che ha reso essenziale (se non indispensabile) l’adozione di nuovi atti giuridici per definire le modalità di detta partecipazione.

La corsa allo spazio del XXI secolo, dunque, si caratterizza sempre più per una c.d. “Space Economy”, vale a dire una prolificazione di aziende private innovative che intendono sfruttare le risorse spaziali nel fornire funzionalità aggiuntive ai governi nazionali per garantire il libero accesso allo Spazio grazie anche all’incredibile quantità di informazioni che vengono generate dai satelliti posizionati nell’orbita terrestre.

In altri termini, la maggior parte dell’attività spaziale globale risulta oggi legata al settore commerciale e allo sfruttamento economico dello Spazio[28]. Ciò ha dato vita ad una nuova “corsa all’oro” verso le risorse dello Spazio e per il futuro sviluppo delle attività di ricerca sui suoi materiali.

Già l’amministrazione Obama, nel 2014, aveva proposto un disegno di legge denominato Asteroids Act (poi divenuto Space Act nel 2015) per promuovere il diritto di imprese e cittadini americani alle operazioni di “scavo”:

“The President, through the Administration, the Federal Aviation Administration, and other appropriate Federal agencies, shall […] promote the right of United States commercial entities to explore and utilize resources from asteroids in outer space, in accordance with the existing international obligations of the United States, free from harmful interference, and to transfer or sell such resources”[29]

A ben vedere, la questione dello sfruttamento delle risorse spaziali non è stata ancora risolta dalla comunità internazionale in quanto non appare relazionata con la giurisdizione nazionale dei singoli Stati: lo Spazio e i corpi celesti devono essere sfruttati a beneficio di tutta l’umanità e, pertanto, nessuno potrebbe vantare diritti di proprietà esclusiva sugli oggetti (beni mobili) spaziali dal momento che la proprietà nasce da base territoriale mentre il diritto spaziale è, per sua natura, extraterritoriale[30].

La mancanza di una compiuta disciplina di riferimento permette di garantire l’attuazione dei principi internazionali alla luce delle nuove esigenze di carattere economico e scientifico che caratterizzano il settore, regolamentando le nuove attività e tenendo in considerazione i diversi soggetti coinvolti (Stati nazionali, imprese private e organizzazioni internazionali).

Lo stesso Elon Musk, imprenditore patron di Tesla e di Space-X, commentando il primo il trasporto di astronauti da parte di una compagnia privata verso la Stazione Spaziale Internazionale[31], ha sottolineato la sempre maggiore attenzione ai viaggi spaziali da parte delle grandi aziende tecnologiche[32]:

“It is like the advent of the Internet in the mid-1990s when commercial companies entered what was originally a government endeavor. That move dramatically accelerated the pace of advancement and made the Internet accessible to the mass market. I think we’re at a similar inflection point for space. I hope and I believe that this mission will be historic in marking that turning point towards a rapid advancement in space transportation technology.”[33]

La crescente frammentazione dei processi produttivi e il conseguente potenziale innovativo dei fornitori esterni, unito ad una attività di ricerca sempre più specialistica condotta da soggetti depositari di elevati livelli di conoscenze e di esperienze, ha consentito il passaggio da un modello di ricerca basato su gerarchie verticistiche, desueto e non più sostenibile nel lungo periodo, ad un modello di open innovation[34] caratterizzato da una rapida e diffusa distribuzione della conoscenza grazie alla collaborazione dei soggetti pubblici tra imprese, atenei, centri di ricerca e start-up innovative[35].

L’interazione tra soggetti eterogenei rappresenta, inoltre, un potente fattore di stimolo per sviluppare nuove reti di collaborazione e si prospetta come un efficace strumento utile alle imprese di piccole e medie dimensioni per conseguire nello sviluppo dell’innovazione livelli di efficienza organizzativa ed una maggiore competitività dal momento che, solitamente, le aziende concorrenti si trovano ad affrontare problemi pressoché simili e molto spesso concorrono non tanto per creare un nuovo prodotto o servizio, ma piuttosto per risolvere lo stesso problema[36].

Negli ultimi anni, l’interesse nella open innovation è andato oltre il settore privato: sempre più agenzie governative hanno dimostrato un grande interesse in questa modalità di ricerca e hanno iniziato delle collaborazioni con le grandi aziende tecnologiche[37]. I sempre più frequenti tagli dei fondi ai programmi spaziali da parte dei governi nazionali hanno comportato, come reazione, una sostanziale privatizzazione dell’industria spaziale come nuova modalità di finanziamento della ricerca.

Nei viaggi verso le orbite terrestri più basse ormai sono le imprese private a fare ricerca e innovazione, mentre gli Stati si concentrano fondamentalmente sull’esplorazione dello spazio profondo[38].

 

  1. Progresso scientifico o Big Tech egomania?

Tra il 21 aprile e il 21 ottobre del 1962, come reazione americana al successo della missione sovietica dello Sputnik 1, venne organizzata a Seattle l’esposizione universale “Century 21 Exposition”, che richiamava come tema principale l’uomo nell’era dello Spazio e che aveva come obiettivo quello di descrivere il prossimo futuro, così come immaginato dalla generazione della Guerra fredda[39].

I temi principali della fiera erano la scienza, il futuro e lo “spazio cosmico”.

Lo stesso presidente John F. Kennedy promise di portare per primo l’uomo sulla Luna in un discorso tenuto nel settembre del 1962 al Rice Stadium di Houston, a Expo ancora aperta:

“We choose to go to the Moon in this decade and do the other things, not because they are easy, but because they are hard; because that goal will serve to organize and measure the best of our energies and skills, because that challenge is one that we are willing to accept, one we are unwilling to postpone, and one we intend to win, and the others, too.”[40]

L’evento giunse durante la crisi dei missili di Cuba del e Kennedy non poté presiedere alla cerimonia di chiusura per affrontare questioni ben più pressanti (come il rischio di una guerra nucleare). In poco più di un anno il presidente fu ucciso, i soldati USA furono mandati in Vietnam e l’America si liberò del tradizionalismo degli anni Cinquanta per accogliere appieno lo spirito hippy degli anni Sessanta.

A distanza di cinquantadue anni dal primo allunaggio, gli scenari strategici e progettuali degli agenti protagonisti della nuova rivoluzione tecnico-economica sono profondamente mutati e il XXI secolo si presenta sempre più caratterizzato dalle interazioni tra mondo fisico e mondo virtuale grazia alla pervasità di dispositivi computazionali progressivamente più potenti ed efficienti.

Il volo umano sulla Luna ha avuto il merito di funzionare da agente catalizzatore per il progresso tecnologico che, incoraggiato e imbaldanzito da un successo così eccezionale, ha invaso sia in senso attivo (coinvolgendo un sempre maggior numero di attori pubblici e privati), sia in senso passivo (rendendosi sempre più indispensabile nella vita quotidiana) l’intera civiltà umana.

Oggi viviamo in un vero e proprio “universo fisico-digitale” entro cui le società si evolvono sulla base di una incessante evoluzione delle conoscenze. Le interazioni e gli scambi informativi real-time a livello globale tra una molteplicità di agenti (consumatori, fornitori, scienziati, ricercatori) cambiano radicalmente la natura e le modalità di sviluppo delle attività economiche.

Nel nuovo universo fisico-digitale si dispiega quella disruptive innovation che ha origine in campi di conoscenze tra loro profondamente eterogenei, ma che interagiscono in modo tale da favorire la creazione di distribuzione di idee al di là dei confini organizzativi e settoriali di riferimento[41].

Tuttavia, nel capitalismo avanzato dei dati, le idee e la disponibilità di capitale non sono più sufficienti per creare innovazione: la vera risorsa dei nostri tempi è rappresentata dall’informazione digitale.

Di converso, le aziende che hanno maggiore disponibilità di dati tendono ad essere quelle più innovative, ma la sostanziale mancanza di una sana concorrenza nel mercato non le costringe a realizzare una “distruzione creatrice”, godendo anche di ritorni sugli investimenti a livello di monopolio o di oligopolio[42].

È comunque certo che i tecnici e gli scienziati dell’informazione devono misurarsi con sfide tecnico-scientifiche di grande portata in quanto la mera liquidità di un patrimonio di dati non comporta di per sé innovazione: i flussi informativi di varia provenienza e destinazione sono continuamente generati e trasmessi per essere combinati tra di loro, al fine di individuare anomalie, necessità di aggiustamenti e possibilità di miglioramento.

Questo, tuttavia, non rappresenta necessariamente un elemento positivo.

Al contrario della pura ricerca scientifica che stimola l’iniziativa individuale, la tecnologia tende piuttosto a creare gli strumenti per un sempre maggiore controllo di tutti su tutti.

Gli attori privati stanno investendo nello Spazio, nei sistemi satellitari e in quelli di trasporto e, almeno per ora, le persone più facoltose sono disposte a pagare un biglietto per una passeggiata orbitale di pochi minuti, non rendendosi più strettamente necessario essere un astronauta per andare nello Spazio.

Non è più lo Stato che si occupa degli investimenti nel settore spaziale, a causa della restrizione delle politiche di spesa, ma è il capitale privato, il mercato che si sta focalizzando sul settore del commercio che è reso possibile attraverso l’innovazione distruttiva causata dalle nuove scoperte scientifiche.

Dietro le avventure interplanetarie di Jeff Bezos ed Elon Musk non ci sono soltanto le bizzarrie di ricchi eccentrici o visioni di un prossimo futuro, ma c’è il tentativo (già in atto) di accaparrarsi miliardi di dollari pubblici – grazie alle nuove partnership pubblico-private – in un settore, vale a dire quello del commercio spaziale, capace di generare nuove forme di interazione e di opportunità con l’industria terrestre.

Le grandi visioni, i lanci di razzi sempre più avanzanti e gli spettacoli dei miliardari che lasciano l’atmosfera terrestre sono tutti una copertura per l’economia spaziale reale.

Nonostante l’entusiasmo del pubblico per le imprese spaziali private, queste rimangono fortemente dipendenti dai soldi pubblici.

Il vero volto della space economy privata è costituito dai contratti stipulati con la NASA e con l’esercito allo scopo di controllare (e dominare) l’infrastruttura dello Spazio per motivi strategici e militari, il tutto giustificato al pubblico con la promessa che si tratta di progetti al servizio di grandi visioni per il futuro dell’umanità. La volontà di potenza prevale così sulla sete di conoscenza e si duplica, da un lato, in un crescente gigantismo delle corporazioni industriali, cui i governi nazionali affidano i progressi scientifici per la conquista della nuova frontiera e, dall’altro, in un uso politico, interno ed esterno, che i governi fanno delle attività spaziali.

D’altronde, come sagacemente sottolineato nel 2006 da Burt Rutan, fondatore della Scaled Composites, azienda leader mondiale nella progettazione di aeroplani innovativi adottati dalla NASA:

“Entrepreneurs have always driven our technical progress – and, as a result, our economy. They tend to be more innovative, more willing to take risks, and more excited about solving difficult problems. They seek breakthroughs, they have the courage to fly them, and they know how to market them. They will now provide the solutions and the hardware needed to enable human spaceflight with an acceptable risk – at least as safe as the early airliners.”[43]

 

 

 

 

[1] Il primo satellite statunitense, l’Explorer 1, fu mandato in orbita solo qualche mese dopo, il 31 gennaio 1958. Il momento, dal grande impatto mediatico e ricordato anche come “crisi dello Sputnik”, fu cruciale nella gara per la conquista dello Spazio tra le due superpotenze, che durò fino alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso.

[2] Durante la Guerra fredda gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica sperimentarono diverse tipologie di missili, terrestri e aerei. Negli anni Cinquanta del secolo scorso, i prototipi di nuovi missili a gittata intercontinentale (oltre 5.550 chilometri) lanciati da terra o da sottomarini inasprirono la contrapposizione politica, ideologica e militare che venne a crearsi intorno al 1947 tra le due superpotenze. Cfr. M. Del Pero, La guerra fredda, Carocci Editore, 2014.

[3] Cfr. D. Halberstam, The Fifties, New York: Fawcett Columbine, 1993.

[4] Fra gli incarichi dell’agenzia c’era quello di trovare una soluzione alle problematiche legate alla sicurezza della rete di telecomunicazioni e, in seguito, dallo sforzo congiunto di militari e scienziati nacque la rete di Internet.

[5] I primi programmi della NASA erano incentrati sulla possibilità di missioni umane nello Spazio, sotto la spinta della competizione tra USA e URSS. Il “Programma Mercury fu il primo programma della NASA finalizzato a stabilire se l’uomo potesse viaggiare nello spazio. Il 5 maggio 1961 l’astronauta Alan Shepard fu il primo americano nello Spazio, pilotando il Mercury 3 in un volo suborbitale di 15 minuti, mentre John Glenn fu invece il primo americano a compiere un’orbita attorno alla Terra il 20 febbraio 1962, durante la missione Mercury 6. Sul punto, cfr. V. Bonato, Gravità Zero – Missione Spazio, 2018.

[6] Nel 1945 andavano in scena il Trinity Test e il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki. Sebbene la tecnologia nucleare esistesse già prima di tale evento, il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki rappresentò il primo utilizzo pratico su vasta scala della tecnologia atomica, introducendo profondi cambiamenti nel pensiero sociopolitico dell’epoca e sulle prossime tappe dello sviluppo tecnologico. Sul punto, cfr. R. Maiocchi, L’era atomica, Giunti Editore, 1993.

[7] Da soli, i calcolatori elettronici erano in grado di eseguire lavori complicatissimi, che un tempo avrebbero richiesto l’impiego di un esercito di cervelli umani.

[8] La scienza dei razzi era nata grazie all’apporto degli scienziati e ingegneri nazisti (tra i quali Wernher von Braun) che, negli anni del Terzo Reich, avevano sperimentato i primi V2 (Vergeltungswaffe 2) che furono i precursori dei missili balistici. Cfr. G. La Nave, La guerra fredda, 2016.

[9] L’attività preparatoria del programma si sviluppò nell’arco tra il 1961 e il 1972 con dieci lanci sperimentali suborbitali e orbitali e un totale di diciassette missioni realizzate dalla NASA.

[10] La citazione è tratta da una intervista di Joseph Gelmis a Stanley Kubrick del 1969 in cui il regista riassunse rapidamente l’intera trama del film “2001: A Space Odissey” uscito nei cinema l’anno prima dell’allunaggio. Per l’intervista integrale, cfr. http://www.visual-memory.co.uk/amk/doc/0069.html

[11] In quegli anni si sviluppò un intreccio sempre più profondo tra i diversi settori scientifici e, negli anni Sessanta, emerse tra gli studiosi l’idea di una “Big Science”, vale a dire l’idea che la ricerca interdisciplinare richiede notevoli finanziamenti distribuiti su lunghi archi di tempo, gruppi numerosi e coordinati di scienziati e tecnici e grandi laboratori dotati di apparecchiature spesso costruite appositamente per il progetto. Cfr. P. Galison, B. W. Hevly, Big Science. The Growth of Large-scale Research, Stanford University Press, 1992.

[12] In riferimento all’ultimo periodo della Guerra fredda tra Stati Uniti e URSS, negli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso, veniva impiegato il termine “guerre stellari”. Il termine, ispirato al titolo dell’omonimo film, faceva riferimento in particolare modo alla creazione di dispositivi militari satellitari con cui le due nazioni intendevano proteggere il proprio territorio da eventuali attacchi condotti con missili nucleari.

[13] Anche i dirigenti sovietici iniziarono a coinvolgere maggiormente i privati con l’obiettivo di raggiungere in tempi brevi la parità strategica con gli Stati Uniti. Il raggiungimento o il superamento dell’avversario rappresentavano le priorità nel confronto ideologico tra i due blocchi, ma il sistema occidentale si dimostrava più solido rispetto a quello sovietico che era ancora legato a logiche di dirigismo e di forte dipendenza dei Paesi socialisti dai prestiti elargiti dai Paesi occidentali.

[14] Lo Spazio si è attestato quale quarta dimensione (al fianco di quella terrestre, marittima e aerea) dove prende forma il confronto tra le unità dello scacchiere geopolitico mondiale. Oggi ne esiste anche una quinta, il cosiddetto cyberspace.

[15] Le nuove condizioni che accompagnano le forme di governo pubblico (globalizzazione, liberalismo e computerizzazione) hanno implicazioni importanti per il disegno di una nuova cultura politica che spinge verso un governo mondiale.

[16] Cfr. F Brevini, Così lontani, così vicini. Il sentimento dell’altro, fra viaggi, social, tecnologie e migrazioni, Franco Angeli Editore, 2017.

[17] Cfr. F. Rampini, Il secolo cinese, Mondadori Editore, 2010.

[18] L’accordo è stato raggiunto tra Zhang Kejian, capo della China National Space Administration (CNSA), e Dmitry Rogozin, direttore generale di Roscosmos durante una cerimonia virtuale. Il piano è quello di costruire una stazione internazionale di ricerca lunare (ILRS) per condurre esperimenti ed esplorazioni. Il progetto è aperto alla partecipazione di “tutti i paesi interessati e i partner internazionali”.

[19] L’industria del trasporto spaziale commerciale ricava la maggior parte delle sue entrate dal lancio dei satelliti nell’orbita terrestre. I fornitori di lancio commerciale in genere posizionano i satelliti, privati o governativi, nell’orbita terrestre bassa e nell’orbita terrestre geosincrona.

[20] Nel mondo ci sono circa settantacinquemila persone che potrebbero permettersi un viaggio di questo tipo sborsando fino a quaranta milioni di dollari. Cfr. A. De Tommasi, La forza dei privati nella conquista dello spazio, 2021.

[21] In Europa e in Nordamerica la grande recessione ha obbligato i governi a mettersi sulla via dell’austerità e, con un debito pubblico che cresce di circa quattro miliardi di dollari al giorno negli Stati Uniti, e ancora di più in Europa, i vincoli finanziari rappresentano ormai la regola.

[22] Di fronte alla constatazione che l’intervento istituzionale dei governi è insufficiente nel risolvere i grandi problemi della società si è fatto strada un nuovo approccio, quello della cosiddetta solution economy secondo logiche di “innovazione aperta”. Cfr. W. D. Eggers, Paul Macmillan, Solution economy. Risolvere con profitto i problemi del mondo, Etas Editore, 2014.

[23] Lo sviluppo delle applicazioni spaziali a valle è perseguito con il duplice scopo di risolvere le problematiche planetarie e per generare profitto in nuovi mercati e settori industriali.

[24] Per Joseph Schumpeter (1883-1950) l’innovazione si concentra in certi settori, ma anche in aree e periodi di tempo determinati. Schumpeter, ispirandosi a un filone di pensiero che si rifaceva a Karl Marx, riteneva che la competizione tecnologica fosse la forza motrice dello sviluppo economico: se un’impresa all’interno di un determinato settore introduce con successo un’innovazione importante, questa sarà ampliamente ricompensata da un aumento dei profitti e verrà seguita da una serie di altre imprese imitatrici che affolleranno il settore nella speranza di condividere i benefici, facendo diminuire con molta probabilità i vantaggi della prima impresa innovatrice. È molto più probabile che gli imitatori abbiano successo laddove applichino miglioramenti all’innovazione originaria, diventano loro stessi innovatori. Ciò perché un’innovazione importante tende a facilitare ulteriori innovazioni nello stesso campo o in campi simili. Cfr. J. A. Schumpeter, Business cycles: a theoretical, historical, and statistical analysis of the capitalist process, 1939.

[25] Il trasporto spaziale commerciale nel 2002 ha generato 6,6 miliardi di dollari che rappresentano il 6% del totale delle attività commerciali spaziali. Tra il 1996 e il 2002, sono stati effettuati 245 lanci per iniziative commerciali mentre i lanci governativi (non classificati) ne hanno totalizzai solo 167 per lo stesso periodo.

[26] L’Outer Space Treaty, adottato il 27 gennaio 1967 costituisce ancora oggi la base del diritto aerospaziale internazionale. Il testo è composto da diciassette articoli che delineano i principi di fondo cui gli stati devono ispirarsi nell’esplorazione e nell’utilizzazione dello spazio extra-atmosferico, compresi la Luna e gli altri corpi celesti. L’art. 2 del trattato enuncia il principio più importante in base al quale “lo spazio extra-atmosferico, compresi la Luna e gli altri corpi celesti, non è soggetto ad appropriazione da parte degli Stati, né sotto pretesa di sovranità, né per utilizzazione od occupazione, né per qualsiasi altro mezzo possibile”. Ciò significa che nessuna pretesa di sovranità può essere esercitata su territorio extraterrestre, anche se è solo uno stato ad aver finanziato e diretto le modalità di occupazione di tali spazi. Il fatto che durante l’allunaggio sia stata impiantata una bandiera americana non ha alcun significato legale: gli USA, pur avendo finanziato totalmente il progetto, non possono vantare alcuna pretesa di sovranità sul suolo Lunare. Cfr. E. Corduas, Le leggi dello spazio e una potenziale conquista di Marte, Ius in Itinere, 2019.

[27] Il trattato, dunque, istituisce un regime speciale di responsabilità, parzialmente diverso rispetto al diritto internazionale generale. Cfr. Draft Articles on Responsibility of States for Internationally Wrongful Acts, in Report of the International Law Commission on the Work of its Fifty-third Session, UN GAOR 56th Sess., Supp. No. 10, at 43, U.N. Doc. A/56/10 (2001), http://hrlibrary.umn.edu/instree/WrongfulActs.html

[28] In tal senso vanno alcune disposizioni nazionali che consentono lo sfruttamento delle risorse spaziali da parte di compagnie private previa autorizzazione dello Stato in cui tale compagnia opera. Si pensi, ad esempio, alla space law del Lussemburgo adottata dal Parlamento il 13 luglio 2017 ed efficace dal 1° agosto 2017 che istituisce un regime di autorizzazione e vigilanza in Lussemburgo relativo alla proprietà delle risorse acquisite nello Spazio o, ancora, al Commercial Space Launch and Competitiveness Act degli Stati Uniti che prevede che le società commerciali che operano all’interno del suo quadro normativo possano appropriarsi legalmente delle risorse acquisite nello Spazio da corpi celesti noti come Near Earth Objects (NEO).

[29] Il testo del disegno di legge è consultabile su: https://www.congress.gov/bill/113th-congress/house-bill/5063/text

[30] Cfr. G. Sanna, New space economy, ambiente, sviluppo sostenibile, Giappichelli Editore, 2021.

[31] Il 31 maggio 2012 la capsula spaziale Dragon, dopo un riuscito attracco alla Stazione Spaziale Internazionale è rientrata senza problemi sulla Terra.

[32] L’esperienza finora indica che il lancio di esseri umani nello Spazio è molto più costoso del lancio delle merci.

[33] Sul punto, https://space.nss.org/spacex-comments-on-successful-spacex-launch/

[34] Nonostante l’idea risalga agli anni Sessanta, l’espressione fu coniata solo nel 2003, da Henry Chesbrough, direttore del centro per l’open innovation dell’Università della California. Chesbrough l’ha definita come “il paradigma che prevede che le aziende possano usare idee esterne, tanto quanto quelle interne, così come vie di mercato, per progredire tecnologicamente”.

[35] Cfr. M. Passarelli, Il management del trasferimento tecnologico, Egea Editore, 2017.

[36] Cfr. E. Abirascid, L’innovazione che non ti aspetti. Contesti e visioni per l’impresa, Franco Angeli Editore, 2015.

[37] Ad esempio, la NASA ha avviato un progetto speciale di open innovation denominato OpenNASA che prevede opportunità per il pubblico “to innovate with NASA’s open data, code and APIs”. Inoltre, il progetto, grazie ad un maggiore public engagement, permetterà alla NASA “to fulfill federal mandates and requirements for Open Government and Open Data”. Sul punto, cfr. https://www.opennasa.org/

[38] L’esplorazione dello spazio profondo è il ramo dell’astronomia, dell’astronautica e della tecnologia spaziale che è coinvolto nell’esplorazione di regioni distanti nello Spazio. L’esplorazione fisica dello Spazio è condotta sia da voli spaziali umani, sia da veicoli spaziali robotizzati.

[39] La mostra ospitava un fantastico “Spacearium” che portava i visitatori in un viaggio virtuale nelle galassie esterne e un “Bubbleator”, cioè un ascensore idraulico che portava i visitatori tra cubi di alluminio e racconti del futuro.

[40] Cfr. Per il discorso completo, cfr. https://er.jsc.nasa.gov/seh/ricetalk.htm

[41] Innanzitutto, l’universo fisico-digitale, costituito da prodotti e sistemi produttivi intelligenti, implica la simbiosi tra informatica, scienze ingegneristiche e manageriali. Ciò rende possibile una incessante scomposizione e ricomposizione dei processi per la scoperta di nuove funzioni, per raggiungere nuovi obiettivi e soddisfare esigenze non previste.

[42] Cfr. T. Ramge, V. Mayer-Schoenberger, Fuori i dati! Rompere i monopoli sulle informazioni per rilanciare il progresso, Egea Editore, 2021.

[43] Cfr. http://money.cnn.com/magazines/business2

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