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L’efficientamento energetico tra innovazione e sostenibilità. Intervista a Giacomo Vigna

Il Dott. Giacomo Vigna è consigliere esperto in materie economiche per la Presidenza del Consiglio dei Ministri dal 2018, attualmente si occupa di Partenariato Pubblico-Privato. Oltre ad essere un membro attivo del gruppo di coordinamento della Bioeconomia, in rappresentanza sia della PCM che del Ministero dello Sviluppo Economico, in passato si è occupato di Golden Power nel Gruppo di Coordinamento. E’ stato CFO in un gruppo quotato ed ha alle spalle circa 15 anni di esperienza professionale come “finance advisor” per la Ernst & Young.

Lunedì 21 giugno 2021 il Dott. Vigna interverrà come relatore per l’evento L’efficientamento energetico tra innovazione e sostenibilità.

 

Come ha iniziato ad occuparsi di PPP?

Durante la mia carriera mi sono occupato principalmente di consulenza alle imprese. In particolare in ambito M&A tramite servizi quali la Due Diligence finanziaria. Devo dire che alcuni clienti mi hanno coinvolto in progetti di PPP sul lato prettamente infrastrutturale.

Da circa un paio d’anni sono parte del nucleo di esperti della presidenza del consiglio dei ministri (in particolare del suo dipartimento per la programmazione ed il coordinamento della politica economica – DIPE) che si occupa, tra le altre cose, del PPP, della sua promozione, dello sviluppo della normativa nazionale e della produzione di soft law in collaborazione con enti nazionali ed organismi internazionali (EPEC, UNECE, OCSE).

In questo ruolo ho un punto di osservazione veramente interessante perché mi capita di dare assistenza a molte amministrazioni su varie fasi dei progetti di PPP.

 

 

Quali difficoltà sono state riscontrate per lo sviluppo del PPP in Italia?

Il principale dei problemi relativi al PPP è la conseguenza diretta del fatto – positivo di per sé – che questo strumento prevede una vera e propria equiordinazione tra pubblico e privato. Il concetto di “partnership” obbliga la pubblica amministrazione ad un paradigma nuovo che non è più quello della relazione tra stazione appaltante e appaltatore ma quello di una relazione tra soci! I soci devono parlare tra di loro alla pari per far convergere i rispettivi interessi. Tuttavia, per farlo, servono competenze specifiche da porre in campo sia nella fase iniziale che, non meno importante, nella lunga fase della concessione. Queste competenze, specie se facciamo riferimento a partenariati relativi ad opere o servizi complessi, sono il tallone di Achille della nostra PA.

Spesso, nella consapevolezza di questo limite, la PA non intraprende azioni in PPP. Altre volte, invece, non imposta correttamente i rapporti contrattuali con ciò riducendo o annullando il “beneficio pubblico” dell’operazione. Si pensi al caso della frequente ri-classificazione “on balance” delle operazioni di PPP con gli obblighi connessi alla valutazione del permanere dell’interesse pubblico, alla possibile revoca della concessione ed alla conseguente remunerazione del concedente per il lucro cessante ed il danno emergente.

In un “position paper” della Commissione Europea sulla preparazione dell’Accordo di Partenariato dei programmi in Italia per il periodo 2014-2020 si legge: “in Italia la capacità istituzionale – amministrativa è caratterizzata da debolezze profondamente radicate e variazioni importanti tra le Regioni”. per realizzare progetti di miglioramento dei servizi collettivi serve uno Stato capace: capace attraverso le proprie organizzazioni centrali, regionali e locali di fare emergere e identificare i fabbisogni di servizio di cittadini e imprese, di progettare e far progettare quei servizi, di affidare in modo concorrenziale ai privati la costruzione di infrastrutture materiali e immateriali e la loro gestione, di redigere bandi, scrivere e fare rispettare regole, verificare risultati, proporre rapidamente decisioni e far seguire a queste azioni conseguenti. Per ottenere questi risultati devono essere implementate riforme incisive e sviluppate consolidate capacità, ovvero modalità di operare delle Pubbliche Amministrazioni che, ove acquisite, rese operative, applicate con crescente diffusione, migliorano la qualità dei servizi collettivi”.

Insomma, il PPP è una grande opportunità ma bisogna ben gestirlo.

 

 

In che modo pensa che il PPP possa funzionare all’interno del PNRR?

Uno dei fattori abilitanti il PPP risiede nella necessità di infrastrutture e servizi in un contesto carico di vincoli di finanza pubblica, il patto di stabilità ecc. Il PPP viene utilizzato molto spesso per derogare all’impossibilità di indebitamento della PA e pertanto, considerando che con il PNRR vi sarà una grande possibilità di spesa, una prima domanda che viene in mente è se il PPP non possa essere progressivamente abbandonato a favore di un maggior ricorso ad appalti tradizionali.
Difatti, il PNRR stesso nella sua corposa modulazione, non menziona spesso il PPP.

Tuttavia la risposta giusta a questa domanda è un’altra.

Il PPP è uno strumento fondamentale perché permette di mettere le competenze dei privati a supporto della PA. Non è solo una questione finanziaria. Difatti, la complessità dell’investimento da realizzare è una sorta di “condizione abilitante” la scelta della PA nel ricorrere allo strumento partenariale perché deve pur prevedersi un valore aggiunto fornito dalla scelta del “socio” privato.

Ciò detto, è evidente che i fondi del PNRR saranno utilizzati per sostenere o attrarre investimenti privati attraverso il mercato e questo avverrà, ad esempio tramite forme di partenariato pubblico-privato, contributi a progetti di investimento, prestiti o garanzie.

Nel caso che ci interessa, quello dell’efficientamento energetico, vale la pena di fare due ulteriori veloci considerazioni. La Missione 2, componente 3, del PNRR riguarda proprio l’efficienza energetica e la riqualificazione degli edifici e vi destina oltre 15 miliardi di euro. Ebbene, già nel 2012 il braccio armato della BEI in ambito PPP, l’European PPP Expertise Center (EPEC) individuava il PPP come strumento privilegiato per gli energy performance contracts (EPC).

Ovviamente i progetti di investimento previsti dal PNRR sono cosi eterogenei che vi sono moltissimi ambiti in cui il PPP (e altre forme di co-finanziamenti con privati) troverà il suo spazio. La stessa BEI  – citata nel PNRR – parla di un effetto leva generato per questo tramite[1].

[1] Sul tema si vedano le valutazioni contenute in EIB (2019), “EIB EFSI multiplier calculation methodology”, EFSI Steering Board  

 

 

Qual è a Suo avviso la componente digitale all’interno della missione 2? Nello specifico, in cosa consiste la Green Economy?

La Missione 2 del Piano nazionale di ripresa e resilienza riguarda in generale la “rivoluzione verde e la transizione energetica”. Più nel dettaglio: la componente uno riguarda l’economia circolare e l’agricoltura sostenibile; La Componente 2 attiene ai settori relativi a energia rinnovabile, idrogeno, rete e mobilità sostenibile; La componente 3, ripeto, tratta di efficientamento energetico; La componente 4 infine si concentra sulla tutela del territorio e sulla risorsa idrica.

Tutto questo è decisamente Green Economy. Bioeconomia, circolarità, nuovi processi agricoli, riduzione dell’inquinamento, waste management ecc.

Nonostante la necessaria genericità con la quale sono stati descritti i progetti di questa Mission non possono non cogliersi alcuni riferimenti alla transizione digitale. E considerando l’innovatività degli investimenti proposti non può che rendersi evidente la necessità di una componente digitale per la “smartizzazione” perdonatemi il termine, dei processi di produzione e gestione e monitoraggio.

Ad esempio, uno degli allegati al PNRR parla della gestione delle infrastrutture di rete (M2C2) con la creazione di circa 115 smart grid e riporta la seguente considerazione: “La disponibilità di reti digitali intelligenti, in cui tutti i dispositivi e gli attori interagiscono tra loro, sarà un fattore abilitante per lo sviluppo di nuovi servizi per il mercato dell’energia. L’acquisizione capillare di informazioni sulla rete di distribuzione consentirà, attraverso l’analisi di grandi quantità di dati, di prevedere e gestire in modo ottimale la produzione e l’utilizzo dell’energia e di implementare modalità di autoconfigurazione della rete in tempo reale. Questa esigenza è particolarmente sentita nelle grandi città, che, grazie a questo investimento, potranno rispondere al meglio alla crescente domanda di consumi elettrici (compresa la mobilità sostenibile) e contribuire in modo significativo alle sfide della transizione energetica”. Questo intervento contribuirà al 100% all’obiettivo della transizione energetica e, sempre citando l’allegato al PNRR, servirà al 40% per quello della transizione digitale.

La gestione ed il monitoraggio dell’agri-voltaico, dei nuovi impianti di efficientamento energetico con gli impianti di telegestione, delle infrastrutture di teleriscaldamento, dei nuovi sistemi complessi di mobilità sostenibile di massa ecc. sono solo alcuni altri esempi che fanno pensare a quanto sarà necessaria la componente digitale (gestione di dati, intelligenza artificiale, connettività ecc.) per il perseguimento degli obiettivi della Green Economy e del PNRR in generale.

 

 

 

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