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Obbligo vaccinale, passaporto e patente immuno-sanitari e tutela del diritto alla salute nell’emergenza Covid-19 come problemi biogiuridici

Obbligo vaccinale, passaporto e patente immuno-sanitari e tutela
del diritto alla salute nell’emergenza Covid-19 come problemi biogiuridici

Aldo Rocco Vitale
Ateneo Pontificio Regina Apostolorum

 

 

«La vita è breve, l’arte lunga, il momento opportuno fuggevole, la pratica incerta, il giudizio difficile. Bisogna pensare non solo alle cose da fare, ma anche al malato, a chi assiste e ai fattori esterni»:[1] così il padre della medicina occidentale, Ippocrate, riassumeva le difficoltà riscontrabili nell’esercizio dell’arte medica, cioè di quel sapere che si fonda per un verso con il cuore all’attenzione dell’uomo e della sua sofferente caducità, e per altro verso, con la mente, al freddo, ma necessario dato quantitativo della conoscenza scientifica.

Tutta questa dilacerante complessità si è resa massimamente palese
nell’emergenza sanitaria pandemica che il mondo in genere e l’Italia in particolare sta vivendo oramai da mesi e che per i prossimi mesi, verosimilmente, sarà ancora oggetto di preoccupazione e dibattito. In un mondo, quale è quello odierno, interconnesso e globalizzato, la pandemia ha non soltanto ricordato la fragilità ontologica e strutturale dell’essere umano, il quale dunque è ben lontano da quelle forme di titanica onnipotenza che proprio l’uso totale della tecnologia gli lascia supporre di possedere, ma ha anche evidenziato la precarietà di alcune di quelle dimensioni che erano considerate indiscutibili certezze, tra le quali, per esempio, il valore della relazionalità umana, l’idea di una scienza infallibile, la separazione tra Stato di diritto e Stato autoritario la cui linea di demarcazione si è scoperta ben più sottile di quanto si potesse ipotizzare.
L’effetto fulmineo della pandemia ha rivelato la sorpresa della impreparazione tecnica, giuridica, politica, sociale, psicologica dei sistemi democratici occidentali ritrovatisi in affanno – dopo essere sfuggiti ai pericoli delle terribili minacce nucleari del XX secolo – a causa di un piccolo, minuscolo, invisibile nemico naturale come un virus il quale ha letteralmente messo in ginocchio tutta la tronfia superbia dell’homo occidentalis.

La natura, insomma, nella forma del coronavirus ha fatto irruzione in un mondo quale è quello ipertecnologico dei primi decenni del XXI secolo, quasi per rivendicare la sua totale supremazia rispetto al dato culturale, riconducendo l’homo faber attuale alle sue originarie proporzioni esistenziali e ontologiche, poiché, per utilizzare la felice formula di Georges Canguilhem «le malattie sono gli strumenti della vita con i quali il vivente, in questo caso l’uomo, è obbligato a confessarsi mortale».
La ricerca scientifica ha così schierato tutte le proprie energie per far fronte alla grave situazione che in poche settimane ha fatto piombare nel caos il mondo intero.
Dinnanzi alla creazione quasi miracolosa, come è stata definita, di numerosi vaccini in grado di opporsi al dilagante mortale contagio del Covid-19, si stagliano, tuttavia, quegli ulteriori profili problematici di carattere biogiuridico, come, per esempio, la questione dell’obbligo vaccinale e la creazione di un passaporto immuno-sanitario di cui si tenterà in questa sede di definire l’ampiezza e i confini.

 

 

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