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Piattaforme digitali tra regole di validità e regole di responsabilità. Intervista al Prof. Albanese Antonio

Il Prof. Antonio Albanese è professore ordinario di Diritto civile nella Facoltà di Giurisprudenza. E’ direttore del Dipartimento di scienze giuridiche della sede di Milano. Autore di diverse monografie e saggi in tema di contratto, obbligazioni e responsabilità civile, è redattore capo della rivista Europa e diritto privato. E’ componente designato da Consob dell’Arbitro per le controversie finanziarie.

La redazione di DIMT ha intervistato il Prof. Albanese approfondendo l’intervento che curerà per l’evento E-AGORÀ – Online Platform Contracts del prossimo 1° luglio a Napoli: Piattaforme digitali tra regole di validità e regole di responsabilità.

 

Prof. Albanese Antonio 

 

Quali sono i vantaggi dell’uso delle piattaforme digitali oggi? Chi sono i principali stakeholder e quali le dinamiche del mercato in tale contesto?

L’utilizzo di piattaforme digitali come strumento di contrattazione offre indiscutibili vantaggi sia agli operatori del mercato – imprese e consumatori – sia al mercato stesso come istituzione. Le imprese, specie quelle medio-piccole, attraverso tali servizi possono infatti superare quelle “barriere d’ingresso”, che potrebbero impedire o rendere più difficile l’accesso al mercato, raggiungendo un pubblico più esteso di potenziali clienti. I consumatori, per parte loro, sono avvantaggiati da un’offerta più ampia di beni e servizi, che si traduce in una maggiore possibilità di soddisfare i propri bisogni e interessi a condizioni economiche più favorevoli. Quanto poi al mercato come istituzione, l’ambiente della piattaforma digitale ne favorisce lo sviluppo concorrenziale, migliorandone l’efficienza allocativa e la capacità di promuovere innovazione, a beneficio dell’intera collettività.

Tali forme di contrattazione tuttavia potrebbero paradossalmente tradursi in imperfezioni del mercato in mancanza di una disciplina adeguata, in grado di evitare abusi di potere contrattuale o difetti di trasparenza tanto negli scambi tra gli utenti quanto nei rapporti tra questi e i gestori dei servizi digitali. Il mercato, come è noto, è un locus artificialis costituito da un insieme di scambi relativi a determinati beni e servizi. Il suo funzionamento corretto ed efficiente non è di per sé garantito dal gioco spontaneo dei meccanismi economico, ma richiede regole giuridiche, che riguardano gli aspetti organizzativi, i soggetti che sono ammessi a partecipare e i beni che possono essere scambiati, ma soprattutto i contratti che ne costituiscono parte integrante.

Di questi ultimi profili si è fatto recentemente carico il Regolamento 2019/1150/UE, volto a garantire che i rapporti contrattuali tra i fornitori di servizi di intermediazione online e i c.d. ‘utenti commerciali’ (ossia le imprese che della piattaforma si avvalgono per offrire beni e servizi al pubblico) siano condotti secondo correttezza e buona fede.

 

 

 

Approfondendo le Sue ultime parole in merito agli aspetti dei rapporti contrattuali garantiti dal Regolamento 2019/1150/UE, in che modo trovano forma tali garanzie in merito all’utilizzo delle piattaforme digitali? La libertà del contraente può essere a rischio?

Le norme che regolano l’esercizio delle attività economiche nel mercato sono dirette a garantirne il funzionamento trasparente e concorrenziale e, di riflesso, a favorire una maggiore equità e correttezza dei singoli scambi.

Ciò non di meno, anche in un contesto così regolamentato, vi sono situazioni nelle quali le disparità di potere contrattuale e le asimmetrie informative possono dare luogo ad abusi, che condizionano negativamente la libertà del contraente debole di compiere scelte negoziali conformi al proprio interesse. È peraltro un dato di esperienza che disparità di potere contrattuale possono derivare anche dalle modalità stesse di contrattazione attraverso piattaforme digitali, che nascondono insidie per gli utenti, esponendoli a maggiori rischi di condotte non trasparenti o addirittura ingannevoli e più in generale scorrette.

L’impiego delle tecnologie informatiche, unilateralmente adottate dal gestore della piattaforma sulla base di una propria valutazione di convenienza, condiziona infatti l’accesso ai contenuti oggetto di comunicazione commerciale e le forme di manifestazione del consenso. L’utente non si trova di fronte a una controparte. con la quale può dialogare e alla quale può chiedere tutte le informazioni di cui ha bisogno, ma è solo davanti a una macchina che opera secondo una logica digitale prestabilita. La piattaforma ha già determinato le regole del gioco e il procedimento di formazione del contratto e all’utente non è data alcuna possibilità di proporre un percorso alternativo. Questa interazione on line reca quindi insita in sé una “asimmetria tecnologica” tra chi ha predeterminato le modalità di funzionamento della piattaforma e chi se ne avvale senza conoscerne compiutamente di meccanismi.

In questo scenario, si tratta quindi di verificare se e in che misura l’utente, professionista o consumatore, sia tutelato rispetto al rischio di scelte non pienamente libere e consapevoli e/o contrarie al proprio interesse. Da questa prospettiva l’obiettivo della mia relazione è stato quello di ricostruire i rimedi esperibili in caso di violazione delle regole che governano gli scambi nelle piattaforme.

 

 

Durante il Suo intervento approfondirà le tutele civilistiche dei rapporti tra regole di validità e regole di responsabilità, in quali casi le violazioni possono rendere annullabile il contratto concluso tramite la piattaforma digitale?

Le diverse condotte scorrette, che nell’utilizzo delle piattaforme digitali condizionano le scelte negoziali degli utenti, oltre a costituire violazioni della buona fede precontrattuale, possono integrare, in presenza di determinati presupposti, fattispecie di annullabilità per vizi del consenso.

Questo ad esempio avviene nel caso in cui le informazioni commerciali ingannevoli abbiano indotto l’utente a rappresentarsi erroneamente le caratteristiche dei beni e dei servizi acquistati o la natura stessa del contratto concluso. In tutti queste ipotesi l’errore cade su elementi tali da potersi ritenere essenziale e può determinare l’annullamento del contratto, ove sia riconoscibile da parte dell’altro contraente.

Il requisito della riconoscibilità merita peraltro una particolare attenzione in ragione delle modalità con cui si svolge la contrattazione, che prescinde dall’interazione fisica con una persona in carne e ossa e che perciò potrebbe mettere in dubbio la possibilità di riconoscere l’errore. In realtà il problema si supera se si considera che l’errore è stato indotto proprio dall’altro contraente che ha scelto le informazioni da rendere disponibili sulla piattaforma stabilendone altresì le modalità per accedervi. Alla luce di tale condotta non sembra sussistere un affidamento meritevole di tutela e si giustifica quindi una riduzione teleologica della norma con la quale l’art. 1428 c.c. subordina la rilevanza invalidante dell’errore alla sua riconoscibilità. La necessità di tale requisito viene infatti meno là dove ciò risulti coerente con la stessa ratio di tutela a esso sottesa.

Non si può peraltro escludere che in alcune situazioni la messa a disposizione di informazioni lacunose e/o decettive possa integrare una distinta e concorrente fattispecie di annullabilità per dolo. Proprio i più stringenti obblighi di trasparenza e correttezza previsti dalla normativa europea a carico di chi gestisce o opera professionalmente attraverso piattaforme digitali inducono a mettere in discussione, almeno in questo contesto, l’opinione tradizionale che sostiene l’irrilevanza del mendacio come vizio della volontà. Diversamente da quanto accade nella negoziazione tra due soggetti in comunicazione tra loro. l’utente non h la possibilità di interpellare la controparte per verificare la correttezza delle informazioni reperibili nella piattaforma. Là dove le rappresentazioni e le dichiarazioni false presentino una sufficiente attitudine decettiva, non sembra quindi azzardato ipotizzare che il contraente tratto in inganno possa ottenere l’annullamento del contratto per dolo. In tal caso l’errore indotto sarà rilevante ove sia stato determinante del consenso, anche se non presenta i requisiti che lo rendono essenziale ai sensi dell’art. 1429 c.c.

Peraltro, il comportamento ingannevole non sempre è ascrivibile alla piattaforma, ma è talvolta posto in essere da soggetti diversi. Si pone quindi la questione di una possibile responsabilità della piattaforma per condotte scorrette di terzi, che di essa si avvalgono. Al riguardo il punto di partenza è dato dall’art. 17, co. 1, d.lgs. 9.4.2003 n. 70, che sancisce espressamente l’assenza di un obbligo generale di sorveglianza.

Questa regola negativa di irresponsabilità è subordinata però a determinati presupposti, volti a escludere che la piattaforma abbia consapevolmente agevolato o reso possibile le scorrettezze altrui.

In presenza di un contributo causale in tal senso si potrà invece configurare una responsabilità per complicità nell’inadempimento degli obblighi precontrattuali previsti dalla legge o ricavabili dalla clausola generale di buona fede, sulla base del principio generale di cui è espressione l’art 2055 c.c.

Nella direzione di una maggiore responsabilizzazione del prestatore di servizi digitali sembra peraltro muoversi anche il Digital Service Act nel caso in cui all’acquirente di beni o servizi siano state fornite informazioni tali da indurlo a ritenere di averli acquistati direttamente dalla piattaforma.

Questa responsabilità si inscrive peraltro in un discorso più generale che attiene alla possibilità di cumulare rimedi invalidanti e risarcitori, esperibili nei confronti del medesimo soggetto o di altri soggetti. L’autonomia funzionale tra due discipline consente del resto di applicarle congiuntamente ove ne sussistano i rispettivi presupposti.

È vero però che la regola di invalidità può interferire con quella di responsabilità, eliminando alcune conseguenze dannose della condotta scorretta che altrimenti avrebbero dovuto essere risarcite. Restano tuttavia risarcibili quei pregiudizi che, pur essendosi verificati nell’esecuzione del contratto annullabile, non possono essere rimossi mediante le restituzioni conseguenti all’annullamento. Si pensi ad esempio alle spese inutilmente sostenute a causa di informazioni decettive sulle caratteristiche dei beni acquistati in base a un contratto annullato per errore sulla qualità dei medesimi. Parimenti sarà risarcibile ai sensi dell’art. 1338 c.c. il pregiudizio derivato non dalla conclusione del contratto invalido, ma dall’affidamento erroneo sulla sua validità. In entrambi i casi infatti gli effetti pregiudizievoli non derivano direttamente dal contratto e pertanto non vengono meno con il suo annullamento.

Altre volte, invece, in virtù del medesimo principio di autonomia può accadere che la violazione di una regola di responsabilità non integri a sua volta una causa di invalidità negoziale. Così ad esempio quando la condotta ingannevole, pur influenzando negativamente le scelte negoziali della controparte, non raggiunga la soglia di rilevanza come vizio della volontà normativamente previsto.

Si ripropone quindi anche rispetto alla contrattazione nelle piattaforme digitali la classica quesitone dei c.d. vizi incompleti del consenso, in quanto tali inidonei a integrare una fattispecie di invalidità negoziale, ma sufficienti a fondare rimedi di tipo risarcitorio, in ragione del comportamento scorretto che ha concorso a determinarli.

Da questa prospettiva la mia ricerca si propone di verificare se ed entro quali limiti sia consentito il risarcimento del danno derivato da contratto valido ma sconveniente, in termini coerenti con la razionalità del sistema, senza eliminare o correggere gli effetti che esso ha validamente prodotto.

 

 

 

a cura di

Valeria Montani

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