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La sentenza della Corte costituzionale tedesca e la questione europea. L’evento UER e il parere di Sica

Il 15 maggio il Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza dell’Università Europea di Roma ha organizzato un incontro di studi sulla sentenza del Tribunale costituzionale federale tedesco del 5 maggio 2020 sul programma PSPP della Banca Centrale Europea.

L’incontro è stato presieduto dal prof. Emanuele Bilotti, ordinario di Diritto privato e Coordinatore del Corso di laurea magistrale in Giurisprudenza dell’UER e si è aperto con i saluti della prof.ssa Matilde Bini, ordinario di Statistica economica e Direttore del Dipartimento di Scienze Umane dell’UER. I lavori sono stati introdotti dal prof. Filippo Vari, ordinario di Diritto costituzionale nell’UER, il quale ha evidenziato in particolare la possibile influenza che la decisione può avere sulla sostenibilità del debito pubblico italiano: nella decisione, infatti, sono presenti alcune considerazioni di carattere generale sulla impossibilità di condividere i debiti sovrani in virtù di quanto previsto sia dal testo vigente del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea sia dalla Legge fondamentale tedesca.

Per un’analisi della tematica sotto il profilo giuridico sono intervenuti il prof. Mario Esposito, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università del Salento, e il prof. Lorenzo F. Pace, associato di Diritto dell’Unione europea nell’Università del Molise e Docente di Diritto dell’Unione europea nell’Università Europea di Roma. Per illustrare i profili economici della decisione hanno preso la parola il prof. Giovanni Farese, associato di Storia economica nell’Università Europea di Roma, e il prof. Guido Traficante, ricercatore di Politica economica e docente di Macroeconomia nell’Università Europea di Roma.

In particolare, il prof. Mario Esposito ha evidenziato come la decisione faccia sì che i nodi vengano al pettine. Secondo il prof. Esposito la sentenza mette in luce come l’Unione europea non sia una federazione, ma una sorta di consorzio, nel quale gli Stati possono e devono tutelare la loro identità costituzionale, in modo da salvaguardare anche effettive condizioni di parità.

Per il prof. Lorenzo Pace il differimento degli effetti della decisione del Tribunale costituzionale federale tedesco a dopo il 5 agosto starebbe a dimostrare la consapevolezza di quei giudici delle gravi conseguenze che la decisione può avere per il futuro del processo di integrazione europea. Sempre secondo il prof. Pace è prevedibile che nei prossimi mesi il Tribunale costituzionale federale tedesco emanerà una sentenza modificativa di quella del 5 maggio e confermerà la legittimità della decisione della BCE come ha già fatto la Corte di giustizia.

Il prof. G. Farese ha ricordato che, se la BCE non avesse contrastato la frammentazione finanziaria, a rischio sarebbe stata la stessa sopravvivenza dell’Euro e la tenuta dell’economia europea. Il prof. Farese ha evidenziato altresì i possibili effetti collaterali di una politica prolungata di accomodamento monetario, concludendo che un riequilibrio complessivo può venire dalla adozione di politiche di bilancio comuni, accanto alla politica monetaria.

Secondo il prof. G. Traficante, la sentenza della Corte tedesca può produrre delle conseguenze enormi. Per il prof. Traficante il concetto di indipendenza delle banche centrali oggi deve essere ripensato. Sotto altro profilo, egli ha notato che l’azione della BCE è ancora più importante considerando la mancanza di una politica fiscale comune nell’area euro. Il bilancio annuale dell’Unione ammonta infatti solamente a circa l’uno per cento del reddito nazionale lordo complessivo degli Stati Membri e all’Unione non sono consentite politiche in deficit.

A conclusione dell’incontro è intervenuto il prof. Cesare Mirabelli, Presidente emerito della Corte costituzionale e docente di Diritto canonico ed ecclesiastico nell’Università Europea di Roma. Dopo aver espresso apprezzamento per l’immediatezza di un dibattito di estremo interesse anche per l’approccio pluridisciplinare del tema, il prof. Mirabelli, richiamando la lunga intervista concessa dal giudice costituzionale P. M. Huber alla Süddeutsche Zeitung il 12 maggio, ha segnalato in particolare la proposta di elaborare meccanismi di coordinamento tra le Corti costituzionali nazionali e la Corte di giustizia dell’Unione europea. Al riguardo il prof. Mirabelli ha ricordato come la Corte costituzionale italiana stia perseguendo da tempo la via di una reciproca comprensione e di una leale collaborazione tra le Corti anche attraverso l’organizzazione di tavoli di confronto su singoli temi: un meccanismo che, a giudizio del prof. Mirabelli, è più proficuo rispetto a soluzioni formalizzate come un giudizio pregiudiziale delle Corti nazionali. Il prof. Mirabelli ha ricordato poi come nella vicenda in esame la particolare accentuazione del dato politico è stata determinata anche dal fatto che la Corte tedesca è stata sollecitata a intervenire mediante un ricorso diretto, mentre non è previsto un meccanismo analogo di accesso alla Corte costituzionale italiana, che ha così la possibilità di pronunciarsi a una certa distanza temporale dall’accensione di un fuoco su un determinato problema e di ragionare perciò con maggiore freddezza.

Da ultimo il prof. Mirabelli ha osservato come sia riduttivo considerare l’Unione come un’organizzazione che non esercita una sovranità conferita dagli Stati. In una simile prospettiva di “sovranismo istituzionale” sarebbe infatti difficile comprendere come il diritto dell’Unione europea possa essere direttamente efficace nei singoli ordinamenti nazionali. Il prof. Mirabelli ha concluso perciò chiedendosi se non sia più corretta la posizione della Corte costituzionale italiana secondo cui il diritto dell’Unione europea pone un limite alla sovranità dello Stato, rispetto al quale operano come “controlimite” i soli principi supremi della Costituzione e non l’intera Costituzione considerata come una monumentalità inattaccabile dal diritto dell’Unione.

Sullo stesso tema, Diritto Mercato Tecnologia ha chiesto il parere anche di Salvatore Sica, avvocato, professore di Diritto privato all’Università degli Studi di Salerno e condirettore di DIMT.

Professor Sica, è vero innanzitutto che la Germania non ha rispettato la gerarchia legale europea?

Non credo che si possa rispondere affermativamente ad una simile domanda, almeno con riferimento alla recente sentenza della Corte costituzionale su Quantitative Easing. La Corte infatti ha seguito un disegno che coerentemente porta avanti da anni e che si fonda sull’idea che il processo di unificazione è il risultato di un processo di interstatalismo e non ha mai realmente condotto alla creazione di un’autentica realtà sovranazionale, dotata d autorità sui singoli Stati, per effetto di un’abdicazione da parte degli stessi, su base di legittimazione democratica, alla propria sovranità. Il discorso è complesso e francamente l’assunto tedesco non pare da condividere; E’ infatti vero che sin dalla CEE il modello prescelto è stato quello del trattato, come  strumento di relazioni multilaterali, ma è pur vero che la successione dei trattati, sino a quello che “istituisce l’Unione Europea”, induce a ritenere non poco formalistico l’approccio della Corte. Indubbiamente, a stretto rigore, l’interrogativo sul livello di penetrazione e primazia accettabili del diritto europeo nei singoli ordinamenti nazionali potrebbe avere una sua giustificazione.

Se poi la domanda attiene al modo tedesco di interpretare l’appartenenza europea, anche in questo caso la risposta dovrebbe essere più articolata; non è un mistero che la Germania, storicamente, prima che un’entità giuridico-istituzionale, si sia sentita una nazione, con tendenza all’autoreferenzialità se non all’egemonia. Il tema è storico-culturale ma non ritengo si possa affermare che il popolo tedesco sia più a rischio rispetto agli altri popoli europei di fronte a risorgenti nazionalismi; del resto, da Adenauer a Brandt e Kohl, c’è un filone tedesco di forte vocazione europeista, che tanta parte ha avuto nei risultati fin qui conseguiti nella creazione di una coscienza e di una pratica unionista.

Lo scontro tra la Corte costituzionale tedesca e la Corte di giustizia europea è stato inserito nel più ampio dibattito sulla natura dell’Unione (Europa federale contro “Europa degli Stati”). Può aiutarci a capire meglio di cosa si tratta?

Si guarda all’attualità senza rendersi conto che la crisi che l’Unione vive è il risultato di un processo storico consumato per tappe e che, d’altro canto, non è in discussione il solo meccanismo di aiuto ai Paesi dopo la pandemia, né il QE, al centro della decisione della Corte di Karlsruhe: non è questione di formule ma di identità e sopravvivenza stessa del progetto europeo. Eppure siamo a questo punto non per caso; dal fallimento dei referendum per l’approvazione della cosiddetta “Costituzione europea” in avanti si sarebbe dovuto comprendere che altro esito non ci sarebbe stato. L’unificazione europea aveva raggiunto il punto limite consentito dal metodo gradualista e funzionalista; la scelta del processo per step, che dal Trattato di Roma in poi ha accompagnato l’unificazione, ha avuto successo; è ingeneroso sostenere che abbiamo avuto decenni di Europa dei “mercanti”. E’ sotto gli occhi di tutti che, per quanto con lo strumento dei trattati e con il filtro del modello del mercato, cinquant’anni di unificazione hanno consentito l’emersione di nuovi diritti fondamentali ed hanno fatto pervenire alla piattaforma di valori e principi contenuti nella Carta di Nizza. Perduta l’occasione della vera costituzionalizzazione, era prevedibile che, in particolare dopo la moneta unica, il “re sarebbe apparso prima o poi nudo”. Ed oggi la pandemia sta mostrando la nudità di un’Europa che determina la gran parte delle scelte dei singoli Stati, influenza, sebbene attraverso la leva finanziaria, i destini dei popoli, concorre alla legislazione interna –soprattutto nei rapporti economici- in maniera quasi prevalente, ma non è sorretta da una bagaglio di opzioni valoriali condivise e da una legittimazione democratica. Se si comprende che questa, come ogni crisi, nel suo senso etimologico, può costituire una grande opportunità di progresso, l’unica destinazione possibile, se vi si crede ancora, sono gli Stati Uniti d’Europa. Ma non è quanto emerge dalla contraddittorietà delle politiche degli Stati membri, che ora rivendicano appartenenza europea, ora – penso alla Germania ed alla sua partnership con la Cina- praticano scelte uni o multilaterali.

La sentenza della Corte tedesca creerà un precedente, secondo lei? Altri Stati – penso soprattutto alla Polonia – potrebbero additare il caso per respingere decisioni europee sgradite?

La sentenza ha il principale (ma forse esclusivo) pregio, come ho detto, di svelare le non poche ipocrisie istituzionali in cui siamo immersi, in materia di Unione Europea.  Non abbiamo completato il percorso di costituzionalizzazione europea, però oggi, secondo una stima approssimativa per difetto, il cinquanta per cento del diritto privato degli Stati membri, certamente quello commerciale, è di provenienza europea. Dunque, la pronunzia è un invito “potente” a rimuovere le ambiguità: senza l’ultimazione del disegno su base di legittimazione democratica sarà sempre più difficile tenere a freno spinte  di exit. Il grande rischio di questa, che è una sentenza “politica”, è che essa rappresenti l’inizio di una tendenza che va oltre il mero “diritto di resistenza”, che da tempo le corti nazionali si riservano rispetto alle decisioni o alla legislazione europea. In altre parole, non pareva il momento migliore per un intervento, che magari tale non era nelle intenzioni ei giudici tedeschi, ma che rischia di diventare a “gamba tesa” nella delicata fase che le istituzioni ed i popoli europei attraversano. Se ne può venire fuori soltanto con l’accentuazione di un’identità sovranazionale condivisa, che, ad esempio, passa per una reale politica estera comune, per strategie commerciali condivise, insomma con l’Europa ad una sola voce. Per quanto complicato, non vedo molte alternative.

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