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Cybersecurity, durante la pandemia aumentano i rischi informatici

La pressione su social media ed altre piattaforme on line ha aumentato i rischi potenziali ed il web si è spesso trasformato in veicolo di intrusione nei dispositivi connessi. Campagne informative incentrate su tematiche COVID e sapientemente orchestrate da cyber criminali sono andate moltiplicandosi giorno per giorno, trasformando le piazze virtuali in contenitori di minacce informatiche.

Secondo alcuni esperti, il tasso di domini con contenuti a rischio riguardanti il tema coronavirus è oggi del 50% più alto del tasso espresso da tutti i domini registrati nello stesso periodo. Se consideriamo che a fine 2019 si potevano stimare nel mondo più di 25 miliardi di dispositivi, con un trend di crescita esponenziale fino a 125 miliardi nel 2030, è facile immaginare quale sfida per la sicurezza tutto questo rappresenti. Una sfida anche per la fiducia dei consumatori verso un mondo fortemente interconnesso nell’ambiente dominato in un prossimo futuro dall’IoT.

Ancora nel World Economic Forum 2019 Global Risk Report gli attacchi informatici erano identificati tra i 5 maggiori rischi globali. L’edizione 2020 pone l’assoluta priorità sui rischi ambientali e climatici, ma quanto vale in termini economici un disastro ambientale se lo paragoniamo a un cyber attacco? L’uragano Katrina del 2005 in Florida e Louisiana aveva causato perdite per circa 125 miliardi di dollari. I Lloyd’s di Londra stimano che un attacco informatico su scala globale potrebbe causare danni per ben 120 miliardi di dollari.

Le imprese rappresentano senz’altro il principale obiettivo della criminalità on line: come è valutata la loro preparazione sul tema sicurezza e le risposte tecnologiche adottate? Una recente indagine di Eurostat presenta un quadro a luci ed ombre. Se è vero che la grande maggioranza delle imprese di ogni dimensione conferma l’utilizzo di misure tradizionali (aggiornamento del software, autenticazione delle password), differenze maggiori si evidenziano su strumenti di sicurezza meno comuni.

Il 70% delle grandi imprese, per esempio, si avvale della valutazione del rischio ICT, a cui si contrappone appena il 28% delle piccole imprese. Se poi si arriva a metodi di identificazione ed autenticazione biometrica, la situazione è poco incoraggiante sia per le grandi (22%) che per le piccole imprese (8%). La posizione dell’Italia rispetto agli altri Paesi si conferma intorno alla media europea, con risultati eccellenti in tema di condivisione delle misure di sicurezza ICT con i dipendenti mentre le imprese italiane sembrano rimanere meno sensibili alla necessità di assicurarsi contro i rischi legati alla sicurezza informatica.

L’emergenza di queste ultime settimane ha peraltro obbligato molte imprese a far uso dello strumento dello smart working, per garantire il prosieguo delle proprie attività. In questo caso, ovviamente, i rischi legati alla sicurezza aumentano in modo esponenziale. E le imprese italiane non sembrano essersi sufficientemente attrezzate al riguardo.

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