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Smart contracts e blockchain. Intervista alla Prof.ssa Claudia Sandei.

La redazione di DIMT ha intervistato la Professoressa Claudia Sandei, associata di diritto commerciale presso l’Università di Padova Direttore dell’Innovation and Technology Law Lab e del Digital Law Network e TEDx speaker, in merito al sempre più attuale tema degli smart contracts blockchain.

 

 

La recente attenzione dedicata agli smart contracts deriva sia dall’automazione che essi garantiscono, ma anche dalla possibilità che oggi vengano utilizzati insieme alla tecnologia blockchain (garanzia della loro immutabilità e conoscibilità di fronte a qualsiasi terzo). Quali sono secondo Lei, i punti di forza e le maggiori criticità degli smart contracts e della blockchain?

 

Come sappiamo, la blockchain nasce come strumento di registrazione delle transazioni aventi ad oggetto i bitcoin. Successivamente l’attenzione degli sviluppatori si è spostata su altri asset e quindi su altre applicazioni, anche non finanziarie. Il problema è che, mentre il bitcoin rappresenta una realtà la cui esistenza è intrinsecamente legata, sotto ogni aspetto, alla blockchain, lo stesso non si può dire per altri asset, i quali certo possono essere tokenizzati ma la cui disponibilità si esprime al di fuori della rete. Penso ad esempio agli immobili, rispetto ai quali la blockchain può servire da medium per l’attribuzione (la registrazione dell’atto di attribuzione) del diritto dominicale ma certo non può assicurare al compratore l’acquisto del possesso.

Lo stesso vale per i contratti: indubbiamente i programmi per elaboratore sono in grado di processare istruzioni corrispondenti a prestazioni negoziali e infatti vi sono già alcuni operatori, ad esempio assicurativi, che hanno cominciato ad utilizzare questa tecnologia allo scopo di rendere più rapida e certa la stipulazione e l’esecuzione dei propri contratti. Anche in questo caso, però, il risultato non potrà essere sempre pienamente appagante, soprattutto non potrà esserlo in quelle situazioni in cui gli obblighi delle parti dipendono da fattori esterni non facilmente verificabili in modo oggettivo.

 

 

Il ruolo dei giuristi si è evoluto nell’era moderna nel comprendere e nel farsi interpreti dei mutamenti, dovendo elaborare soluzioni adeguate a tutela delle nuove situazioni giuridiche che vengono prendendo forma nell’attuale orizzonte digitale. Come viene attuata secondo Lei, la questione relativa alla riconducibilità o meno di smart contracts nell’area dell’alveo contrattuale? Quale tipo di normativa, parlando di smart contracts e blockchain, è possibile attuare a protezione dei consumatori?

 

Col senno di poi credo che quello degli smart legal contracts sia un falso problema, che tutti ci siamo posti all’inizio perché stentavamo a comprendere il meccanismo sottostante. In effetti, possedere delle buone basi tecniche su cui riposano i fenomeni emergenti è essenziale per la loro analisi giuridica e per una buona attività normativa.

Da questo punto di vista, la disciplina varata con il decreto semplificazioni appare più come un punto di partenza, che non di arrivo. Sia per le ambigue espressioni che contiene e sia, soprattutto, per le scarse indicazioni che di fatto offre agli operatori, prima ancora che agli interpreti. Basti pensare al problema, totalmente ignorato, della tutela del consumatore in ambiente blockchain. Resta il fatto che per poter regolare sapientemente questi fenomeni è essenziale aver chiaro che le relazioni digitali possono atteggiarsi in varie forme, alcune delle quali non sono e non saranno sempre pienamente conciliabili con il quadro normativo vigente.

 

 

 

 

Con l’occasione la Redazione rimanda al contributo:

 “Gli Smart Contracts. Vecchi e nuovi(?) paradigmi contrattuali nella prospettiva della protezione dei consumatori”

di

Michele Giaccaglia

 

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