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La Summer School 2017 in “Diritto dei Media”

Quali sono i principi e i valori che il giudice nel momento applicativo può riempire con dati metagiuridici? Già la giurisprudenza di suo si è sradicata dall’applicazione letterale delle norme, al di là di internet. Il giurista sa che pur conoscendo il sistema normativo non può più calcolare l’esito della controversia. Il magistrato ormai fabbrica diritto, ne è artefice anche perché ritiene che se la norma non si attaglia alla sua visione sociale delle cose  può essere forzata in modo da “fare giustizia”.

E’ una delle riflessioni sviluppate nella lectio magistralis tenuta dal Prof. Alberto Gambino, Prorettore dell’Università Europea di Roma e Direttore Scientifico di Diritto Mercato Tecnologia, in occasione della Summer School svoltasi a Messina e organizzata tra gli altri dall’Ordine degli Avvocati di Messina, dalla Rivista MediaLaws.

Finalità del progetto formativo è quella di approfondire tematiche quali: la  responsabilità scaturente da un utilizzo distorto delle tecnologie dell’informazione; l’importanza di una consapevolezza presenza in rete e della diffusione del dato personale; l’evoluzione del mercato globale nella sua dimensione sovranazionale; i diritti in rete costituzionalmente garantiti e riconosciuti ma non sempre realmente attuati.

Se i principi non si ricavano più da norme interne  – ha osservato ancora Gambino –  manca una comune base legislativa, il principio generale diventa un elemento che si può ricavare da qualunque fonte (ordinamento straniero, precedente): c’è una libertà di applicazione in rete che dà al giudice interprete il potere di ricavare il principio da fonti da carattere non normativo.

A parere di Gambino l’antidoto è la formazione del magistrato. Le regole tecniche sono così l’antidoto della deriva giurisprudenziale. Hanno un rango prelegislativo da cui il giudice non si può discostare.

Tanto più i giuristi compartecipano alla formazione delle regole tecniche tanto più ci si riappropria della normatività. Bisogna poi chiedersi se la rete sia permeabile a una applicazione diretta delle regole o immune perché ci si trova di fronte a una nuova formazione sociale (Passaglia). Dobbiamo chiederci dunque se Facebook o WhatsApp e tutto ciò che accade entro le rispettive comunità può considerarsi soggetto alle consuete vicende giuridiche o siamo sottoposti a regole proprie dettate dagli operatori. 

Ecco allora l’importanza di un approccio multistakeholder rispetto alla scrittura delle regole e dei codici, un approccio in cui non ci sia solo la presenza degli operatori ma anche il presidio di associazioni consumatori, accademia, enti di ricerca. L’operatore può così farsi parte attiva.

Altro tema da scandagliare. La persona ha caratteristiche che nel rapporto sociale si vogliono rispettate per quello che è. Interesse a una rappresentazione veritiera della persona. C’è una sfera in cui ci presentiamo per quel che siamo ma un sistema automatizzato poi scheda gli utenti facendoli diventare dei dati. Le norme dunque non devono essere orpello che perde effettività.

La profilazione del dato personale per campagne pubblicitarie suscita maggiore perplessità – ha affermato ancora Gambino –  rispetto al dato rielaborato che però si disgiunge dal titolare: qui torna dall’utente in forma di pubblicità commerciale calibrata. Bisogna ricordare il principio che sta alla base della disciplina sui dati, quello della libertà di scelta.

Il Prof. Gambino si è inoltre soffermato sull’automatizzazione delle transazioni tramite sistema come il blockchain. Un argomento che suscita due riflessioni: la verità informatica potrebbe non essere più la verità tradizionale, perché il blockchain dice che la verità è ciò che corrisponde all’algoritmo, con un margine di errore. 

I player della rete hanno anche una funzione sociale oltre che economica e da questo non possiamo prescindere.

L’avvocato Marco Bassini ha evidenziato come la transizione del dibattito costituzionale su Internet si sia svolta dal tema della sovranità a quello dei diritti, una volta svelata l’illusione di un Internet anarchico su cui gli Stati, secondo le prime ricostruzioni, non avrebbero potuto esercitare la propria sovranità nazionale. Smentito questo arcano, oggi si impone sempre di più la presenza dei Bill of rights, di dubbia funzionalità, che però da mero strumento elaborato da attivisti e organizzazioni non governative, in Italia e in Brasile hanno fatto il loro ingresso anche in sedi istituzionali.

il Prof. Marco Cuniberti ha sottolineato le perplessità legate alla ricorrente proposta di Bill of rights e di carte dei diritti di Internet come condizione per assicurare una protezione costituzionale alle nuove libertà su internet. Particolarmente critico il riferimento all’accesso a Internet, che già ritrova tutela sotto il cappello di diverse norme costituzionali. Forse più condivisibile idea di portare Internet nella costituzione, magari adeguando alcune disposizioni che potrebbero necessitarne. 

il prof. Oreste Pollicino ha impostato il dibattito sul significato delle metafore nella giurisprudenza che prova ad applicare alle nuove tecnologie costruzioni teoriche già esistenti. In particolare ha messo in guardia su applicazione di metafora del free marketplace of ideas al giorno d’oggi, perché Internet non è più mercato libero da oligopoli e posizioni dominanti. Serve guardare al contesto di riferimento per capire se esportazione può funzionare o meno.

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