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Tutele ed accertamento giurisprudenziale dell’espressione artistica nel mondo digitale. Intervista a due voci ai Prof. Avv. Giampaolo Frezza ed alla Prof.ssa Avv. Francesca Ferrari

La redazione di DIMT, in occasione dell’evento Diritto delle arti e nuove tecnologie, ha approfondito le tematiche inerenti alla tutela dell’espressione artistica intervistando il Prof. Avv. Giampaolo Frezza e la Prof.ssa Francesca Ferrari.

 

Il Professor Giampaolo Frezza è ordinario di Diritto privato nell’Università Lumsa, nonché prorettore alla didattica e al diritto allo studio presso la stessa università dal 2018. Direttore responsabile e condirettore scientifico della prestigiosa rivista Il diritto di famiglie e delle persone, edita da Giuffrè. Coordinatore della sezione Sicilia della SISDiC (Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile). Autore di numerose pubblicazioni saggistiche e monografiche in materia di diritto privato, consultabili in www.lumsa.it/giampaolo-frezza.

La Prof.ssa Francesca Ferrari è avvocato in Milano e professore di diritto processuale civile presso l’Università degli Studi dell’Insubria. Coordinatore del focus in Diritto e Nuove Tecnologie presso il corso di laurea magistrale in giurisprudenza dell’Università degli Studi dell’Insubria. La sua formazione è esplicitamente comparatistica: tra il resto ha frequentato il “Centre for Criminology and the Social and Philosophycal Study of Law” presso l”Università di Edimburgo (Scozia), è stata visiting researcher presso  la Harvard Law School e visiting scholar presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Maastricht. Negli anni i suoi principali interessi si sono concentrati sulla tutela giurisdizionale in materia di proprietà intellettuale e sulla fase di istruzione probatoria nel processo civile.

 

 

Il Prof. Avv. Giampaolo Frezza

 

 

La Prof.ssa Avv. Francesca Ferrari

 

 

  • Quale sviluppo ha seguito l’analisi del rapporto tra beni culturali e nuove tecnologie, durante l’evento Diritto delle arti e nuove tecnologie?

La Prof.ssa Francesca Ferrari – Il convegno aveva lo scopo di indagare questo rapporto nei suoi molteplici aspetti, dando voce anche diversi protagonisti del rapporto stesso e quindi non solo il giurista, ma anche il divulgatore e lo storico dell’arte; mi sembra di poter dire, anche alla luce delle conclusioni della Prof.ssa Pozzo alla mattina e del prof. Gambino al pomeriggio, che, muovendo dal tema della formazione dei giuristi del domani si è giunti sino a considerare l’utilizzo dell’intelligenza artificiale ai fini di valutare l’opera d’arte nel contesto processuale. Ciò è avvenuto mediante uno sviluppo a mio parere armonico, che ha consentito di analizzare alcuni temi cardine, come quello dell’autenticità, della digitalizzazione dei beni culturali classici, delle nuove opere d’arte come gli NFT, ma anche di occuparsi del diritto alla bellezza, della blockchain a protezione delle opere d’arte nonché di ascoltare le osservazioni dello storico dell’arte, prof. Spiriti, in merito al ruolo delle nuove tecnologie rispetto alle opere d’arte classiche.

Il Prof. Giampaolo Frezza – Il Convegno ha avuto, a mio avviso, un impatto davvero significativo: molti sono gli aspetti su cui si potrebbe focalizzare l’attenzione ma, oltre a quanto riferito dalla stimata collega Francesca Ferrari, credo che un elemento importantissimo su cui qui vale la pena fare approfondire sia quello attinente alla Blockchain e all’autenticità dell’opera d’arte.

Ci si interroga, infatti, se la blockchain possa sopperire alle lacune riguardanti la certezza giuridica nella circolazione delle opere e, come effetto riflesso, se essa possa rappresentare uno strumento indiretto di prevenzione delle liti in ordine all’autenticità dell’opera.

È emersa, in seno al convegno, l’importanza della Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018, riguardante le Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione [2017/2772(RSP)]. Tale risoluzione, nell’ambito di un’ampia definizione di tali tecnologie (ivi denominate DLT),  sottolinea che nel caso dei contenuti creativi ‘digitalizzati’, la DLT può consentire di tracciare e gestire la proprietà intellettuale e facilitare la protezione dei diritti d’autore e dei brevetti; pone l’accento sul fatto che la DLT può consentire titolarità e sviluppo creativo maggiori da parte degli artisti mediante un registro pubblico aperto che possa anche indicare chiaramente proprietà e diritti d’autore; sottolinea che la DLT potrebbe contribuire a collegare i creatori al loro lavoro, migliorando così la sicurezza e la funzionalità nel contesto di un ecosistema di innovazione collaborativa e aperta, soprattutto in settori quali la produzione additiva e la stampa 3D; 23. rileva che la DLT potrebbe giovare agli autori apportando maggiore trasparenza e tracciabilità all’uso dei loro contenuti creativi, nonché riducendo gli intermediari per quanto riguarda il pagamento dei loro contenuti creativi”.

Ci si può allora domandare se nella blockchain possano essere annotati:

— i dati riguardanti la paternità delle opere e la titolarità dei diritti di autore (morale e patrimoniale); e, in particolare, se l’artista è morto, le informazioni relative ai soggetti che acquisiscono, iure proprio in occasione della morte, il diritto morale di autore;

— le immagini e il titolo dell’opera, l’anno di realizzazione, i materiali usati, le misure e la denominazione di “pezzo unico” oppure di “opera in serie” (serigrafia, litografia, acquaforte, fotolitografia);

— le informazioni sulla proprietà dell’opera e sui successivi trasferimenti tramite contratto; in tal modo si potrà verificare la provenienza, magari autorevole, da una casa d’aste, da una galleria, da un famoso collezionista. Questi dati renderebbero, all’evidenza, più sicura la circolazione e sarebbero destinati ad incrementarne le valutazioni di mercato;

— i certificati di autenticità. La catena di informazioni, così, svolgerebbe la funzione di archivio o registro delle opere d’arte e delle sue caratteristiche. Ad esempio, in essa sarebbe possibile inserire una foto dell’artista (se in vita) che dipinge il quadro, a garanzia della riconducibilità, quanto meno sul piano astratto, alla sua mano. Sarà, inoltre, possibile indicare gli esiti delle tecniche di autenticazione, come, ad esempio, la riflettografia infrarossa e le metodologie che si fondano sull’utilizzo di intelligenze artificiali;

— l’arte c.d. immateriale. Sarà possibile, in particolare, cristallizzare, attraverso l’uso della tecnologia appena riferita, le informazioni relative a quelle manifestazioni artistiche che, ad esempio, esprimono un’idea; a quelle effimere, destinate, cioè, a venire meno; a quelle che si concretizzano nell’uso di oggetti quotidiani o industriali e, infine, alle installazioni che impongono riattivazioni della medesima opera.

Aspetti, questi, che sono stati compiutamente trattati in seno al Convegno, efficacemente organizzato dai Colleghi Ferrari e dell’Aversana, a cui intendo pubblicamente rivolgere i miei ringraziamenti.

 

 

  • Quali nuovi ruoli trova l’espressione artistica nelle trasformazioni degli strumenti di protezione in ambito tecnologico, come ad esempio in social media e Non Fungible Token?

La Prof.ssa Francesca Ferrari – Il tema degli NFT è stato affrontato da molti relatori ed era inevitabile, anche alla luce dei record che alcuni NFT hanno toccato in asta. L’NFT è un token che ha la caratteristica di essere unico e irripetibile e che contiene una serie di informazioni; in un certo senso è un’opera d’arte e, sotto altro profilo è un certificato di autenticità dell’opera d’arte e E questa sua caratteristica fa venir meno per questa tipologia di arte per esempio il problema dell’autenticità e dell’accertamento della stessa.

Quanto ai social ormai pervadono la vita quotidiana e inevitabilmente l’artista deve promuoversi attraverso di essi, tuttavia siamo ancora agli albori e le potenzialità anche dei social sono molto più ampie di quelle attualmente sfruttate.

Il Prof. Giampaolo Frezza – Tema centrale, ripreso da molte relazioni, è quello dei cosiddetti NFT: si tratta di token che rendono uniche e irripetibili alcune informazioni in esso contenute, quali il certificato dell’opera d’arte, per stare al tema da me trattato in seno al convegno. I token divengono persino strumenti di creazione dell’opera d’arte: da qui, la potenzialità circa il loro utilizzo.

I social, poi, sono strumenti di inevitabile riferimento, oltre che per le relazioni umane, per la verità sempre più spersonalizzate, anche per l’arte e per l’attività svolta dall’artista, dai Musei e dalle Gallerie, pur se deve evidenziarsi come spesso essi possano essere fonti di informazioni che non sempre tutelano l’arte e i suoi valori: si pensi, tanto per esemplificare, ai problemi posti dalla cosiddetta cancel culture.

 

 

  • Prof. Frezza, durante l’evento ha sviluppato un’analisi in merito a “Nuove tecnologie, autenticazione e attribuzione dell’opera d’arte”. Come a Suo avviso le nuove tecnologie possono effettivamente aiutare l’autenticazione di un’opera d’arte? In particolare, quali sfide stanno portando le connessioni e gli sviluppi tra l’arte e le nuove tecnologie, in ambito giuridico? Quali sono i principali rischi e criticismi?

Il Prof. Giampaolo Frezza- Salvo a riprendere la risposta alla prima domanda da Lei rivoltami, la mia relazione, in realtà, ha avuto ad oggetto l’analisi dell’arte fra principi e valori, il problema della facoltà di autentica di un’opera d’arte e l’ammissibilità dell’azione di accertamento.

Ho così evidenziato che l’opera d’arte rientra nella più ampia nozione di “beni culturali”, come definiti dagli artt. 2 e 20 del codice dei beni culturali: si tratta di un concetto che comprende oltre alla res corporale anche una dimensione ulteriore che trascende, in sé, la consistenza materiale della cosa e che investe l’attitudine a realizzare interessi eterogenei e valori costitutivi di una comunità, di un luogo, di un’epoca. Mi sono soffermato, in seguito, sulla c.d. facoltà di autentica di un’opera d’arte ritenendo la l’expertise, spesso rilasciato da enti (associazioni e fondazioni) a tal uopo costituiti, è un documento contenente un parere autorevole di un esperto in merito all’autenticità e alla attribuzione di un’opera e tale documento può essere rilasciato da chiunque ritenuto competente sul mercato. Non trattandosi di un diritto riservato in esclusiva agli eredi dell’artista, i quali non possono, quindi, attribuire o negare a terzi, ad esempio critici d’arte o studiosi, la facoltà di rilasciare expertise in merito all’autenticità dell’opera del loro congiunto. La formulazione dei giudizi sulla autenticità di un’opera d’arte di un artista defunto costituisce espressione del diritto alla libera manifestazione del pensiero e, pertanto, può essere effettuata da qualunque soggetto accreditato esperto dal mercato. Molti dei temi detti sono stati oggetto di un mio recente volume dal titolo Arte e diritto fra autenticazione e accertamento.

 

  • A proposito di questo volume, fra l‘altro vincitore del Premio “eccellenza scientifica” 2020 della S.I.S.Di.C. Società Italiana degli Studiosi del Diritto Civile, lei espone un’indagine in merito alla rilevanza della dichiarazione di autenticità fra contratto e torto, dove ricerca un «giusto rimedio civile». Potrebbe parlarci di questa sottile interdipendenza e di come pensa che possa essere trovata un’opportuna forma di accertamento giurisdizionale dell’autenticità delle opere d’arte?

Il Prof. Giampaolo Frezza – Il volume, che ha avuto anche un inaspettato rilievo internazionale (ha vinto, oltre a quello della Sisdic, anche il Premio di eccellenza scientifica dell’Instituto de Derecho Iberoamericano), si è occupato principalmente di analizzare l’ammissibilità dell’azione di accertamento dell’autenticità dell’opera d’arte. Contro la giurisprudenza italiana che la nega, la mia teoria, fondata sui principi di ragionevolezza e di adeguatezza, cerca di considerare tre argomentazione a favore dell’apertura del sistema: l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’azione di accertamento; l’opera d’arte intesa come bene in senso giuridico comprendente anche l’utilitas; la nozione funzionale della proprietà dell’opera possono rappresentare dei punti di riferimento per l’ammissibilità di tale azione, ovviamente attraverso l’ausilio di una CTU.

 

  • Prof.ssa Ferrari, Lei ha invece sviluppato un’analisi in merito a “La prova dell’arte”. Potrebbe parlarci del Suo intervento? In particolare, quali sfide stanno portando le connessioni e gli sviluppi tra l’arte e le nuove tecnologie, in ambito giuridico? Quali sono i principali rischi e criticismi?

La Prof.ssa Francesca Ferrari – L’obiettivo che mi proponevo era quello di individuare cosa possa definirsi arte nel processo civile e come la stessa possa essere tutelata. E infatti innegabile che il giurista ha il compito di individuare un sistema di garanzie e di tutele tanto per l’opera d’arte quanto per il soddisfacimento degli interessi dell’artista, anche considerando l’obiettiva situazione in forza della quale si può dire che l’artista appare, nell’ambito delle relazioni giuridiche economiche che lo coinvolgono, l’anello debole.

Ho dunque mosso dall’analisi della normativa in materia di diritto d’autore e, in particolare, dal criterio del “carattere creativo” per accertare se lo stesso possa adattarsi ai fini di una traslazione vera e propria della materia dalle opere d’arte materiali a quelle computazionali.

Ho altresì cercato di indagare in merito alla prospettiva dalla quale si deve considerare l’opera d’arte, giungendo a preferire l’impostazione secondo la quale è necessario “jump in the eye of the observer”. Infine ho ipotizzato, anche un po’ provocatoriamente, l’utilizzo nella fase del giudizio di fatto del processo civile, di un sistema di intelligenza artificiale creato da alcuni ricercatori dell’Università di Stanford che – secondo i suoi autori o inventori – descrive l’opera d’arte stessa individuando gli stati d’animo e i sentimenti che essa suscita.

In ultima analisi, da un lato, mi sono posta il problema della possibilità di applicare la tutela autorale alle opere create dalle nuove tecnologie e, dall’altro lato, ho ipotizzato l’utilizzo di sistemi di intelligenza artificiale per valutare le opere d’arte nel processo.

 

 

La Prof.ssa Francesca Ferrari – Il primo tema che si pone è dato dal fatto che l’accertamento richiesto, nel caso di specie non interessa la titolarità del diritto, ma un elemento di fatto neutrale dal punto di vista giuridico e che assume rilevanza per la determinazione del valore commerciale dell’opera.

Sono poi convinta che si ponga un tema di giudicato non certo perché il processo abbia come scopo la verità, bensì perché giudicato significa irretrattabilità.

E’, a mio parere, auspicabile un ampliamento delle maglie dell’azione di accertamento e ciò deve avvenire mediante un’opera ricostruttiva, nell’ambito del diritto sostanziale, di un vero e proprio diritto all’accertamento dell’autenticità o meglio, dovremmo dire, del diritto di proprietà in prospettiva funzionalista, cosa che si rinviene compiutamente nel volume del prof. Frezza. Bisogna poi chiedersi se ammettere l’accertamento dell’autenticità dell’opera determini altresì la necessità di individuare un effetto di siffatto accertamento nella sfera giuridica di chi la contesta, ma anche la giurisprudenza più recente – che ammette l’azione di accertamento dell’autenticità – non addiviene a questa conclusione. Il tema è allora se questo accertamento debba o meno necessariamente condurre anche ad un ordine di condanna all’inserimento coattivo dell’opera nell’archivio; sul punto certamente è necessaria un’ulteriore riflessione, tuttavia esistono, nel nostro ordinamento processuale, plurime situazioni nelle quali l’accertamento non costituisce presupposto di una condanna e non può dunque dirsi coercibile.

 

 

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