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Il valore economico dei dati e il nuovo ruolo del copyright. Intervista al prof. Marco Scialdone

Marco Scialdone è docente di Diritto e mercati dei contenuti e dei servizi online presso l’Università Europea di Roma.

Negli Stati Uniti è stata di recente presentata una proposta di legge che consentirebbe agli utenti dei social network di conoscere l’effettivo valore dei dati personali ceduti. Che ne pensa?

La tematica del valore economico del dato personale è sempre più al centro del dibattito giuridico e politico: come evidenziato nei risultati della recente indagine conoscitiva condotta da AGCM, AGCOM e Garante Privacy in materia di Big Data, la disponibilità in capo ai grandi operatori digitali, attivi su scala globale, di enormi volumi e varietà di dati e della capacità di analizzarli ed elaborarli “ha dato luogo a inedite forme di sfruttamento economico del dato e della sua valorizzazione ai fini della profilazione algoritmica legata a diversi scopi commerciali”.

Non è più dunque sostenibile, come pure si è affermato in passato, che non vi sia, ab origine, un valore economicamente valutabile dei dati personali. Sul punto, la più attenta dottrina economica (cfr. A. Nicita – M. Dal Mastro, Big data. Come stanno cambiando il nostro mondo, Il Mulino 2019) ha evidenziato che “oggi si potrebbe dire: ‘noi valiamo’, (anche) perché i nostri dati valgono”.

Del resto la stessa AGCOM, nell’interim report di giugno 2018 relativo all’indagine conoscitiva summenzionata, aveva mostrato come le app gratuite richiedessero la cessione di un numero significativamente maggiore di dati individuali rispetto a quelle a pagamento: segnale questo che la gratuità di molti servizi online non è tale, perché, in realtà, è pagata con i nostri dati ed è condizionata ad uno scambio.

Anche la Commissione Europea, nel caso N. COMP/M. 7217 – Facebook/WhatsApp, ha riconosciuto che i dati personali e le preferenze degli utenti hanno un valore economico concreto e sono oggetto di importanti scambi commerciali e che dunque i dati che gli utenti forniscono, seppure non siano beni tangibili, hanno natura di controprestazione non pecuniaria dal cui sfruttamento si ricavano importanti guadagni.

In tale mutato contesto, il consumatore-utente non va più visto come soggetto debole (come tradizionalmente è avvenuto nel diritto dei consumatori) ma come soggetto attivo dei nuovi mercati digitali nei quali conferisce i suoi dati.

Già nel 2017, le associazioni dei consumatori che fanno parte del gruppo “Euroconsumers” avevano sottoscritto la “My data is mine declaration” con l’obiettivo di stimolare un cambiamento di approccio sul mercato dei dati: da un mercato tipicamente business-to-business, ad un mercato che consideri i consumatori come portatori di un valore aggiunto e principali contribuenti alla sopravvivenza dell’ecosistema digitale.

La proposta statunitense ha, allora, il pregio di sottolineare il sinallagma tra offerta del servizio e conferimento del dato personale e rendere maggiormente consapevole l’utente circa le proprie scelte di consumo online.

Nel suo ultimo libro, La tutela giuridica degli User Generated Content, affronta estesamente il fenomeno dei contenuti generati dagli utenti. Com’è cambiata – o come dovrebbe cambiare – la normativa sul copyright nel nuovo contesto digitale? Ritiene che il diritto d’autore sia ancora uno “strumento” efficace?

Nel 1985, la Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, nel caso Harper & Row Publishers, Inc. v. National Enterprises definì il copyright come il motore della libertà di espressione poiché, assicurando la remunerazione degli autori, costituiva, secondo la Corte, il principale incentivo per la libera espressività degli individui.

Credo che quella definizione resti tutt’ora valida nonostante il mutato contesto tecnologico nel quale la digitalizzazione delle opere dell’ingegno, da un lato, e la diffusione di Internet come strumento di condivisione dei contenuti, dall’altro, hanno reso possibili nuove modalità di interazione con il prodotto culturale, abilitando, al contempo, nuovi comportamenti di consumo.

I c.d. User Generated Content sono l’espressione più evidente del passaggio da quella che il prof. Lawrence Lessig ha definito Read Only Culture, ossia una cultura di sola fruizione, ad una Read-Write Culture, in cui i contenuti fruiti diventano la base per nuove creazioni.

Affrontare il tema della tutela giuridica degli User Generated Content significa interrogarsi su quale sia il ruolo del diritto d’autore nell’era di Internet e come esso vada modulato per abilitare l’innovazione invece di soffocarla.

Nel mio libro ho citato il modello canadese nel cui copyright act dal 2012 è presente un’apposita eccezione dedicata giustappunto ai contenuti generati dagli utenti che in questo modo possono essere prodotti in modo perfettamente legale, purché manchi una finalità commerciale, vi sia la citazione della fonte e l’attribuzione dell’autore, sussista la liceità del lavoro originario o della copia utilizzata per produrre l’opera derivata (anche se non in termini di certezza assoluta, ma di ragionevole probabilità) e vi sia assenza di un sostanziale effetto negativo sullo sfruttamento del lavoro originale.

Di recente, la direttiva UE 790/2019, nell’apportare significative variazioni alla disciplina comunitaria in materia di diritto d’autore, ha adottato un approccio diverso: da un lato, infatti, ha identificato la categoria dei c.d. “prestatori di servizi di condivisione di contenuti online”, imponendo loro di compiere il massimo sforzo per ottenere l’autorizzazione da parte dei titolari dei diritti per la messa a disposizione del pubblico di opere ed altri materiali protetti dal diritto d’autore, dall’altro, ha stabilito che tale autorizzazione valga anche gli user generated content realizzati dagli utenti del servizio purché essi non agiscano su base commerciale o la loro attività non generi ricavi significativi.

Vedremo come gli Stati Membri declineranno tale disposizione negli ordinamenti nazionali ma è importante che, a livello comunitario, per la prima volta si sia riconosciuto il valore dei contenuti generati dagli utenti e l’importanza di un inquadramento giuridico peculiare.

I temi discussi nell’intervista trovano ampio spazio anche nel manuale “Diritto dell’informatica e della comunicazione“, giunto alla terza edizione, a cura di Alberto Gambino, Andrea Stazi e Davide Mula.

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