skip to Main Content

Riflessioni sulla quarta rivoluzione.Come l’infosfera sta trasformando il mondo

di Ludovica Paseri Il filosofo Luciano Floridi, professore ordinario di Filosofia ed Etica dell’informazione presso l’Università di Oxford, nel suo ultimo libro “La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo”[1], propone un’analisi della nostra società, la società dell’informazione[2], chiarendo fin dalle prime pagine l’intento di analizzare l’effetto delle ICT sulla comprensione della nostra epoca.

Indentificando la società dell’informazione come «una società neo-manifatturiera in cui energia e materiali grezzi sono stati soppiantati dai dati e dall’informazione in quanto nuovo oro digitale e autentica fonte del valore aggiunto»[3], ritiene necessario agire sulla creazione, sul design e sulla gestione delle informazioni[4], per poter giungere al duplice obbiettivo di ottenere un’adeguata comprensione della dimensione che stiamo vivendo, nonché di promuoverne uno sviluppo sostenibile[5].

Il primo aspetto, infatti, quello relativo all’indagine della nuova dimensione del nostro essere, si fa fondamentale se si considera il grande mutamento a cui è sottoposto ogni aspetto della nostra società: la rivoluzione informazionale viene identificata come quarta rivoluzione proprio perché, come le altre tre grandi rivoluzioni scientifiche della storia dell’umanità[6], anch’essa provoca un considerevole mutamento nella nostra comprensione sia dal punto di vista estroverso, vale a dire riferito al mondo, sia dal punto di vista introverso, cioè relativo all’essere umano.

A partire dal lavoro di Alan Turing, infatti, l’Autore propone un nuovo scenario che ci identifica, in quanto essere umani, come «organismi informazionali (inforg), reciprocamente connessi e parte di un ambiente informazionale (l’infosfera), che condividiamo con altri agenti informazionali, naturali e artificiali, che processano informazioni in modo logico e autonomo. […] tali agenti non posseggono la nostra stessa intelligenza, ma possono essere facilmente più in gamba di noi in un numero sempre più elevanti di compiti»[7].

Inquadrato l’ambito di indagine del libro, prima di analizzare la ricostruzione di questa nuova dimensione, è opportuno porre l’attenzione sui soggetti cui si rivolge Floridi e sul punto di vista che emerge dall’approccio analitico dell’Autore. Innanzitutto, l’intento di chiarificazione concettuale non tradisce le promesse annunciate nella prefazione: è un libro che non si limita ad essere rivolto a specialisti o informatici umanisti[8], ma ha la pretesa, largamente soddisfatta, di poter arrivare «a tutti coloro che hanno a cuore lo sviluppo delle tecnologie e del modo in cui queste condizioneranno la nostra vita e il futuro dell’umanità»[9].

Per quanto riguarda il punto di vista dell’analisi, vale a dire la tendenziale visione e attitudine dell’Autore, si deve constatare un cauto ottimismo nei confronti delle potenzialità della rivoluzione dell’informazione per l’essere umano. La cautela è collegata, però, alle capacità dell’uomo di trarre vantaggi dalla sua nuova dimensione e dal saper compiere le migliori scelte per il suo futuro: pur delineando scenari e opportunità positive, Floridi si riserva di rimandare alle scelte che compiranno le varie generazioni per operare una valutazione definitiva.

La nostra ricostruzione del percorso del libro muove dalla considerazione degli aspetti principali che si ritiene siano stati investiti da un profondo mutamento: il tempo, lo spazio e l’identità.

Sotto il profilo temporale, acquisendo il punto di vista di un immaginario storico del futuro, l’Autore identifica tre macro età in cui suddividere la storia dell’umanità, in relazione al ruolo giocato dalle ICT: la preistoria, caratterizzata dall’assenza di queste ultime; la storia, in cui esse sono presenti, nonché necessarie per processare informazioni, ma comunque secondarie rispetto a tecnologie usate al soddisfacimento dei bisogni primari; e, infine, l’iperstoria, l’età in cui dalle ICT dipendono benessere e sopravvivenza[10] della società stessa.

Floridi, sottolinea che nell’epoca iperstorica le ICT detengono e consentono l’esercizio di un enorme potere computazionale[11]: la nostra ipotesi di lettura è che sia proprio l’idea di potere computazionale la scrittura in filigrana del testo di Floridi e della quarta rivoluzione. L’idea della progressiva emergenza e affermazione di un potere computazionale sempre più vasto – che Floridi tematizza nei primi capitoli – innerva in realtà tutta la sua riflessione e sta a fondamento dell’intuizione per cui stiamo gradualmente adattando il mondo (l’ambiente, la società, le nostre vite, etc.) alla possibilità di esercizio di tale potere computazionale. E ciò è rilevante sia dal punto di vista di un’analisi quantitativa che qualitativa del fenomeno in oggetto.

In questo quadro, è importante osservare per Floridi che le ICT concorrono a produrre gigantesche quantità di dati, tanto da indurci a parlare di età dello zettabyte (1000 esabyte)[12]: l’Autore pone l’accento sull’importanza epistemologica di elaborare una metodologia di ricerca in relazione ai big data, considerando ormai pacificamente accettato il fatto che siano in continua crescita.

Risulta significativa l’interpretazione dell’età dello zettabyte come un periodo di transizione tra big data ciechi, vale a dire un accumulo di dati senza capacità di selezione fra ciò che sia necessario salvare e ciò che sia opportuno eliminare[13], e big data dotati di vista[14], riferendosi ad uno stato avanzato di apprendimento automatizzato che permetta di eliminare quell’enorme quantità di superfluo che ad oggi, ciecamente, viene salvata.

In generale, si sostiene che la rete si espande e i dati aumentano, ma parallelamente la capacità di immagazzinamento (spazio) e la velocità della connettività (tempo) non si muovono allo stesso ritmo. A questo proposito, significativa è l’attenzione opportunamente posta su un aspetto di cui probabilmente non si ha ancora completamente consapevolezza, in relazione alla quantità di memoria digitale: si rende necessario allontanarsi dall’ottica per la quale la capacità di immagazzinamento di dati delle ICT ci appare infinita, ricordando Jim Carrey che, nel film Bruce Almighty[15], trasforma tutte le preghiere degli esseri umani in email, considerando il computer l’unico elemento in grado di contenere un enorme ed infinito flusso di informazioni.

Dal punto di vista qualitativo, relativo alla reontologizzazione del mondo, Floridi introduce il concetto di infosfera[16]. Considerando che le ICT ci inducono ad assumere una visione informazionale del mondo, nella costruzione proposta dall’Autore, l’infosfera può essere definita come «l’intero ambiente informazionale costituito da tutti gli enti informazionali, le loro proprietà, interazioni, processi e reciproche relazioni»[17].

In un contesto del genere, caratterizzato dalla presenza di tecnologie di terzo ordine[18], che nel loro operare si rendono indipendenti dall’uomo, l’Autore indaga il ruolo dell’essere umano nell’infosfera: a differenza di quanto si potrebbe immaginare superficialmente, questo spazio non esclude l’uomo dal procedimento perché esso è parte dell’ambiente stesso, mediante un processo di internalizzazione. Un concetto decisivo, a questo proposito, è quello dell’esperienza onlife[19], emblematica dell’iperstoria, dove i soggetti si ritrovano ad essere immersi in un’infosfera sincronizzata, delocalizzata e correlata, in cui, contestualmente, si rende irrilevante distinguere tra online e offline[20].

Estremamente interessante, è, inoltre, quello che si pone come un ulteriore passo in avanti, in relazione al delinearsi di questo nuovo ambiente interconnesso dell’infosfera, vale a dire la virtualizzazione[21]. Il cambiamento, infatti, si sviluppa anche a livello culturale: se pensiamo al concetto di macchina in una visione storica sicuramente essa sarà identificata da elementi meccanici e fisici, mentre in un’epoca iperstorica il concetto si stacca dall’apparato prettamente materiale per identificarsi con il suo uso e la sua utilità, aprendo un nuovo stadio della comprensione.

Strettamente correlata alla creazione di questo spazio-infosfera, è la riflessione che Floridi propone sul tema dell’intelligenza. Nell’andare a rimarcare un’intrinseca differenza tra l’agente umano e quello artificiale (analizzandone rispettivamente capacità ed errori), l’Autore arriva a sostenere che l’intelligenza artificiale[22] non debba mirare alla simulazione del comportamento umano intelligente, quanto, piuttosto, ad emulare i risultati di questi ultimi[23].

La filosofia dell’intelligenza artificiale si fa interessante se considerata come ambito di indagine scientifica teso all’iscrizione di nuove pagine nel libro matematico della natura[24], piuttosto che limitarsi ad adattare il mondo all’intelligenza artificiale leggera e riproduttiva[25], pur essendo ciò che avviene da decenni, più o meno inconsapevolmente[26].

Uno degli elementi caratterizzanti questo spazio, identificato con il termine di infosfera, è che, al suo interno, agenti informazionali umani si trovano a vivere, agire e interagire sempre più con compagni artificiali e altre ICT frutto di intelligenza artificiale: analizzando la situazione in questi termini appare assolutamente necessario riconfigurare la comprensione del nostro spazio e di noi[27].

Nella ricostruzione che il filosofo Luciano Floridi ci propone in questo libro, della nuova dimensione identificata dalla rivoluzione informazionale, dopo aver analizzato il nuovo tempo, l’iperstoria, e il nuovo spazio, l’infosfera, affronta il tema del cambiamento dell’identità umana: l’esperienza onlife.

Il ragionamento, a questo proposito, parte da due opposte tendenze: da un lato si è sviluppata una cosiddetta cultura del proxy, che porta ad un processo di tipificazione degli individui, rendendoli più anonimi ed identificandoli come tipo, all’intero dello spazio infosfera; dall’altro lato, quasi a conseguenza di questa prima tendenza, si accresce la volontà di riappropriarsi della propria identità personale. L’impatto delle ICT sulla nostra concezione del sé è palese[28], portandoci a parlare di iperconsapevolezza del sé, immersa in quella che viene definita esperienza onlife.

La chiave di lettura che Floridi ci offre per comprendere effettivamente l’effetto delle ICT sulla nostra comprensione del sé è quella del concetto di natura informazionale: «Il sé è concepito come un sistema informazionale complesso, costituito da attività, ricordi e storie in cui si esprime la nostra coscienza di sé. In questa prospettiva, noi siamo le nostre informazioni»[29].

Nella trattazione sono dedicati due capitoli per l’analisi dell’impatto delle ICT su due temi rilevanti: la privacy e la politica. Per quanto riguarda il primo tema, ne emerge che le ICT lo hanno reso uno dei più dibattuti nella nostra società proprio per l’erosione che stanno compiendo della cosiddetta frizione informazionale, ma soprattutto perché hanno minato l’anonimato[30]. Emerge, anche qui, il cauto ottimismo di Floridi che ritiene che «le ICT digitali offrono già alcuni strumenti per controbilanciare i rischi e le sfide che rappresentano per la privacy e che quindi nessun pessimismo fatalista è in realtà giustificato»[31].

Nella trattazione di questo tema, ciò che risulta decisiva è l’interpretazione iperstorica del concetto di privacy che fa leva sulla natura informazionale degli agenti: se le persone sono le proprie informazioni, allora possiamo considerare «la violazione della privacy informazionale come una forma di aggressione rivolta alla propria identità personale»[32].

Proprio alla luce dei profondi cambiamenti introdotti dalle ICT nella comprensione del mondo e del sé e, più in particolare, nella strutturazione dei sistemi informativi multi-agente, è possibile parlare di un cruciale impatto della rivoluzione dell’informazione sulla politica.

Se lo stato è il tipico fenomeno caratterizzante la storia, questo non vale più per l’iperstoria: lo stato si è identificato per un lungo periodo come il principale, se non l’unico, agente informativo, che si trova, però, a dover entrare in competizione oggi con sistemi multi-agente, quali «forze sovranazionali o intergovernative coinvolte nella gestione dei problemi politici, sociali ed economici mondiali»[33]. Secondo l’Autore, la dimensione onlife travalica necessariamente i confini statuali.

Questa tensione, fra Stati e attori non statuali, ma portatori di interessi ben precisi e delineati, è ormai pacificamente accettata[34]: la sfida che gli stati tradizionali si trovano ad affrontare consiste nell’abbandonare le loro resistenze al cambiamento, per rivolgersi al modello dei sistemi multi-agente al fine di affrontare le nuove problematiche e i mutamenti concettuali che la quarta rivoluzione ci pone di fronte.

Siamo solo all’alba del fenomeno per cui il potere computazionale è destinato a modificare gli assetti politici e sociali tradizionali e consolidati, anche a partire dalla considerazione che la tecnologia sta progressivamente assumendo una dimensione ambientale, che muta il contesto stesso in cui tali assetti sono configurati. Ciò porta con sé e solleva anche cruciali questioni etiche.

Infatti, un argomento fondamentale, affrontato nel nono capitolo ma di fatto sotteso a tutta la trattazione per i motivi che abbiamo enunciato, è quello del ripensamento del concetto di ambiente e della sua tutela. Attraverso forme di meta-tecnologia, vale a dire di sistemi normativi e misure tecnologiche di sicurezza, si ritiene, infatti, che si possa gestire il rischio ambientale, riducendone i pericoli: di fatto, in quest’analisi, si affiderebbe alla tecnologia stessa il compito di porre rimedio a sé stessa. Inoltre, partendo dal presupposto del duplice ruolo che possono assumere le ICT nella battaglia ambientalista, cioè di nemico e di alleato, viene identificato il concetto di rischio calcolato: si scommette sui benefici che le ICT apporteranno in maniera significativa e rapida, ritenendoli (o sperando che siano) maggiori dei danni precedentemente creati[35].

Se Dio non gioca a dadi, invece Floridi consiglia agli uomini una mossa di scacchi, il cosiddetto gambetto: si accetta una perdita iniziale, con l’obbiettivo di ottenere un considerevole beneficio successivamente, che sia in grado di ripagare anche il danno iniziale, strategicamente accettato. È a questo proposito che l’Autore introduce il concetto di e-nvironmentalism (ambientalismo sintetico o digitale), in un’ottica di riconciliazione tra il naturale e l’artificiale, soprattutto tenendo conto che uno degli obbiettivi inizialmente identificati era, appunto, quello di determinare uno sviluppo sostenibile di questa nuova dimensione derivante dalla rivoluzione informazionale.

Non è chi non veda come sia alta la posta in gioco sottesa a tale problema, che investe in ultima analisi la dialettica stessa tra necessità e libertà, tra natura e cultura. 

Ciò che a questo punto si rende inevitabile ed essenziale, è indentificare un nuovo quadro etico: una rinnovata comprensione del mondo e di sé richiede, infatti, una nuova, riarticolata narrazione che tenga con del passaggio che stiamo vivendo dalla storia all’iperstoria.

Bisognerebbe, dunque, seguire il consiglio dell’Autore che ci invita a «scavare, filosoficamente, più in profondità»[36], dal momento che una riflessione superficiale e sterile non ci permetterebbe di trarre il positivo da questa nuova dimensione per l’uomo e ci costringerebbe ad allontanarci da una visione moderatamente ottimistica, come quella proposta nel libro.

Per riprendere la metafora utilizzata nell’“Onlife Manifesto[37], è opportuno che ci si impegni «costruendo la zattera mentre si nuota»[38]. Il testo di Floridi ci consegna una lezione di fondo, su cui conviene meditare: l’umanità senza futuro non è quella priva di avvenire né quella sottoposta a rigide regole meccanicistiche ma quella che non sa più interpretare, in modo critico, la propria storia.  

Note

[1] Luciano Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta trasformando il mondo, Milano, Raffaello Cortina Editore, 2017.

[2] Il concetto di società dell’informazione, a noi ormai così familiare, è ormai risalente, se lo si ricollega all’idea di post-industrialismo di Daniel Bell, sviluppata già ad inizio degli anni ‘80: «Secondo Bell, esattamente allo stesso modo in cui la società industriale succedette a quella agricola quando l’orientamento economico dominante si spostò dall’agricoltura verso l’industria, così la società post-industriale si sviluppa a mano a mano che le attività economiche tendono a spostarsi in maniera preponderante verso i servizi. Il crescente ruolo svolto dalla scienza nei processi produttivi, e l’introduzione di quella che oggi viene chiamata tecnologia dell’informazione testimonierebbero secondo Bell come il sistema sociale ed economico si fondi oggi su un nuovo “principio assiale”» in David Lyon, La società dell’informazione, Bologna, Il mulino, 1991, p. 21. Sulle varie teorie riconducibili al concetto di information society si veda Frank Webster, Theories of the information society, London, Routledge, II edizione, 2002, seppur l’A. rigetti la validità del concetto (pp. 262-273). Sul punto si veda anche: James Beniger, The control revolution: Technological and economic origins of the information society, Cambridge, Harvard university press, 2009.

[3] L. Floridi, op. cit., p. 252, in linea con il pensiero espresso dalle istituzioni europee: tra i molti riferimenti si ricordi, il discorso di Neelie Kroes, l’allora vice-presidente della Commissione Europea responsabile dell’agenda digitale, tenuto a Bruxelles il 12 dicembre del 2011, in occasione della conferenza stampa sull’Open Data Strategy, dal titolo “Data is the new gold”. Disponibile in <http://europa.eu/rapid/press-release_SPEECH-11-872_en.htm?locale=en>.

[4] Lo spostamento della centralità, dai beni materiali, all’immateriale è da più parti constatato. Si legga fra gli altri, in Manuel Castells, La société en resaux. L’ère de l’information, vol. 1, Parigi, Fayard, 1996, p. 55: «Ordinateurs, systèmes de communication, décodage et reprogrammation génétiques sont donc tous des amplificateurs et des extensions de l’esprit humain».

[5] Ibid.

[6] Si fa qui riferimento alle tre grandi rivoluzioni che, nel corso della storia, hanno reso necessaria una riconcettualizzazione dell’essere umano, vale a dire la rivoluzione Copernicana (1543), quella Darwiniana (1859) e quella che identifica la sua base negli studi sull’inconscio di Freud (1856-1939), che, se si vuole, oggi trova il suo riferimento scientifico nell’ambito delle neuroscienze. L. Floridi, op. cit., pp. 99 ss. Tale visione è ampiamente diffusa in dottrina; sul punto si veda, tra gli altri, Ugo Pagallo, Il diritto nell’età dell’informazione. Il riposizionamento tecnologico degli ordinamenti giuridici tra complessità sociale, lotta per il potere e tutela dei diritti, vol. 12, Torino, Giappichelli Editore, 2014, pp. 24-26.

[7] L. Floridi, op. cit., p. 106.

[8] Il riferimento va al concetto di Humanities Computing, o informatica umanistica, ambito di studi interdisciplinare fra discipline umanistiche e informatiche; l’origine è storicamente ricollegata al progetto del gesuita Roberto Brusa, del 1949, relativo all’analisi testuale, si veda: Susan Hockey, The history of humanities computing. A companion to digital humanities, Oxford, Blackwell Publishing, 2004, p. 506. Sul punto, si legga: Marco Lazzari, Informatica umanistica, Milano, McGraw-Hill, 2014.

[9] L. Floridi, op. cit., p. XI pref.

[10] Un legame di dipendenza nei confronti di queste tecnologie è dimostrato dal fatto che, per esempio, per gli Stati membri appartenenti al G7 almeno il 70 % del PIL proviene da beni intangibili connessi con l’utilizzo delle informazioni, vedi: L. Floridi, op. cit., p. 4.

[11] Qui il riferimento va alla cd. Legge di Moore, da cui l’A. consegue che «un potere sempre più grande è disponibile a costi decrescenti per un numero sempre maggiore di persone, in una quantità e a una velocità sorprendenti», L. Floridi, op. cit., p. 7.

[12] Già in Luciano Floridi, La rivoluzione dell’informazione, Torino, Codice Edizioni, 2012, pp. 6-10.

[13] Sul punto si legga, John Seely Brown e Paul Duguid, La vita sociale dell’informazione. Miti e realtà nell’era di Internet, Milano, Etas Editore, 2001, p. 10, nella parte in cui: «Una volta aperto il rubinetto dell’informazione – ma l’effetto è stato piuttosto quello della rottura di una diga – il controllo del flusso è diventato un problema cruciale. Dove un tempo l’acqua era troppo bassa per nuotare, oggi è difficile stare a galla».

[14] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 23.

[15] Tom Shadyac, Bruce Almighty, Los Angeles, Universal pictures, 2003, pellicola.

[16] Sul punto si veda: Luciano Floridi e Terrell Ward Bynum, Infosfera: etica e filosofia nell’età dell’informazione, Torino, Giappichelli Editore, 2009.

[17] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 44.

[18] L’A. analizza approfonditamente la distinzione fra tecnologie di primo ordine (che vedono la tecnologia posta tra l’utente e il suggeritore, vale a dire l’elemento che rende necessario l’impiego della data tecnologia), di secondo ordine (in cui fra l’utente e la tecnologia, si pone, a sua volta, un’altra tecnologia) e quelle di terzo ordine (in cui il rapporto è solo fra tre gradi di tecnologie), L. Floridi, La quarta riv, op. cit., pp. 28 ss.

[19] Sul punto, si veda: Luciano Floridi, The Onlife Manifesto. Being human in a hyperconnected era, Dordrecht, Springer International Publishing, 2015. Si tratta di un’opera basata sull’esperienza che ha visto l’A. alla guida di un gruppo di tredici studiosi che si sono riproposti di riflettere su quale sia stato l’apporto delle ICT alla nostra società e sul cambiamento che hanno generato sulle dinamiche sociali, sulla collettività e sui singoli individui. Il lavoro del gruppo guidato da Floridi si inserisce fra le iniziative del più ampio progetto dell’Unione Europea Horizon 2020.

[20] Sicuramente, il tema è in stretta connessione con l’analisi generazionale degli agenti informatici o, più in generale, degli utenti. L’A. identifica tre generazioni: X (i nati tra gli anni ’60 e i primi ’80), Y (i nati tra i primi anni ’80 e i primi anni 2000) e Z (i nati nell’età dello zettabyte, dall’11 settembre 2001 ad oggi). Quest’ultima generazione è, di fatto, nata online, in un mondo via via sempre maggiormente interconnesso. In L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 48. Sul punto si legga anche, Mark Graham e William H. Dutton, Society and The Internet. How networks of information and communication are changing our lives, Oxford, Oxford University Press, 2014, pp. 46 ss.

[21] Sul concetto di virtualizzazione si legga Giovanni Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione, Torino, Giappichelli editore, 2012, p. 61, nella parte in cui: «La possibilità di realizzare architetture virtuali ha determinato, negli ultimissimi anni, una rinnovata tendenza verso la centralizzazione. Mentre gli anni ’90 avevano visto lo ‘snellimento’ (downsizing) delle apparecchiature hardware, cioè la sostituzione dei macro-calcolatori con minicalcolatori – capaci di svolgere, a costi assai minori, le funzioni già affidate ai macro-calcolatori – i primi anni del 2000 sono stati caratterizzati dal ritorno dei macro-calcolatori nei centri di calcolo più avanzati. I nuovi macro-calcolatori sono macchine di enorme potenza, in grado di sostituire decine di server di piccola e media taglia, emulando il funzionamento di ciascuno di essi. I server di piccola e media taglia vengono ‘virtualizzati’: essi non esistono più come entità reali distinte (macchinari elettronici e meccanici), hanno invece un’esistenza meramente virtuale, che risulta dai processi computazionali eseguiti dal macro-calcolatore».

[22] Con il concetto di intelligenza artificiale intendiamo «scienza intesa a sviluppare modelli computazionali del comportamento intelligente, e quindi a far sì che gli elaboratori possano eseguire compiti che richiederebbero intelligenza da parte dell’uomo» in Giovanni Sartor, Intelligenza artificiale e diritto: un’introduzione, Milano, Giuffrè, 1996, p. 6.

[23] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 159.

[24] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 163.

[25] L’A., con l’espressione intelligenza artificiale leggera e riproduttiva si riferisce a quel settore dell’ingegneria teso alla riproduzione del comportamento intelligente, da opporsi ad una scienza cognitiva; in altri contesti è quella che viene definita intelligenza artificiale debole, facendo riferimento agli obbiettivi posti: «L’intelligenza artificiale debole […] individua un programma di ricerca che vuole creare computer in grado di eseguire compiti e prestazioni assimilabili a quelli determinati dell’esercizio dell’intelligenza umana, ma senza per questo assumere la possibilità di dotare l’elaboratore di un’intelligenza equivalente a quella umana. In questa prospettiva il computer simula ma non comprende gli stati cognitivi della mente, vale a dire le rappresentazioni della realtà in base alle quali l’essere umano decodifica le informazioni che provengono dall’ambiente ed interagisce con esso» in Massimo Durante e Ugo Pagallo (a cura di), Manuale di informatica giuridica e diritto delle nuove tecnologie, Torino, Utet, 2014, p. 94.

[26] Il riferimento va, qui, al capitolo 7 del libro, intitolato “Agire. Avvolgere il mondo”, in cui viene descritto come l’uomo faciliti e abbia facilitato le condizioni ambientali allo sviluppo di un’intelligenza artificiale leggera. L. Floridi, La quarta riv, op. cit., cap. 7, pp. 165 ss.

[27] Sul punto si legga Victor Margolin, La politica dell’artificiale, con un poscritto, in Massimo Negrotti (a cura di) Uomini e macchine: Scenari tecnologici e culturali, Roma, Armando Editore, 2017, p. 48: «Oggi la situazione è cambiata ed ogni riferimento alla “realtà” deve specificare alcune condizioni così come l’impiego del termine “significato”; per cui alcuni studiosi non sono più sicuri che si possano, o come eventualmente si possano, tracciare confini attorno al reale o all’autentico come basi del significato».

[28] «Il sé sociale è il principale canale attraverso cui le ICT, e in particolar modo i social media interattivi, esercitano il loro profondo impatto sulle nostre identità personali» in L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 69.

[29] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 78.

[30] La privacy basata sull’anonimato è intesa come «una forma di indisponibilità delle informazioni personali, dovuta alla difficoltà di raccogliere e mettere in relazione differenti pezzi d’informazione su qualcuno» in L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 120.

[31] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 131.

[32] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 135.

[33] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 199.

[34] Sul punto, tra gli altri: Milton L. Mueller, Networks and States. The global politics of Internet governance, Cambridge, The MIT press, 2010, p. 54, si legga «[…] a clash between two models of global governance: one based on agreements among sovereign, territorial states; the other based on private contracting among transnational nonstate actors, but relying in some respects on the global hegemony of a single state».

[35] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. 246.

[36] L. Floridi, La quarta riv, op. cit., p. XII, pref.

[37] Vedi nota 19.

[38] «The utopia of omniscience and omnipotence often entails an instrumental attitude towards the other, and a compulsion to transgress boundaries and limits. These two attitudes are serious hurdles for thinking and experiencing public spheres in the form of plurality, where others cannot be reduced to instruments, and where self-restraint and respect are required. Policies must build upon a critical investigation of how human affairs and political structures are deeply mediated by technologies. Endorsing responsibility in a hyperconnected reality requires acknowledging how our actions, perceptions, intentions, morality, even corporality are interwoven with technologies in general, and ICTs in particular. The development of a critical relation to technologies should not aim at finding a transcendental place outside these mediations, but rather at an immanent understanding of how technologies shape us as humans, while we humans critically shape technologies. We have found it useful to think of re-evaluating these received notions and developing new forms of practices and interactions in situ in the following phrase: “building the raft while swimming”.» in European Commission, The Onlife Manifesto. Being human in a hyperconnected era, 2015. Disponibile in <https://ec.europa.eu/digital-single-market/sites/digital-agenda/files/Manifesto.pdf>.

Back To Top