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Birra Duff lecita solo in tv: migliaia di bottiglie sequestrate ad una società italiana

di Alessio Baldi Non importa essere appassionati di birra per conoscere la mitica – o per dirlo in altri termini, “notoria” – birra “Duff”. La sola menzione riporta il pensiero dei più alla sit-com animata statunitense forse più conosciuta di tutti i tempi: I Simpson. Un richiamo alla birra Duff è presente in quasi ogni puntata. Alcuni episodi sono interamente dedicati ad essa e la caratterizzazione di molti personaggi ruota attorno a questo segno: dal protagonista principale, Homer Simpson, fino al a Duffman – l’uomo Duff, personaggio secondario, vero e proprio testimonial nel cartone animato della medesima bevanda. Dalla finzione alla realtà il passo è stato però brevissimo per coloro che hanno ben pensato di depositare il marchio Duff per le più svariate classi merceologiche (la maggior parte si sono interessati a farlo per abbigliamento e bevande). L’esempio italiano è uno tra i più significativi. Si pensi che le registrazioni risalgono addirittura all’anno 2000, ed alcune proprio per la classe 32 (dunque per birra e altri preparati o bevande). A livello Comunitario, in alcuni casi si è addirittura visto aziende produttrici di birra distinguersi con denominazioni sociali volte a richiamare il marchio. Che ciò sia stato fatto per sfruttarne la notorietà o meno, in questa sede può essere solo ipotizzato. Ciò che risulta certo è invece che in tempi relativamente recenti – gennaio del 2010 – tedesca Duff Beer UG si sia opposta alla registrazione del medesimo marchio “Duff” da parte della Duff beverage GmbH, contestandone il rischio di confusione. A fronte di questo panorama si pone poi un ulteriore e principale soggetto, perfettamente in stile con quanto si dice “tra i due litiganti il terzo gode”. Volontariamente o meno, infatti, le aziende teutoniche appena richiamate, prima di procedere alle loro richieste di registrazioni, non hanno fatto i conti con la 20th Century Fox, legittima titolare della privativa in questione, a livello comunitario quantomeno dal 1999. In particolare e alla luce di questa anteriorità, la Duff beer UG, il 12 dicembre 2011, si è vista rifiutare la domanda di registrazione del marchio da parte dell’UAMI (Ufficio per l’Armonizzazione nel Mercato Interno – procedimento R 0456/2011-4). A ciò la società tedesca ha reagito senza darsi per vinta, contestando l’assenza di un reale commercio, quantomeno sul territorio europeo, di una birra riproducente il segno distintivo “Duff”, salvo quello condotto dalla medesima. Almeno parzialmente a favore di detta linea “difensiva”, per quel che giuridicamente può significare,  lo stesso creatore dei Simpson, Matt Groening, ha in passato affermato di ritenersi contrario alla produzione di una bevanda alcoolica denominata Duff, proprio per non incoraggiare i ragazzi, più in generale i giovani – essendo il principale pubblico di riferimento della sit-com animata – a bere. Sulla base di queste deduzioni e dunque del fatto che non avrebbe alcun senso logico-giuridico la registrazione di un marchio – sotto la classe 32 – relativamente ad una birra di pura fantasia, la Duff beer UG ha fatto ricorso al Tribunale Europeo per chiedere l’annullamento del richiamato provvedimento sfavorevole del 12 dicembre 2011 dell’UAMI (cfr. Causa T-87/12). Ricorso che non ha comunque sortito gli effetti sperati, piuttosto ha consolidato la posizione di forza sul marchio “Duff”, della 20th Century Fox. Dimostrazione di ciò si è avuta molto recentemente. E questi ultimi fatti hanno riguardato proprio attività imprenditoriali del nostro “bel paese”. È di pochi giorni fa, infatti, la notizia che anche l’Autorità giudiziaria italiana ha seguito l’argomento “Duff”. Sotto un piano diverso però, quello penale e non sotto il profilo civilistico/amministrativo sopra rammentato. Il PM Raffaele Guariniello è stato informato dal Nucleo della Polizia Tributaria di Verona, della notizia che venivano commercializzate in Italia birre riproducenti un marchio molto simile al più noto “Duff”. È stato così disposto il sequestro di migliaia di lattine e bottiglie di birra importate (dalla Germania pare!) da parte di una società italiana. La società nostrana è perciò attualmente indagata per la “vendita di prodotti industriali con segni mendaci”. Più esattamente, per aver posto in circolazione bevande con nomi, marchi o altri segni distintivi capaci di indurre in inganno il compratore sull’origine, provenienza o qualità del prodotto;  reato di cui all’art. 517 c.p.. Da ciò è lecito dedurre che il PM non ha dunque ravvisato gli estremi per l’applicazione della fattispecie – trattandosi di mera importazione, quantomeno – di cui all’articolo 474 c.p., diretta a punire “chiunque introduce [o detiene per la vendita, pone in vendita o mette altrimenti in circolazione] nel territorio dello Stato, al fine di trarne profitto, prodotti industriali con marchi o altri segni distintivi, nazionali o esteri, contraffatti o alterati”. Ciò, soprattutto alla luce di quanto espresso proprio dallo stesso articolo 517 c.p. e cioè che un soggetto è punibile per aver commesso detto reato solo “se il fatto non è preveduto come reato da altra disposizione di legge”. 13 novembre 2013

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