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Fecondazione eterologa e limiti giuridici delle direttive interregionali “paranormative”, intervista al Prof. Alberto Gambino

Da un’intervista rilasciata dal Professor Alberto Gambino, ordinario di Diritto Privato presso l’Università Europea di Roma, al quotidiano online IlSussidiario.net il 6 settembre: Professor Gambino, “le Regioni semplicemente applicano una sentenza della Corte costituzionale che cancella il divieto di ricorso all’eterologa per la fecondazione assistita”. Lo ha detto Nichi Vendola. Intanto occorre sottolineare che le sentenze della Corte costituzionale non sono testi “da applicare”, ma decisioni che eliminano dalle leggi le parti ritenute incostituzionali. E’ le legge, senza più la parte censurata, che dunque deve essere applicata. Le Regioni, perciò, devono applicare la legge 40 sulla fecondazione artificiale, come modificata dalla Corte; ma l’attuale legge 40 nulla dice in ordine al tema della fecondazione cosiddetta eterologa, cioè con un donatore esterno alla coppia. Infatti la Consulta si è limitata ad espungere il divieto, mentre non ha potuto dettare una disciplina specifica, che è invece compito del legislatore. Probabilmente il governatore Nichi Vendola intendeva dire che le Regioni possono “organizzare” le prestazioni sanitarie relative all’eterologa avendo la Corte eliminato il divieto, ma il punto è proprio questo: in che modo? E assegnando quali garanzie ai donatori? E quali diritti alla coppia ricevente e soprattutto a chi nasce? Sono questi i contenuti cruciali su cui né la Corte costituzionale, né l’attuale legge 40 danno risposte. Ma scusi, allora di che natura è l’accordo cercato e ottenuto dalle Regioni? E’ un espediente per limitare i danni che conseguiranno al sicuro contenzioso che si ingenererà in assenza di regole nazionali sull’eterologa. Bisognerà però vedere se i giudici si accontenteranno di accordi tra Regioni, che non hanno alcun valore normativo. Ritengo che, in assenza di un intervento legislativo del Parlamento, rimarrà l’incertezza che i contenuti di questi accordi tra le Regioni siano effettivamente rispettati dai magistrati che saranno chiamati ad affrontare la casistica, i quali sono tenuti al rispetto e all’applicazione della legge e non certo di direttive interregionali. “Il ministro della Sanità adesso recepisca il testo delle Regioni con un regolamento, possibilità prevista dalla stessa legge 40. Non c’è obbligo del Parlamento a intervenire ma opportunità sì per una discussione pienamente democratica ed eventuali aperture anche ai single e non solo alle coppie”. Lo ha detto Donata Lenzi del Pd. È una posizione che rivela tutte le difficoltà del caso. Il Parlamento non è obbligato ad intervenire, ma se non lo fa, nella materia vigerà il caos, potendoci essere decisioni giurisprudenziali differenti sui temi delicatissimi dell’anonimato dei donatori, dei contenuti da inserire nelle dichiarazioni del cosiddetto “consenso informato”, dei diritti di chi nasce, delle prerogative dei donatori e delle coppie che accedono a queste tecniche. Solo in parte questi temi possono essere ovviati dalle linee guida ministeriali, poiché ci sono in ballo anche diritti soggettivi che possono essere disciplinati esclusivamente da una legge parlamentare. Quanto al tema dell’apertura ai single è un modo per rilanciare un dibattito che esula però da quanto strettamente necessario per dare attuazione alla fecondazione eterologa con il rischio di provocare un ulteriore rallentamento dei lavori parlamentari anziché un’accelerazione come da più parti richiesto. Allora, in poche parole, l’accordo voluto ed elaborato dalle Regioni è solo un “pour parler”? Cosa si dovrebbe fare per lei adesso? Si può “tornare indietro”? Ripeto, è uno strumento che, in attesa di una completa disciplina nazionale sull’eterologa, offre alcuni criteri e direttive che la magistratura però non sarà tenuta a rispettare. Questo è il punto cruciale, sul quale si è fatta molta confusione facendo intendere che questo documento possa surrogarsi all’assenza di una legge. Così non è. Occorre invece incardinare il tema in Parlamento e, per scongiurare tempi lunghi e discussioni infinite, il Governo Renzi può farsi parte attiva per definire il perimetro di quanto strettamente necessario per offrire un quadro certo e sicuro sulle tecniche di fecondazione eterologa. In questo va dato atto che il Ministro della Salute è particolarmente fattivo. Sembra allora che la decisione delle Regioni sia eminentemente politica. Come la spiega? E’ dettata dalla pressione dei centri privati che fanno intendere che loro stanno per partire anche senza una legge dello Stato e, in qualche modo, le Regioni cercano di porre alcuni paletti per dare maggiore certezza ai diritti dei soggetti coinvolti nell’eterologa. Ma certamente i tecnici degli uffici legislativi di ciascuna Regione – generalmente assai preparati – conoscono perfettamente i limiti di questa operazione. Cosa ne pensa nel merito, di quelle linee guida? − e, in particolare, del requisito riguardante le caratteristiche fenotipiche? Essendo, come detto, un documento privo di valenza normativa, non mi vorrei pronunciare nel merito. Sottolineo però che ci sono alcune criticità che saranno certamente disattese dalla magistratura ordinaria che si imbatterà nelle vicende dell’eterologa, come ad esempio l’anonimato dei donatori, che non può essere assoluto, come ormai è acclarato in tutta la giurisprudenza e legislazione europea; o come il tema legato ai test sulle patologie dei donatori. In sede civile è praticamente certo che ci saranno, in assenza di una legge, infiniti casi di richieste di risarcimento danni. Quanto alle caratteristiche fenotipiche, come il colore della pelle dei donatori, è l’esempio eclatante che non è materia da Regioni perché coinvolge scelte delicatissime che riguardano ethos, democrazia e diritti inviolabili. Mi lasci dire inoltre che su questo tema proprio alcuni tra i giuristi più “progressisti” fanno cortocircuito, sostenendo che, per motivi di presenza pubblica, le coppie e i relativi donatori dovrebbero avere lo stesso colore della pelle. 8 settembre 2014  

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