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Popcorn Time: tutto come prima?

Popcorn-time

di Maria Letizia Bixio

La recente disposizione del provvedimento di inibizione di accesso ai portali dell’illegale applicazione Popcorn Time,da parte della Procura della Repubblica di Genova, giunge come un colpo di scure sugli schermi del pubblico di affezionati al noto programma anti-Netflix.

popcorn-timeA volerla dire tutta, però, il colpo tuona sulla carta ma si disperde nel web, dove l’internauta mediamente avvezzo alla fruizione di contenuti in streaming non ha ragione di curarsi del blocco di Popcorn Time nelle tre estensioni .com, .io e .se sussistendo più vie per aggirare i blocchi.

In primo luogo, per quanti avessero scaricato in precedenza l’applicazione, nessun disagio nel continuare a fruire liberamente dei contenuti illecitamente condivisi su altri portali; inoltre, ancora funzionanti risultano altri fork quali Popcorninyourbrowser e PopocornCab non colpiti dall’inibitoria.

L’immortalità del servizio Popcorn è dovuta al suo essere un programma open source, a codice aperto, ciò comporta, anche a seguito dell’oscuramento di un sito, che in poco tempo possano essere messe a punto nuove versioni del programma (cosiddetti fork). Facendo un passo indietro, qualcuno ricorderà che lo stesso popcorntime.se, sito oggetto del recente sequestro, era stato creato con grafica e funzioni analoghe dopo la messa offline di time4popcorn.eu voluta dagli stessi sviluppatori a seguito delle forti pressioni ricevute dalla Motion Pictures Association of America.

A prescindere dai vari siti web, dunque, il programma Popcorn Time in quanto tale, è un programma stand-alone grado di consentire un’illecita gratuita visione in streaming di una vasta e aggiornata library di film e serie tv; la definizione permette di comprendere i due punti, rispettivamente di forza e debolezza, del software: da un lato, il programma ha vita autonoma, consente potenzialmente di fruire di contenuti legali e non, una volta scaricato è pressoché totalmente immune ai blocchi, dall’altro, il suo funzionamento, essendo svincolato da un sito in particolare, rende l’utente l’unico responsabile, e consapevole, della violazione. La visione di un film con Popcorn Time, comporta, inoltre, la contestuale rimessa a disposizione degli altri utenti del contenuto, pertanto, rappresenta un atto di distribuzione attiva di contenuto illecito.

Guardando al meccanismo del servizio, seppur in maniera non tecnica, si tratta di un client BitTorrent open source per lo streaming video, che consente lo streaming di copie di film e serie TV attraverso i torrent già disponibili in rete. In sostanza un’applicazione in grado di interconnettere gli utenti e di “ricostruire” una copia del contenuto video simultaneamente alla visione dello stesso; ciascun file condiviso dagli utenti infatti, e tutte le sue copie vengono frammentate e distribuite sulla rete, il programma Popcorn Time ha dunque in sé l’algoritmo per ricostruire il file che si desidera visionare ricomponendo i vari frammenti presenti sulla rete. Attraverso il sistema della condivisione non si verifica dunque il classico scaricamento da server pirata, ma si attinge in maniera eterogenea da più fonti dello stesso file condiviso da utenti diversi.

L’inibitoria italiana per cercare di impedire l’uso di Popcorn Time si inserisce in un filone di azioni giudiziarie portate avanti da più Paesi; la prima, nell’aprile di due anni fa, aveva visto l’Alta Corte di Londra imporre agli Internet Service Providers britannici di rendere irraggiungibili i siti che consentivano lo scaricamento del software. Le leggi federali tedesche sulla distribuzione illecita di contenuti protetti dal diritto d’autore avevano invece consentito, nel 2014, l’assunzione di provvedimenti diretti nei confronti degli utilizzatori identificati di Popcorn Time, finalizzati al risarcimento danni per la violazione delle leggi sul copyright.

Come in Germania, anche negli USA denunce più recenti hanno colpito gli utenti, 11 sin d’ora, cifra che potrebbe aumentare con le pressioni dell’industria audiovisiva, e analogo l’approccio della Norvegia e della Danimarca. Repentino il cambio di avviso della Corte di Tel Aviv che, lo scorso maggio, aveva emesso un provvedimento di sequestro di alcuni siti che diffondevano il programma Popcorn Time, fortemente attaccato dalla locale principale associazione anti-pirateria ZIRA, mentre, lo scorso 1 luglio, ha rifiutato l’omologazione di un accordo intercorso tra i providers israeliani e le associazioni a tutela del copyright, obiettando il rischio di limitazione di diritti fondamentali quali la difesa e la libertà d’espressione.

Si sarà compreso come i provvedimenti inibitori, da ultimo quello richiesto alla Procura di Genova da titolari di diritti d’autore, siano piuttosto blandi, tendendo ad esser formulati in maniera incompleta, poiché limitati esclusivamente a colpire quei portali nazionali che consentono lo scaricamento del software, ma non i fork.

Non risolutivo, in generale, il sequestro a campione di singoli portali da parte delle Autorità, dinanzi a servizi che ruotano attorno a programmi open source il cui funzionamento prescinde dal singolo sito.

L’inefficacia del metodo, per altro, era stata già riscontrata all’epoca di The Pirate Bay, quando per superare il blocco dei provider se ottenere l’accesso ai siti da cui si scaricare programmi analoghi a Popcorn Time, bastò modificare le impostazioni dei browser, fingendo di essere collegati da un altro paese.

Tanto più dannoso, inoltre, l’aggiornamento della pubblicazione di alcuni provvedimenti giudiziari e amministrativi nei quali, essendo riportati i siti dai cui sono stati, o devono essere, rimossi i contenuti audiovisivi non autorizzati, si fornisce indirettamente all’utente l’indirizzo da seguire per trovare nuovi portali (fork) di illecita condivisione.

Nella mancanza, dunque, di strumenti efficaci per contenere il danno da pirateria digitale, un dato da tenere a mente nella considerazione tout court dei servizi di streaming, è l’ormai mutato orientamento delle abitudini dei consumatori rispetto alla fruizione dei contenuti, che impone un ripensamento sull’urgenza di potenziare i modelli di business che consentano lo sfruttamento legale dei contenuti digitali. Dallo studio Samsung Techonomic Index emerge come dal 2014 vi sia stata una crescita del 12% dell’utilizzo dei servizi in streaming, con la conseguente crescita esponenziale della spesa per poter fruire di tali servizi.

In questo scenario importante sarà favorire per l’utente mediamente informato, alla ricerca di servizi streaming, la comprensione della legalità o meno del servizio offerto; si pensi al fuorviante caso di omonimia che ha visto in questi giorni travolgere la piattaforma legale Popcorn TV, che, a differenza di Popcorn Time, distribuisce legalmente contenuti audiovisivi in streaming video on-demand. Infine, fondamentale sarà la ricerca di validi strumenti che consentano agli interessati il pieno esercizio della tutela loro spettante, riducendo il disequilibrio informativo tra autori e utilizzatori, garantendo la riduzione dei costi per i consumatori, e assicurando una maggiore efficienza al meccanismo di enforcement.

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