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Il Prof. Gambino su fecondazione eterologa: “Retrocessi gli interessi del nascituro”

“Con questa decisione, la Corte costituzionale decide di retrocedere gli interessi del nascituro alla bigenitorialità biologica e di assecondare i bisogni della coppia alla genitorialità sociale”. Così il Professor Alberto Gambino, Direttore Scientifico di Dimt, commentando la sentenza con la quale la Consulta ha deciso di far cadere il divieto di fecondazione assistita eterogola previsto nella legge 40 del 2004. “In questa sentenza – afferma Gambino –  ci trovavamo di fronte ad un conflitto tra l’interesse e il bisogno di genitorialità delle coppie e l’interesse di colui che nasce ad avere due figure genitoriali, un papà e una mamma. L’istanza di alcune coppie di ricorrere ad un gamete o ad un seme esterno è stata ritenuta dalla Corte come un bisogno prevalente rispetto a quello ad avere due genitorinaturali da parte di colui che nasce, perché è evidente che con l’introduzione di un terzo soggetto inevitabilmente si inserisce in questo nucleo una terza figura in senso biologico”. “La politica si era ampiamente pronunciata sulla questione nel referendum del 2005 che aveva confermato questa legge. L’equilibrio che si era trovato in quella norma andava al di là del desiderio di genitorialità legittimo, perché si era cercato di salvaguardare gli interessi del nascituro, mentre la decisone assunta mercoledì della Corte ribalta quella convinzione collettiva e interroga laicamente sui motivi e gli esiti di un simile cambiamento di rotta. Si aprono infatti potenziali spazi di confusione; questo nascituro un domani potrebbe legittimamente andare alla ricerca di colui che davvero lo ha generato, del padre o della madre biologica, e, laddove lo possa rinvenire, chiedere anche che si faccia carico di questa genitorialità. Questo la Corte Costituzionale non l’ha potuto scalfire”. Gambino affronta poi l’aspetto riguardante il coniuge che non ha compartecipato alla procreazione: “C’è un inevitabile conflitto in questo senso, si pensi peraltro al forte squilibrio emotivo tra due coniugi, una genitrice biologica, l’altro no. Bisognerà inoltre approfondire la sentenza per capire quale sia stata la decisione della Corte rispetto al divieto di disconoscimento di genitorialità previsto dall’articolo 9 della legge 40. Se fosse stato fatto cadere, ciò aprirebbealla possibilità che il coniuge che non ha compartecipato possa disconoscere il nascituro. Ma io non credo che sia così, probabilmente la Corte si è limitata ad espungere quegli incisi dove si fa riferimento alla procreazione eterologa, e quindi rimarrebbe questo divieto di disconoscere in campo al convivente che non ha partecipato alla procreazione ma che non si è opposto, come peraltro già cristallizzatosi anche nella giurisprudenza”. “C’è poi un secondo effetto che produrrà la sentenza – scrive il Prof. Gambino in un articolo su Avvenire – ed è quello che coinvolge il piano etico-sociale, rispetto al quale il Parlamento non potrà rimanere silente. L’ammissibilità della fecondazione eterologa comporta il rischio della mercificazione di gameti ed embrioni e l’effetto scontato di procedere, nella pratica, a una vera e propria selezione che rasenta l’eugenetica. La fecondazione eterologa è, infatti, preceduta da esami sul codice genetico dei possibili donatori e della donna ricevente: il risultato di tali esami diventa nella prassi elemento preliminare alla fecondazione e determinante nella scelta del donatore e/o della donatrice. Con l’ammissibilità di questo tipo di fecondazione si compie pertanto un passo pericolosissimo verso la selezione del genere umano, con scenari caratterizzati da probabili discriminazioni tra categorie di persone a patrimonio genetico ‘selezionato’ e, dunque, più efficienti, e persone fecondate naturalmente con possibili difetti genetici (appare scontato che le assicurazioni private valuteranno tale circostanza)”. “Certo, di questo siamo sicuri, la Corte ci dirà che l’accesso all’eterologa sana il vulnus alla salute della coppia, che altrimenti non potrebbe avere figli o sarebbe costretta a recarsi in Paesi che consentono tale tecnica. Eppure la legge 40 è assai chiara: con l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita non si cura una patologia (l’infertilità o la sterilità rimarranno tali), ma si supera un ostacolo per risolvere un problema procreativo. Apparirà in questo senso fuori luogo un richiamo all’articolo 32 della Carta costituzionale, che tutela la salute individuale e non il desiderio di genitorialità”. 11 aprile 2014

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