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“Il regolamento (EU) 536/2014“, report e materiali del seminario ospitato dall’Istituto Superiore di Sanità

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“Non dobbiamo pensare al prossimo futuro come se fosse tra 20 anni, perché la sfida della sostenibilità del nostro servizio sanitario coinvolge i prossimi due o tre anni”. Così Walter Ricciardi, Presidente della III Sezione del Consiglio Superiore di Sanità, aprendo i lavori del seminario “Il regolamento (EU) 536/2014“, che avuto luogo nel pomeriggio del 17 novembre presso l’Istituto Superiore di Sanità e ha rappresentato l’ultimo appuntamento del ciclo “Aspetti etici, regolatori e metodologici per la presentazione degli studi clinici ai Comitati Etici“ .

“Il rischio – ha proseguito Ricciardi – deriva dal concatenarsi di fattori come l’esplosione demografica e l’inversione di tendenza legato all’invecchiamento, fino ad arrivare alla tecnologia: nessuno degli analisti si aspettava che ci fosse questa evoluzione rapidissima di tecnologie diagnostiche, terapeutiche e riabilitative, che però hanno un costo. Occorre dunque affrontare queste sfide con un occhio all’evidenza scientifica e uno all’etica, in merito alla quale non mancheranno dilemmi”.

Con la moderazione dei Proff. Carlo Petrini, Vicepresidente del Comitato Etico e Responsabile Unità di Bioetica dell’ISS, e Lorenzo Amici, Componente del Comitato Etico “Lazio 2”, hanno così preso avvio le relazioni.

Il Prof. Silvio Garattini, Direttore dell’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, ha esordito affermando che “oggi la situazione è praticamente in mano all’industria farmaceutica. Ci sono tre parole connesse tra loro: evidenza, etica e legislazione”.

La Dott.ssa Patrizia Popoli, Componente del Comitato Etico dell’ISS e Direttore del Reparto di Farmacologia del Sistema Nervoso Centrale nel Dipartimento del Farmaco, ha approfondito i dettagli del regolamento europeo sulla sperimentazione clinica dei farmaci.

Il Prof. Alberto Gambino, Componente del Comitato Etico dell’Istituto Superiore di Sanità e Direttore del Dipartimento Scienze Umane nell’Università Europea di Roma, ha così ripercorso il regolamento per “cercare tra le righe di dare risposte ad alcune sollecitazioni che mi sembrano più di sistema che legate a singoli aspetti peculiari. Come ha sottolineato la Dott.ssa Popoli, si è utilizzato un regolamento e non una direttiva, e non è certo una differenza da poco. Il regolamento finisce per blindare le posizioni comuni degli Stati membri, non lascia discrezionalità al legislatore interno e proprio per questo può legiferare solo sui contenuti di legislazione propria. E l’Ue non ha la competenza su temi sensibili ed etici legati all’ethos di ogni Paese; quando si utilizza un regolamento dunque a un certo punto ci si ferma e si rinvia ai regolamenti interni. Ed è quello che è successo in questa materia: si sono dati dei principi comuni lasciando una clausola aperta nella disponibilità dei singoli Paesi su singoli aspetti sui quali dovranno decidere i legislatori nazionali, a seconda di cultura e prassi peculiari a ognuno di essi. Già si vede una grande distinzione tra il titolo Regolamento sulla sperimentazione clinica di medicinali per uso umano e il dettato normativo, nel quale si parla di soggetto e non più di umano o umanità, perché la soggettività giuridica varia a seconda dei vari ordinamenti”.

Foto-17-novembre-seminario-ISS-7-1024x737“Importanti sono poi i considerando, che come noto, non sono testo normativo, ma sono comunque elementi formidabili per interpretare la legge. Che viene detto nel primo considerando? Che in una sperimentazione clinica si dovrebbero tutelare i diritti, la sicurezza, la dignità e il benessere dei soggetti, nonché produrre dati affidabili e robusti. In forza di quelli che noi chiamiamo i diritti inviolabili, il secondo comma stabilisce poi la necessità di un’autorizzazione preventiva alla sperimentazione clinica. È stato detto che la sperimentazione clinica qui rappresenta una sotto-categoria dello studio clinico; non sono io a poter dire se questo sia veritiero, ma è comunque un punto di vista interessante, perché a questo punto lo studio clinico diventerebbe il genus sul quale poi le norme affrontano la distinzione”.

“Ancora, gli Stati membri interessati dovrebbero cooperare alla valutazione di una domanda di autorizzazione alla sperimentazione; il considerando 6 ci dice che questa cooperazione non dovrebbe riguardare gli aspetti di carattere intrinsecamente nazionali come il consenso informato. Altro concetto è quello che potremmo banalizzare con l’espressione silenzio assenso: essendo davanti a un tema sensibile come la salute, se la procedura fosse farraginosa verrebbero meno i principi del considerando primo, e si arriverebbe all’idea che se uno di questi partner degli Stati coinvolti nella procedura di sperimentazione non risponde si dà per acquisito il consenso alla procedura. Qui la riflessione è importante, perché siamo davanti a temi che riguardano la salute e infatti nel Regolamento è previsto sempre un appello che consente di derogare a questo silenzio assenso e si prevedono contrappesi”.

Foto-17-novembre-seminario-ISS-6“Passando a come si forma il consenso informato – ha proseguito il Prof. Gambino – il Regolamento al considerando 30 dice che prima dell’acquisizione del consenso informato il potenziale soggetto dovrebbe ricevere informazioni nel corso di un colloquio preliminare tenuto con un linguaggio di facile comprensione per lo stesso; è opportuno inoltre dare al soggetto la possibilità di formulare domande in qualunque momento e dovrebbe essere concesso un tempo adeguato per soppesare la sua decisione. È un tema delicatissimo, perché finché rimane nelle prassi è un conto, ma quando poi entra in un testo normativo diventa uno dei criteri sui quali poi decide un giudice”.

Arrivando all’articolo 26 del Regolamento, che riguarda il tema della comprensione e della lingua, il Prof. Gambino ha spiegato: “È un tema non certo secondario, la norma stessa dice che la lingua ufficiale è quella stabilita con tutte le conseguenze del caso. Ogni lingua di un Paese si riflette anche sugli istituti giuridici. Pensiamo ad esempio al fatto che il mondo della Common law non conosce il contratto come lo conosciamo noi, perché è tutto legato all’affidamento; basta questo a far riflettere su quanto cambi il significato della parola consenso tra il nostro ordinamento e gli altri, e su quanto importanti possano essere le ricadute dell’uso di una lingua piuttosto che di un’altra”.

Studi genetici e banche biologiche

29 dicembre 2015

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