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Net neutrality, Prof. Gambino: “Distinguere accesso all’infrastruttura da quello ai contenuti, specie se appartengono al patrimonio culturale italiano”

Notte Net Neutrality Prof. Gambino

Notte Net Neutrality Prof. Gambino “Si è parlato di due tipi di diritto all’accesso, quello ai servizi, e quindi all’infrastruttura, e quello ai contenuti. Ma bisogna fare molta attenzione a non sovrapporre i due piani, specie quando i contenuti sono quelli propri dell’inestimabile patrimonio culturale italiano conservato dalla amministrazioni pubbliche”. Così il Professor Alberto Gambino, Presidente dell’Accademia Italiana del Codice di Internet, intervenendo alla Notte della Net Neutrality, incontro che ha avuto luogo nella serata di mercoledì a Roma e ha visto la partecipazione di esponenti delle istituzioni, dell’associazionismo e dell’impresa per in una riflessione sulle più spinose tematiche che ruotano intorno alla neutralità della rete. “I due tipi di accesso sono diversi e al contempo collegati. A un primo livello abbiamo l’accesso all’infrastruttura, quello al quale è più strettamente legata la questione della neutralità della rete: l’accesso qui deve essere garantito, da un lato, senza discriminazioni, dall’altro, ad un certo livello di funzionalità, che è il tema nevralgico della qualità dell’accesso. Per fare un esempio, è come succedeva con la dotazione pro-capite d’acqua minima prevista dalla Legge Galli, non solo accesso alla rete idrica ma anche approvvigionamento della misura di acqua utile al fabbisogno proprio e familiare. Ma accanto a questa accezione di “accesso” si sta sviluppando un tema commerciale ben più significativo, che riguarda l’accesso ai contenuti della rete. In entrambi i casi, non va dimenticato, l’accesso è disciplinato da un contratto, ma se per l’accesso alla rete la tendenza è quella a favorirne diffusamente l’utilizzo, in quanto funzionale ad altre pratiche lucrative, e dunque i costi diminuiscono o addirittura sono premiali (zero rating), o comunque il corrispettivo, apparentemente assente, si compone dei nostri dati identificativi; per l’accesso ai contenuti, invece, le cose stanno diversamente, in quanto la tendenza è sempre più quella di passare dal gratuito all’oneroso. Ora però l’onerosità dell’accesso ai contenuti riguarda la decisione di operatori privati, mentre – e  qui entro nella peculiarità del caso Italia – per i contenuti informativi pubblici, cioè conservati dalle pubbliche amministrazioni, si fanno sempre più valere i principi normativi del Foia e dell’Open Access, che, ora, accanto al dato informativo comprendono anche la fruizione libera dei contenuti relativi a musei, archivi, biblioteche. Con un controindicazione, però: mentre le amministrazioni pubbliche devono offrire anche tali contenuti “culturali” secondo i principi del servizio pubblico, quando entra l’operatore privato che può certamente riutilizzare il dato, tecnologicamente trasformandolo, e realizzare quel lucro legittimo, trattandosi come detto di accesso ai contenuti e non alla rete (dove vige invece il principio della net neutrality), si verifica una schizofrenia: l’accesso all’infrastruttura e al dato della p.a. sono entrambi a costi “abbordabili”, mentre quando il dato, con forte contenuto artistico culturale, già conservato e magari in parte digitalizzato dalle amministrazioni, finisce in open access, il riutilizzatore, se commerciale, ne farà lucro; anzi proprio l’arricchimento del proprio “magazzino” potrebbe attivare la pratica dello zero rating abbattendo i costi dell’utente relativi alla connessione (cioè alla prima tipologia di accesso). Dunque l’esasperazione del principio della libera accessibilità, sia in termini di estensione ai contenuti culturali di pertinenza delle p.a., sia in termini di compensazione del mancato incasso per l’accesso all’infrastruttura attraverso il lucro da parte di privati di quei contenuti culturali pubblici, comporta, in definitiva, il sostanziale  depauperamento del nostro patrimonio culturale, che appunto è una peculiarità tutta italiana, certamente meno sentita da gran parte degli altri Paesi dell’Unione europea, talvolta fautori di questa radicalizzazione dell’open access. In termini propositivi una soluzione potrebbe essere piuttosto quella consentire il riutilizzo dei dati culturali pubblici solo a fini non lucrativi, oppure chiedere delle royalties da versare alle p.a. che nel tempo hanno conservato e tutelato il dato, esattamente come accade con le opere coperte da privative intellettuali”.

26 novembre 2015

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