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L’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato interviene nuovamente sul riparto di competenze in materia di pratiche commerciali scorrette: la competenza è dell’Agcm

di Rosaria Petti

L’Adunanza pleanaria del Consiglio di Stato è recentemente intervenuta, con due decisioni entrambe del 9 febbraio 2016 (sui ricorsi numero di registro generale 16 e n. 17 del 2015), in materia di pratiche commerciali scorrette, e in particolare, sul dibattuto tema del riparto di competenze tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e singole autorità settoriali.

Le questioni interpretative – su cui, successivamente, è intervenuto il Supremo Consesso – hanno avuto origine da due contenziosi amministrativi del Tar Lazio (sentenze del 18 febbraio 2013, n. 1742 e n. 1754) relativi alla attivazione, in assenza di un’idonea informativa agli acquirenti, di servizi accessori su SIM card, fra i quali, in particolare, la navigazione in internet e il servizio di segreteria telefonica, da parte da due società telefoniche, Wind e Vodafone. Al riguardo era intervenuta l’Agcm, la quale aveva sanzionato la condotta, ritenendola idonea a integrare una pratica commerciale scorretta, in quanto in grado di determinare un indebito condizionamento degli utenti, tale da limitare considerevolmente, e in alcuni casi addirittura escludere, la libertà di scelta di questi in ordine all’utilizzo e al pagamento dei servizi reimpostati. In particolare, l’Autorità aveva qualificato la pratica scorretta come aggressiva, in quanto attuata esigendo il pagamento immediato ovvero differito, o ancora la restituzione ovvero la custodia di prodotti che il professionista ha fornito, in assenza di una richiesta da parte del consumatore (art. 26, comma 1, lett. f), d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206, c.d. Codice del Consumo).

Ciascuna delle due società telefoniche aveva, poi, proposto ricorso avverso la sanzione amministrativa pecuniaria per pratica commerciale scorretta inflitta dall’Agcm, generando due differenti contenziosi innanzi al Tar Lazio, all’esito dei quali le sanzioni venivano annullate.

Successivamente, avverso tali decisioni, l’Agcm aveva proposto ricorso in appello innanzi al Consiglio di Stato, in un primo ricorso contro Wind e in un secondo contro Vodafone, entrambi nei confronti di Altroconsumo e con l’intervento ad opponendum di Telecom Italia. Ebbene, in quella sede, il Collegio adito ha rimesso all’Adunanza plenaria una serie di questioni circa la corretta interpretazione dell’art. 27, comma 1bis, del Codice del consumo (introdotto dall’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 21 febbraio 2014 n. 21) e le sue conseguenze applicative.

Secondo l’interpretazione letterale, il dato normativo individuerebbe un criterio generale di ripartizione preventiva tra la competenza dell’Agcm e delle singole autorità settoriali rispetto ai comportamenti astrattamente idonei a configurare una violazione della disciplina generale in materia di pratiche commerciali scorrette e della normativa di settore. Gli interventi delle Autorità – di settore e del Garante – sarebbero, quindi, alternativi, seppur con prevalenza in tema di accertamento di pratiche commerciali scorrette dell’Agcm, rispetto all’accertamento di violazioni settoriali da parte delle autorità di regolazione.

Nel caso in esame, il conflitto di competenza si verrebbe a delineare tra Agcm, in quanto la pratica commerciale scorretta sarebbe attratta nella propria area di competenza, e AgCom, cui spetterebbe sanzionare la violazione degli obblighi informativi che ha accompagnato la condotta descritta.

Sebbene il dato letterale del richiamato comma, non sembrerebbe prestare dubbi circa l’attribuzione di competenza all’Agcm, dall’altro, la diversa posizione espressa nel 2012 (sentenze 11 maggio 2012, n. 11, nonché le successive da 12 a 16) dalla stessa Adunanza plenaria potrebbe – secondo i giudici di appello – condurre a un contrasto giurisprudenziale difficilmente superabile. Tale circostanza ha, quindi, indotto la Sezione remittente del Consiglio di Stato a investire nuovamente l’Adunanza, sottoponendo a quest’ultima, con l’ordinanza del 18 settembre 2015, n. 4352, un quesito circa la corretta interpretazione del dettato normativo in considerazione anche delle precedenti posizioni assunte.

Negli ultimi anni, l’assetto dei rapporti tra Autorità garante della concorrenza e del mercato e le Autorità nazionali preposte alla regolamentazione settoriale in tema di tutela del consumatore nelle pratiche commerciali scorrette è stato al centro di un dibattito che pare esser stato solo parzialmente tacitato dall’intervento normativo. Al riguardo, la stessa Adunanza plenaria, nel ripercorrere brevemente l’articolato e impervio percorso legislativo e giurisprudenziale che ha investito la tematica del riparto di competenze in materia pratiche commerciali nei settori regolati, richiama e chiarisce la portata delle sue precedenti decisioni del 2012. In quella sede, in materia di pratiche commerciali scorrette, il Supremo Consesso aveva attribuito la competenza alle singole autorità di settore, avendo, tuttavia, cura di specificare la sussistenza di un residuo campo di intervento dell’Agcm, nei casi in cui la disciplina settoriale non fosse dotata di esaustività e completezza.

Ebbene, per escludere la residua competenza dell’Agcm in materia, occorre compiere un’opportuna analisi della disciplina di settore. Partendo da tale presupposto, l’Adunanza evidenzia che la violazione degli obblighi informativi, elemento di per sé non sufficiente a integrare la fattispecie di illecito concorrenziale, si affiancherebbe a una condotta ben più grave per entità e disvalore sociale, quale è la pratica commerciale aggressiva. Pertanto, posto che in materia di pratiche commerciali scorrette la competenza è inequivocabilmente affidata all’Agcm, mentre l’inosservanza di obblighi informativi imposti dal Codice delle comunicazioni elettroniche (decreto legislativo 1 agosto 2003, n. 259) è soggetta al potere sanzionatorio dell’AgCom, appare chiaramente desumibile la competenza nella fattispecie in esame a favore dell’Agcm.

In altri termini, la condotta determinerebbe un’ipotesi di specialità per progressione di condotte lesive, più che un conflitto astratto di norme in senso stretto. Tale conclusione, a giudizio dell’Adunanza, non può ritenersi in contrasto con il precedente orientamento espresso nel 2012. Invero, nel caso in esame, si rileva l’assenza dei caratteri di esaustività e completezza della disciplina di settore «che non comprende affatto un’ipotesi di illecito come quella considerata, ovvero una “pratica commerciale considerata in ogni caso aggressiva”». Tuttavia, in tale sede, pur evidenziando l’assenza di un contrasto giurisprudenziale con le precedenti pronunce, l’Adunanza ha inteso comunque operare un revirement parziale delle sue precedenti decisioni, anche in ragione delle censure mosse in sede europea.

Già nel 2012, l’intervento dell’Adunanza era stato ritenuto necessario a seguito del difficile recepimento in ambito nazionale della direttiva n. 2005/29/CE, con la quale erano stati imposti a carico degli Stati membri, obblighi generali di completezza e non ingannevolezza nello scambio informativo tra professionisti e consumatori, nonché obblighi di piena correttezza delle condotte poste in essere nei confronti di questi ultimi. Tuttavia, la soluzione configurata dalle richiamate pronunce dell’Adunanza plenaria non aveva pienamente convinto la Commissione, inducendola ad aprire nei confronti dell’Italia una procedura di infrazione (n. 2013-2169), con la quale, in particolare, veniva contestata l’interpretazione del principio di specialità che presupponeva una coesistenza tra disciplina generale in tema di pratiche commerciali scorrette e discipline settoriali. Nella disciplina nazionale, il contrasto tra legge speciale e norma generale si sarebbe verificato – secondo la Commissione – non solo nei casi di una vera e propria opposizione, ma anche in presenza di una sovrapposizione tra disciplina speciale e generale, al punto che non avrebbe avuto ragione l’applicazione, sia pure in funzione sussidiaria o come norma di chiusura, di quest’ultima disciplina.

Come rilevato dalle pronunce in oggetto, con l’obiettivo di superare la citata procedura d’infrazione, è stato introdotto nell’ordinamento nazionale, all’art. 27 del Codice del consumo, il citato comma 1bis.

La modifica normativa introdotta, che fornisce, prima facie, una risposta al dibattuto problema di riparto di competenze per le pratiche commerciali scorrette, viene sorretta dalla funzione nomofilattica svolta dall’Adunanza, che riconoscendo in favore dell’Agcm la competenza esclusiva in materia di pratiche commerciali scorrette, intende raggiungere l’effettiva tutela dei consumatori e la certezza del diritto, al fine di offrire agli operatori del mercato, ampiamente intesi, una disciplina chiara e una definizione rapida delle proprie istanze, per individuare quel «[…] giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese» (cfr. considerando n. 4, direttiva n. 2011/83/UE sui diritti dei consumatori).

18 febbraio 2016

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