La Prof.ssa Virginia Zambrano è PhD in Diritto Civile presso l'Università di Napoli, attualmente è docente…
“AI Literacy” e impatto sociale delle intelligenze artificiali. Intervista ad Alessandro Longo
In occasione dell’evento “L’intelligenza artificiale cambia la società: sviluppi, impatti, vantaggi e rischi”, verrà presentato il volume: INTELLIGENZA ARTIFICIALE L’impatto sulle nostre vite, diritti e libertà di Alessandro Longo, Guido Scorza; la redazione di DIMT ha intervistato Alessandro Longo, Direttore responsabile di Agendadigitale.eu, cybersecurity360.it e Digital360. Collaboratore regolare per Repubblica e il Sole24ore.
Potrebbe spiegarci in cosa consiste l’impatto sociale dell’intelligenza artificiale e il suo recente sviluppo “AI Literacy”?
In letteratura, AI Literacy, si sta consolidando l’idea che l’intelligenza artificiale sia la tecnologia che porta gli effetti della trasformazione digitale più a fondo nelle nostre vite e in modo più esteso nelle nostre società (A.Longo, G.Scorza, Intelligenza Artificiale, l’impatto sulle nostre vite, diritti, libertà, Mondadori Università, 2020) e AA.VV. (a cura di S.Quintarelli), Intelligenza artificiale. Cos’è davvero, come funziona, che effetti avrà, Bollati Borlingheri, 2020). Gli stessi autori ne derivano che cresca la necessità di una “AI Literacy” diffusa a livello di popolazione (studenti, aziende ma anche cittadini in chiave di educazione civica digitale), con competenze multi-disciplinari. Non solo tecnico-applicative, ma anche economico-umanistiche per studiare e gestire gli impatti della trasformazione (Frank Pasquale, New Laws of Robotics: Defending Human Expertise in the Age of AI Harvard University Press, 2020).
Di base, gli studiosi riconoscono che l’AI sia diventata una forza che esercita influenza in vari modi, favorendo l’innovazione in ambiti estesi del vivere, sia al tempo stesso ponendo nuove sfide per la tenuta delle nostre democrazie e delle nostre società. Qui si suggerisce una semplificazione: tripartire le influenze, da un punto di vista etico-regolatorio (A.Longo, G.Scorza, Intelligenza Artificiale, l’impatto sulle nostre vite, diritti, libertà, Mondadori Università, 2020).
Ci sono impatti positivi dell’AI se considerati a sé stanti; impatti che possono essere positivi o negativi a seconda di come sono gestiti e impatti che sembrano più marcatamente negativi. Ogni applicazione concreta dell’AI presenta sfide e opportunità. Teoricamente, nessun ambito (dalla sanità alla sorveglianza) è ascrivibile in toto alla cerchia dei rischi o delle promesse (del male o del bene, per dirla in termini etici). Tuttavia, su un piano pratico, ci possono essere applicazioni così rischiose o dove gli svantaggi superano nettamente i vantaggi che è possibile suggerirne una moratoria. Analogamente, c’è crescente preoccupazione dell’impatto ambientale della crescita indiscriminata dei modelli di AI, sempre più onerosi in termini energetici.
Di nuovo, tutti questi esiti dipenderanno dalla capacità di gestire il cambiamento da parte delle collettività, dei sistemi e degli individui. L’esito più auspicabile è raggiungibile solo puntando su una diffusa Ai Literacy. Il Governo finlandese ne è stato antesignano, con corsi alla popolazione, imitato in questo dal Governo italiano a fine 2020. Il fine è duplice: stimolare l’innovazione e la crescita economica con una proficua adozione dell’AI, in Paesi e aziende, e al tempo stesso dirigerla eticamente per gli interessi collettivi
In ambito sanitario quali sono i punti più rilevanti per lo sviluppo tecnologico?
Effettivamente gli aspetti positivi del ruolo dell’AI che emergono con più chiarezza in questo periodo sono proprio quelli sanitari. Per approfondire il funzionamento degli attuali modelli di AI, basati sull’analisi di grandi volumi di dati con correlazioni statistiche al fine di risolvere un problema, è utile porsi delle domande su quest’aspetto: il ruolo delle AI in ambito sanitario.
Di solito ci vogliono anni, se non decenni, per sviluppare un nuovo vaccino. Ma a marzo 2020, i candidati al vaccino per combattere il covid-19 erano già sottoposti a test umani, appena tre mesi dopo i primi casi segnalati. La velocità record di sviluppo del vaccino è stata grazie ai modelli di IA i quali hanno permesso ai ricercatori di analizzare grandi quantità di dati sul coronavirus in breve tempo.
Ci sono decine di migliaia di sottocomponenti alle proteine esterne di un virus. I modelli di machine learning permettono di classificare questa massa di dati e di prevedere – tramite calcoli statistici – quali sottocomponenti sono i più immunogenici – cioè in grado di produrre una risposta immunitaria, guidando così i ricercatori nella progettazione di vaccini mirati. L’AI automatizza una ricerca che, fatta a mano dai ricercatori, avrebbe preso molto più tempo. L’uso dell’IA nello sviluppo di vaccini può rivoluzionare il modo in cui tutti i vaccini verranno creati d’ora in poi. Similmente, l’AI si usa anche per calcolare quali molecole sono più efficaci per la lotta al virus.
È un buon esempio il caso del farmaco raloxifene, di cui a fine 2020 l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, ha dato il via libera allo studio clinico sull’uomo. La molecola, già registrata e utilizzata per il trattamento e la prevenzione dell’osteoporosi nelle donne dopo la menopausa, è stata selezionata tra 400.000 molecole (e in una seconda fase tra 10 mila che avevano superato la prima fase) da un sistema di intelligenza artificiale e supercalcolo messo a punto dal consorzio pubblico-privato Exscalate4CoV. L’AI è usata contro il covid-19 anche per facilitare le diagnosi, tramite il riconoscimento automatico della malattia sulle immagini radiografiche.
In Sanità, in generale, l’AI ha diverse applicazioni. Quelle diagnostiche riguardano non solo l’analisi di immagini strumentali di diverse malattie, ma anche di suoni (della tosse del paziente, ad esempio) e di fotografie o video (in dermatologia); ci sono già inoltre molti ospedali che usano le capacità diagnostiche di modelli di AI basati sull’analisi di diversi fattori, per determinare la più probabile causa del sintomo (anche la cartella clinica del paziente e delle diagnosi fatte nella storia medica; il sistema Watson di IBM è tra i pionieri di questa branca).
Analogamente, l’AI suggerisce anche la terapia più efficace in base all’analisi dei dati presenti e storici. Ci sono infine sempre più applicazioni nelle sale operatorie, di robot-chirurghi che assistono i chirurghi umani grazie a una maggiore precisione operativa di cui sono capaci. Alcuni studiosi hanno notato che l’uso dell’AI in Sanità può avere anche un ruolo sociale a tutela del diritto alla salute, poiché facilita diagnosi in luoghi privi di strutture mediche efficienti. È il caso delle recenti diagnosi tubercolosi via app in India. L’app si collega via internet a un sistema di AI che compie la diagnosi sulla base delle informazioni disponibili sul paziente.
A Suo avviso, quali sono i rischi e le opportunità socio-economiche delle IA?
Questa tipologia di criticità è stata evidenziata da vari autori (lo stesso Pasquale, Longo-Scorza ma in particolare e tra i primi Cathy O’Neil, in Weapons of Math) Destructions, 2016) specificatamente al progresso civile e socio-economico, che verrebbe frenato da una pedissequa applicazione degli algoritmi, i quali in questo caso, applicando al presente la fotografia del passato, peggiorerebbero le sperequazioni economiche e le discriminazioni etniche e di genere.
Ad esempio gli algoritmi predittivi possono penalizzare in ambito sanitario alcuni pazienti, magari di una minoranza etnica (afro-americani), poiché ne stimano meno conveniente la cura (com’è accaduto).Ci sono stati casi di algoritmi che hanno penalizzato le donne nella candidatura a un posto di lavoro o nell’ottenimento di uno stipendio equo, solo perché la fotografia del passato dimostrava che per quel lavoro gli uomini erano favoriti. L’algoritmo così perpetuava, eternandolo, il pregiudizio maschilista.
Ma abbiamo anche esempi, in termini macro-economici, nei quali l’AI può portare vantaggi all’economia (per 15 mila miliardi di dollari, stima PWC), rilanciando la produttività globale (ora stagnante), all’interno di un nuovo ciclo economico (la quarta rivoluzione industriale, appena iniziata). In ambito lavorativo, è la promessa di liberare l’umanità dai lavori usuranti, alienanti, pericolosi o ripetitivi consentendo ai lavoratori di concentrarsi su ciò che è più creativo e realizzante per ciascuno; in più aumentando il tempo libero per l’espressione individuale (artistica, hobbistica e relazionale; ma anche per studio, informazione e formazione). Se negli anni passati gli studiosi si sono concentrati sui rischi dell’automazione per il lavoro, ossia sugli aspetti distopici, di recente sono usciti anche opere che hanno evidenziato le promesse utopiche, come del professore dell’University of Iowa Benjaming Hunnicut. Anche Pasquale, come Hunnicut, nota l’esigenza di passare da un’economia monetaria a un’economia del tempo, per cogliere i vantaggi dell’automazione e pararne i rischi. Se l’automazione svolgerà gran parte della produzione, persino arrivando a farci lavorare meno, allora bisogna passare a un modello economico (e relazionale) il cui valore non sia più quello classico traducibile in produzione di merci o servizi; ma in quello del tempo dedicato da ciascuno nella realizzazione di progetti individuali e collettivi. Altrimenti, se al centro del modello ci saranno ancora i valori della produzione (e quelli complementari del consumo), ci troveremo di fronte a una massa di individui sotto-pagati, sotto-impiegati e anche psicologicamente ipo-realizzati per via di questa sottrazione di funzione sociale.
Possiamo dunque dire che l’esito della trasformazione, il quale può variare tra essere molto positivo o molto negativo per l’umanità, discenderà dalla gestione collettiva del cambiamento.