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Amazon: le responsabilità del “marketplace”, una zona grigia dal punto di vista giuridico.

Il 13 agosto scorso, la corte d’appello distrettuale della California 4th district, Sant’Ana, ha emesso una sentenza nell’ambito di un procedimento che vedeva contrapposta la Sig.ra Angela Bolger contro il colosso mondiale dell’e-commerce Amazon Inc (Cal. Ct. App., 4th Dist., No. D075738 – Bolger vs Amazon.com Inc..)

La Corte Californiana ha infatti stabilito che Amazon è responsabile per lesioni personali conseguenti la vendita di prodotti difettosi messi in commercio da venditori terzi.

La sentenza ha considerato Amazon responsabile, ribaltando la precedente sentenza della Corte Superiore dello Stato di San Diego, secondo la quale Amazon era considerato un “fornitore di servizi” e non un vero e proprio “rivenditore”.

La storia, in estrema sintesi, è questa: Angela Bolger, aveva acquistato una batteria per laptop su Amazon da un venditore chiamato Lenoge Technology (HK) Ltd. dba “E-Life”. Bolger, nel corso della causa, ha sostenuto che la batteria abbia preso fuoco quando è stata usata, bruciandole braccia, gambe e piedi, oltre a danneggiare il suo laptop.

Amazon ha affermato di non essere responsabile perché non ha distribuito, prodotto o venduto il laptop e che era disponibile sul suo sito Web solo tramite un venditore terzo.

Amazon sosteneva, in particolare, di non essere parte del rapporto giuridico fra venditore e acquirente, di avere “semplicemente” messo a disposizione un’infrastruttura e di non poter essere considerata responsabile per le dichiarazioni sul prodotto che provengono dal venditore effettivo.

La Corte d’appello tuttavia ha rilevato che il prodotto:

  1.  era pubblicizzato su Amazon;
  2. era stato immagazzinato in un magazzino Amazon;
  3. poteva essere acquistato tramite Amazon con pagamento rapido e Amazon maturava una percentuale sulla vendita;
  4. era stato spedito all’interno di una confezione Amazon.

 

Dice la Corte: “Qualunque sia il termine che utilizziamo per descrivere il ruolo di Amazon, che si tratti di “rivenditore”, “distributore” o semplicemente “facilitatore”, è stato fondamentale per vendere e far arrivare il prodotto sino al consumatore “.

Orbene, nonostante la sentenza affondi un duro colpo ad Amazon, non direi – contrariamente a quanto si può leggere in molti articoli pubblicati forse troppo tempestivamente su riviste specializzate e non – che si tratti di un vero e proprio precedente nell’ordinamento giudiziario americano.

Faccio in particolare riferimento alla opinione della Third Circuit Court of Appeals in Pennsylvania del 13 luglio 2019 che, sebbene sia una opinione e sia stata adottata solo a maggioranza dei suoi tre componenti, ha riconosciuto Amazon responsabile per prodotto difettoso. In quel caso si trattava di un collare per cani.

Orbene, ci sono oltre 1,7 milioni di piccole e medie imprese che vendono tramite Amazon e oltre 200.000 imprenditori in tutto il mondo hanno venduto, solo nel 2019, prodotti per oltre 100.000 dollari, dati questi che sicuramente hanno subito una netta crescita nel 2020 anche a causa del lockdown imposto quale misura di contenimento del coronavirus.

Questo pianeta di venditori terzi è meglio noto agli operatori del settore come ”Marketplace”, una zona grigia dal punto di vista giuridico che, anche grazie alla Section 230 del Comunication Decency Act americano, analoga alla Sezione 4 della Direttiva 2000/31/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell’8 giugno 2000, meglio nota come Direttiva E-commerce, tutela entro certi limiti gli operatori di telecomunicazione relativamente ai comportamenti e alle azioni poste in essere dagli utenti e venditori che utilizzano le piattaforme on line messe a disposizione da tali operatori di TLC.

Se da una parte il marketplace di Amazon si è rivelato essere uno straordinario strumento di sviluppo vendite, dall’altro parrebbe abbia determinato una crescita del mercato di prodotti contraffatti, non sicuri o di merci scadute.

Tuttavia va detto che Amazon ha sempre mostrato una grande attenzione verso i suoi clienti offrendo sempre soluzioni per rimborsi, sostituzioni e risarcimenti danni. Non solo. Con riferimento alle merci contraffatte, Amazon ha messo in piedi una procedura di controllo e verifica della registrazione dei marchi promossi e commercializzati sulla sua piattaforma.

Dal punto di vista giuridico il precedente della Corte Californiano è certamente interessante poiché ribalta – salvo quanto detto in merito alla opinion del 13 luglio 2019  – decisioni di segno opposto in una serie di casi analoghi che hanno visto coinvolto sempre Amazon.

Tra questi, di particolare interesse, è il caso dell’Hoverboard acquistato da un consumatore americano nel 2016 e che ha distrutto la sua casa dopo avere preso fuoco senza apparente responsabilità dell’acquirente.

L’acquirente, dopo avere tentato invano di individuare la sede legale del venditore in Cina e un punto di contatto effettivo, si è rivolto ad Amazon quale rivenditore del prodotto, chiedendogli un risarcimento.

In quel caso un Giudice della Pennsylvania ha ritenuto che Amazon non potesse essere considerata responsabile sostenendo che la società è al massimo una sorta di quotidiano on line con sezioni e categorie dedicate ad annunci pubblicitari per la vendita di prodotti, connettendo potenziali consumatori e venditori in un modo efficiente, moderno ed immediato.

Sempre nel 2016, nella causa McDonald – LG Electronics,  Amazon è riuscita a dimostrare la sua assenza di responsabilità in un caso concernente l’esplosione di una batteria di un telefono LG venduto tramite il marketplace del provider californiano.

Ricordiamo inoltre la causa Mylo and Gabby vs. Amazon.com relativamente ad un caso di violazione di marchi, risolta dalla Corte di Washington Seattle nel giugno 2015, con una dichiarazione di non responsabilità del provider poiché non sarebbe un vero rivenditore on line ma un mero operatore di servizi TLC che offre la sua piattaforma per promuovere servizi di terzi.

Una riflessione è comunque opportuna. Assisto marketplace on line da oltre 15 anni e in questo arco temporale ho notato una sempre maggiore attenzione da parte degli operatori del settore alla gestione del rapporto con i clienti, dei pay-off e del modo con cui questi verificano, per quanto possibile, le caratteristiche del prodotto da loro promosso.

Amazon è sicuramente un colosso ed è quasi inevitabile che nel mare magnum di prodotti offerti in vendita da centinaia di migliaia di venditori terzi sparsi per il mondo, ci finiscano anche prodotti difettosi, contraffatti, scaduti.

Se da una parte è coretto invertire la rotta e responsabilizzare un operatore come Amazon che non si limita ad essere un banale Pagine Gialle ma un vero e proprio distributore e veicolo di diffusione commerciale di beni e servizi in tutto il mondo, dall’altra è opportuno che i consumatori, travolti dalla loro sete di consumo e bulimia di acquisti, ripongano maggiore attenzione a cosa acquistano e da chi.

Si parla spesso dei diritti dei consumatori. Non sarebbe forse ora di iniziare a parlare di doveri dei consumatori?

Il dovere di interrompere la catena di acquisti compulsivi gestisti con il one click di Amazon non solo per evitare di ritrovarsi in casa un hoverboard di scarsa qualità ma, forse, anche di apprezzare i prodotti realizzati sotto casa al fine di favorire uno sviluppo sostenibile del nostro pianeta e della nostra economia.

Forse è questo il vero messaggio che ci arriva da questa sentenza. E non è nuovo. Ma solo ignorato da tanti.

 

 

A cura di

Avv. Massimo Simbula

Membro del Comitato Strategico della Associazione Copernicani

Esperto in nuove tecnologie

 

 

 

Approfondimenti:

E-commerce, Amazon risponde per i danni causati dai prodotti venduti

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