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La pandemia e l’impatto economico. Intervista a Mauro Paoloni

Una crisi globale come quella del coronavirus avrebbe bisogno di una risposta altrettanto globale e coordinata. Ma non è stato così, e al contrario ogni nazione ha seguito strategie e tempistiche diverse. Con possibili ripercussioni negative sull’economia.

Diritto Mercato Tecnologia ne ha discusso con Mauro Paoloni, avvocato e professore ordinario di Economia aziendale nell’Università degli Studi Roma Tre.

Professor Paoloni, quali possono essere le conseguenze economiche di questo approccio “scoordinato”? Cosa potrebbe succedere se due economie interdipendenti dovessero riprendersi in tempi diversi?

Riteniamo che la pandemia abbia seguito strategie e tempistiche diverse per una serie di motivazioni.

Anzitutto ha avuto tempi di inizio e di sviluppo i più disparati. In Cina, Paese dal quale è partita, l’inizio è stato anteriore rispetto al resto del mondo e questo ha, inevitabilmente condotto ad una presa di posizione e ad un’azione repentina da parte dello stesso. Stessa modalità hanno seguito gli altri paesi asiatici in cui il virus si è sviluppato: si pensi, a titolo d’esempio, alla Corea del Sud. Quanto all’Europa, è stata l’Italia ed in particolare le regioni del nord – che con la Cina hanno maggiori interscambi commerciali – ad avere il triste primato con una reazione che, seppure in una situazione di incredulità rispetto alla rapidità di diffusione della malattia ha trovato immediate risposte. Certamente i paesi asiatici avevano dalla loro parte le esperienze passate per la diffusione di altri virus (si pensi alla Sars piuttosto che la Mers) che pur non avendo avuto, in passato, l’effetto di una pandemia avevano, tuttavia, messo a dura prova taluni paesi asiatici lasciandoli, in ogni caso, preparati, per affrontare un tale tipo di emergenza. Tutti gli altri paesi europei hanno avuto l’Italia come benchmark e, riteniamo, hanno avuto modo di comprendere l’intensità di diffusione che questo virus aveva reagendo in via immediata. Gli Stati Uniti, nei quali il virus è arrivato immediatamente dopo l’Italia, hanno reagito, in termini temporali, con le caratteristiche del popolo stesso: ovvero, inizialmente, cercando di non rendere la circostanza troppo eclatante dovendo, tuttavia, in via quasi immediata assumere rapide e diffuse decisioni per contenerli.

Certamente quello che ha molto inciso sulla modalità di reazione dei diversi Paesi del mondo è stato l’approccio cultural-politico. In Cina la presenza di un regime, seppur stemperato ormai dalle logiche economiche di mercato, ha consentito una rigorosa applicazione delle regole di cosiddetta quarantena e tale stile ha sicuramente determinato la rapida soluzione di quella che, in ogni dove è stata definita quale “fase uno” che, in realtà ha incluso, nella stessa anche la cosiddetta “fase due”(che noi stiamo vivendo in questi giorni), riportando il Paese ad una quasi normalità dopo un trascorso di circa quaranta giorni. Per alcuni Paesi come la Corea del Sud ed il Giappone, seppure senza regimi autoritari, la cultura dei loro abitanti ha consentito una compostezza nelle azioni tale da rendere i passaggi di fase molto rapidi. A ciò va indubbiamente aggiunta una tipologia di profilassi preventiva frutto, riteniamo, della maggiore esperienza nelle epidemie di cui abbiamo fatto cenno innanzi. Nei Paesi democratici è stato sicuramente più complesso applicare modalità restrittive in tempo di quarantena. Il rischio, per ogni governante di questi Paesi, era legato alla violazione di diritti di libertà dei cittadini, quasi sempre stigmatizzati nelle loro carte costituzionali.

La ripresa delle economie, rispetto ai tempi di reazione direi fisiologicamente “scoordinata”, in termini di tempi dei vari Paesi porterà sicuramente a talune scompensazioni economico-sociali. Intanto è necessario affermare che tutti gli Stati sono, per effetto della globalizzazione, economicamente interdipendenti, ma che questa scelta assunta ormai da tempo ha portato notevoli positività. Certamente gli effetti sui diversi Paesi saranno i più disparati ed è indubbio che, passata la fase acuta, ognuno cercherà (ed è forse anche fisiologico che sia così) di cercare di cogliere al meglio le opportunità che si offriranno rispetto alle economie ed ai mercati. L’augurio è quello che si considerino debitamente le differenze socio-economiche esistenti nei diversi Paesi al fine di evitare eccessive sperequazioni soggettive e soprattutto cercando di non creare sgradevoli difficoltà sociali.

La pandemia sta mettendo a dura prova le economie di tutti gli Stati membri dell’Unione europea. Come giudica la risposta di Bruxelles?

La risposta dell’Europa, purtroppo, è, oseremmo dire, la naturale sindrome di uno Stato non-Stato. Tutti abbiamo fortemente voluto e creduto molto nello Stato Europeo e, probabilmente, continueremo a crederci sperando in un futuro migliore. Purtroppo questa comunità sovranazionale resta, almeno al momento una “incompiuta”. Ciò per diverse motivazioni, che la rendono, specie nelle occasioni importanti (si pensi al problema, recente, degli immigrati) estremamente debole e spesso poco consona rispetto alle soluzioni da applicare ai problemi.

La evidente trazione tedesca dello Stato europeo che trascina i piccoli paesi del nord conduce ad assumere decisioni, spesso univoche e poco consone rispetto ad altri Paesi con caratteristiche culturali, politiche e religiose molto diverse. La citata lontananza di intenti e di azioni ha portato paesi come la Gran Bretagna ad uscire dall’Unione pur di non sottostare alla supremazia tedesca. In questa occasione l’Europa potrebbe dimostrare la sua presenza con modalità che possano avere la forza di rimettere in carreggiata tutte le economie dei Paesi che ne fanno parte, considerando, naturalmente, il danno che ciascuno di essi ha subito con estrema attenzione. L’azione dovrà essere forte e posta in essere repentinamente ed in misura ben calibrata, in termini quali- quantitativi per ciascun Paese.

Per quanto concerne l’Italia, riteniamo debba essere dissipato quel clima di nebulosa sfiducia che, sovente, caratterizza le modalità attraverso le quali vengono trattate le nostre istanze. Il nostro Paese ha bisogno, come detto, sicuramente di un massiccio intervento nazionale che, tuttavia, potrebbe trovare forti ostacoli applicativi, laddove la comunità sovranazionale europea non fosse altrettanto forte e rapida nei propri interventi. I risultati dovranno essere tangibili, pena il rischio di fallimento per l’Europa quale comunità politica ed economica. Con la conseguente necessità, per il nostro Paese, di ricercare soluzioni alternative per riuscire a far ripartire adeguatamente tutti: imprese e famiglie.

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