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Immuni, Gambino: privacy al sicuro, l’app non è un Grande Fratello

Il quotidiano Leggo ha intervistato il prof. avv. Alberto Gambino, direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia, prorettore vicario dell’Università Europea di Roma e presidente dell’Italian Academy of Internet Code, associazione scientifica che contribuisce alla lettura giuridica degli scenari del mercato delle comunicazioni e delle tecnologie digitali nel mondo di Internet.

Nel corso dell’intervista, Gambino ha provato a chiarire dubbi e diffidenze dei cittadini nei confronti dell’app di contact tracing Immuni, proposta dalla task force del governo guidata da Vittorio Colao, che entrerà in funzione da maggio, come annunciato ieri dal commissario Arcuri.

Come funziona l’app?
«Il cittadino scarica l’app, porta con sé il cellulare, lo tiene acceso e attiva il bluetooth. La persona cammina in città e incontra altri cittadini con l’app nel telefono. Al rientro a casa potrà verificare se sia entrato in contatto a meno di 2 metri con una persona positiva. A quel punto dovrà isolarsi e contattare immediatamente il sistema sanitario nazionale e richiedere il tampone».

Quindi non può saperlo prima?
«No, al contrario di quanto detto da qualcuno, non siamo tracciati da un sistema satellitare».

Si spieghi meglio.
«Il sistema dell’app funziona tramite bluetooth e non con il gps. Questo fa sì che non ci sia un grande fratello che dall’alto ci guardi. Il gps si aggancia ai satelliti ed è capace di determinare la nostra posizione. Il bluetooth agisce diversamente: parte dal proprio cellulare, lancia segnali e gli altri rispondono a questi segnali. In questo caso segnala al nostro device l’entrata in contatto con una persona positiva».

Quindi non siamo tracciati?
«No, non trasmettiamo dati sulla nostra posizione, ma solo l’entrata in contatto con una persona positiva ricevendo un alert. Da quel momento è nostra responsabilità avvisare il sistema sanitario nazionale».

Il commissario Arcuri ha parlato di un server pubblico dove finiscono i dati, in cosa consiste?
«I nostri dati sanitari sono già presenti nel server pubblico del ministero della Salute. Le cartelle cliniche, la cronologia delle cure a cui siamo stati sottoposti. È lì che verrà inserito il nostro quadro clinico legato al Covid. Ed è coperto da privacy assoluta».

Con i social network la privacy è molto più esposta quindi?
«Certo, in quel caso agisce il gps oltre ai dati che forniamo una volta iscritti. E nemmeno loro oggi hanno accesso agli aspetti sanitari degli individui».

Allora perché la gente è diffidente?
«Perché attraverso il web abbiamo impressione di essere tracciati. Le multinazionali ci hanno dato la sensazione di tenerci sotto controllo con le varie pubblicità. Questa sensazione diffusa crea una diffidenza. Ma non è questo il caso».

Lei la consiglia?
«È fondamentale. Insieme ai tamponi e ai test sierologici l’app è uno strumento di un’utilità infinita per contenere la diffusione del virus. Se le persone non la scaricano potrebbero infettare o essere infettati senza essere rintracciati. Le conseguenze sarebbero gravissime».

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