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Opportunità e rischi dell’intelligenza artificiale giuridica, secondo Prof. Avv. Tommaso Frosini

Tommaso Edoardo Frosini è avvocato, professore ordinario di Diritto pubblico comparato presso l’Università Suor Orsola Benincasa di Napoli e membro del comitato scientifico della Italian Academy of the Internet Law (IAIC).

Professor Frosini, lei ha curato con Sebastiano Faro e Ginevra Peruginelli l’edizione del libro Dati e algoritmi. Diritto e diritti nella società digitale pubblicato dal Mulino: quali sfide pongono al diritto la sempre maggiore disponibilità di enormi quantità di dati e gli algoritmi utilizzati per la loro elaborazione?

Innanzitutto, ci tengo a dirlo, questo libro nasce quale risultato di una sessione di lavori, dedicati a Il diritto nella società digitale, nell’ambito di un convegno internazionale organizzato dall’Istituto di informatica giuridica e sistemi giudiziari del Consiglio Nazionale delle Ricerche, che si è tenuto a Firenze nell’ottobre 2018.

Vengo alla vostra domanda: siamo nell’epoca dei big data, intendendo con questa espressione l’accumulo e l’utilizzo di enormi quantità di dati in formato digitale. Che si identifica in una delle manifestazioni più recenti della società dell’informazione, che trasforma in conoscenza – e in risorsa economica – una moltitudine di dati in costante crescita. Sono state l’astronomia e la genomica, che per prime hanno sperimentato l’esplosione dei dati, a coniare l’espressione “big data”. E adesso il concetto si sta espandendo a tutti gli ambiti della vita umana. La varietà dei dati personali disponibili digitalmente aumenta in modo sostanziale in virtù della diffusione dei social media, della crescita dei dispositivi mobili, dei sistemi di sorveglianza, e di una varietà di sensori collegati in rete (il cd. «Internet delle cose»). Spesso senza esserne a conoscenza, gli individui producono informazioni, che vengono raccolte, conservate e frequentemente usate per finalità diverse da quelle per cui esse sono state originariamente raccolte. Tale processo trae alimento da due diversi fenomeni: la «datizzazione», ossia la raccolta di informazioni su un fenomeno per convertirle in forma quantitativa in modo da poterle analizzare, e la «digitalizzazione» che consiste nel convertire le informazioni in un formato elaborabile dal computer. Ci sono vari settori in cui il perseguimento di finalità di interesse generale da parte di soggetti pubblici passa attraverso l’analisi e l’elaborazione algoritmica dei dati. Questo, da un lato, implica notevoli vantaggi dal punto di vista del rapporto costi-benefici e, dall’altro, solleva non pochi problemi in termini di definizione delle condizioni alle quali i soggetti che trattano i dati possono avere legittimamente ed effettivamente accesso a tali dati e dei limiti al loro riutilizzo.

Come ha detto il Consiglio di Stato, che nel dicembre 2019 è tornato sul tema degli algoritmi informatici per l’assunzione di decisioni che riguardano la sfera pubblica e privata, «in molti campi gli algoritmi promettono di diventare lo strumento attraverso il quale correggere le storture e le imperfezioni che caratterizzano tipicamente i processi cognitivi e le scelte compiute dagli esseri umani […]».

I contributi raccolti nel volume offrono preziose riflessioni, e in alcuni casi presentato promettenti applicazioni, relative all’impatto che le innovazioni descritte hanno già, o potrebbero avere nei prossimi anni, sui diritti delle persone, sugli ordinamenti giuridici e sulla stessa scienza giuridica. Il giurista è oggi – più che mai – chiamato a svolgere la sua missione di proporre nuove idee e risolvere problemi. L’innovazione non volge lo sguardo indietro; compito del giurista è comprendere la nuova realtà che sta emergendo, modificando se necessario i tradizionali modelli epistemologici di riferimento, per offrire gli strumenti giuridici per il suo miglior funzionamento. Finora, il principale sforzo è stato quello di versare il nuovo vino digitale negli antichi otri del diritto. Vi è tuttavia una ulteriore questione che appare essere assai più impegnativa e che merita di essere segnalata: questo scenario tecnologico relativamente recente cambia i tradizionali modelli epistemologici del giurista, ovvero il modo in cui comprende il mondo ed offre strumenti giuridici per il suo miglior funzionamento.

Quali sono opportunità e rischi di un’ intelligenza artificiale giuridica?

Personalmente vedo più opportunità che rischi. Il diritto è un prodotto sociale e non può esistere se non è seguito, volontariamente o grazie a effettivi strumenti di conformazione, da una comunità. Le tecnologie digitali non solo consentono di conoscere e applicare il diritto, dovunque e in qualsiasi momento, ma spesso suggeriscono, se non addirittura impongono, una regola da seguire: l’esempio più banale è quello dei «campi» digitali che è obbligatorio riempire se si vuole un certo risultato (la prenotazione, l’acquisto, ecc.). Ma questo obbligo non è certo imposto dalla legge, ma dal soggetto che ha realizzato il modulo informatico e non consente deviazioni o variazioni. È possibile dunque preconizzare un crescente processo di applicazione automatizzata delle regole giuridiche, già particolarmente esteso nel settore tributario e in quello della sicurezza sociale, sia nelle relazioni degli individui con le autorità sia nelle relazioni tra individui. La combinazione fra regole giuridiche e dati porta nel nostro campo visuale le c.d. norme granulari e, per usare una espressione che in realtà rivela un ossimoro, gli smart contracts. Le norme perdono la loro caratteristica di generalità e sono ritagliate su misura sulla identità del soggetto, identità nota attraverso la quantità di dati personali di cui il soggetto che crea la regola (privato, ma anche pubblico) dispone. Si può e si deve indagare sul ruolo che le analisi predittive hanno nella applicazione delle norme. L’esempio più evidente in cui esse sono già ampiamente utilizzate è quello delle indagini di polizia che mirano a restringere un gruppo di persone sospette o individuare legami fra persone sospette e persone insospettabili.

Su un piano più comune, peraltro, analisi predittive sono utilizzate – e lo saranno sempre di più – nella selezione del personale, nei test di ammissione alla scuola e all’università e in altri contesti nei quali diritti individuali e rapporti trasparenti con le pubbliche autorità sono in gioco. Qui non vi è direttamente l’applicazione di una norma, ma piuttosto la determinazione dello status della persona, che corrisponde a dei «tipi» algoritmicamente pre-determinati.

Oggi le applicazioni di intelligenza artificiale favoriscono sempre di più lo sviluppo di una particolare, e se si vuole persino autonoma, scienza cognitiva, che intende così sintetizzare e razionalizzare il problema giuridico e risolverlo su base matematica, verificando il metodo e lo schema del ragionamento su una base obiettiva e calcolabile, e quindi estraendone vere e proprie formule di sintesi fondamentali. La prospettiva di una applicazione automatica delle norme di legge è resa immediatamente praticabile dall’automazione di decisioni in ambito amministrativo ed economico, sicché sempre di più decisioni organizzative o di investimento vengono ora adottate mediante analisi dei grandi flussi di dati sul web che danno un quadro esponenziale delle scelte strategiche più opportune, e impongono decisioni nel tempo più breve possibile.

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