Oreste Pollicino* e Pietro Dunn, in “Intelligenza artificiale e democrazia” (Egea), esplorano l’impatto dell’intelligenza artificiale…
Intelligenza artificiale. Quali regole?, di Giusella Finocchiaro. Edizioni il Mulino
Di intelligenza artificiale ne abbiamo pieni gli occhi e le orecchie. Certo è un’autentica rivoluzione culturale che sta modificando radicalmente e in maniera irreversibile le nostre società, ma non è più un fatto nuovo, integrato com’è nelle nostre vite. Sottilmente o palesemente, il quotidiano è innervato da mille e una applicazioni dell’intelligenza artificiale, che solletica l’immaginazione per quello che sarà a venire. Tra presente e futuro, infatti, si frappone uno spazio animato sostanzialmente dall’emotività più selvaggia che dirige il nostro sentire, agitato da una parte da entusiasmi avveniristici per un progresso profittevole per tutti e dall’altro da cupe inquietudini per un mondo sopraffatto da macchine e algoritmi che renderanno l’umano pressoché inutile. Le arti visive, in questo senso, hanno una grossa parte di responsabilità riguardo alla nostra percezione dell’intelligenza artificiale e della robotica; così come le definizioni utilizzate dalla nuova retorica, che confluisce in una narrazione pressoché trascendentale del fenomeno: celebrandone il mito e sostanziandone “fantasmi” e aggettivandoli con parole come “intelligenza”, “oracolo”, “allucinazioni”, “incantesimi”, ci è stato iniettato latentemente un pregiudizio culturale che disinnesca la necessaria neutralità con cui guardare al fenomeno. In questa massimizzazione delle percezioni, però, vige una quasi totale misconoscenza: cos’è davvero l’intelligenza artificiale? O più sottilmente: cos’è l’intelligenza? È una proprietà consustanziale ed esclusiva dell’essere umano? La soggettivazione delle tecnologie è cosa giusta? Ma non si incorra nell’errore di attribuire l’assenza di questa terza dimensione percettiva solo al sentire comune, poiché anche i più esperti sono inevitabilmente condizionati da questo tipo di portato culturale. Soprattutto i giuristi, tanto che alla pur necessaria azione regolatoria che richiede il fenomeno spesso si risponde con l’emanazione di interventi legislativi emergenziali dettati dall’ansia di rincorrere per precedere gli effetti – prevedibili e non, a basso o ad alto livello di rischio.
La regola resta una e una sola soltanto: conoscere per capire, capire per comprendere, comprendere per normare. Il nuovo libro di Giusella Finocchiaro*, Intelligenza artificiale. Quali regole? (il Mulino editore, 2024) si inserisce esattamente all’inizio di questo articolato. Docente di Diritto privato e Diritto di internet all’Università di Bologna, avvocata cassazionista e fondatrice e partner di DigitalMediaLaws, Finocchiaro mette a punto un agile volume che si propone di individuare alcune direttrici lungo le quali ordinare il discorso e si rivolge dichiaratamente (e giustamente) a tutti: «[…] dunque non solo esclusivamente a un pubblico di giuristi o di informatici, che sarebbero i naturali destinatari di una riflessione sulle regole dell’intelligenza artificiale. Infatti, la questione coinvolge un numero crescente di persone in svariati aspetti dello loro vita quotidiana» e per questo viene impiegato «un linguaggio atecnico, per quanto possibile» e «uno stile diverso da quello tecnico-giuridico». Le regole che invocano il titolo, infatti, sono sì interpretate e create in un ambito nazionale o sovranazionale, ma riguardano l’intera collettività ed occorre esserne a conoscenza e capirle fino in fondo per poter agire i propri diritti secondo quanto dettato dalle carte costituzionali. Sì, ma quali sono queste regole?
* sociafondatrice di IAIC
Leggi l’articolo completo su Il Diario del Lavoro