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Scontro sul diritto d’autore? “Ma c’è ancora una terza via”. Il commento del Prof. Gustavo Ghidini sulla “Direttiva Copyright”

di Eduardo Meligrana

Il 26 marzo scorso il Parlamento europeo ha approvato la proposta di Direttiva sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, nota anche come “Direttiva Copyright”. Il via libera dall’aula di Strasburgo all’accordo è passato con 348 sì, 274 no e 36 astenuti.

La controversa riforma, discussa da anni, passerà ora al vaglio del Consiglio europeo per l’approvazione formale a maggioranza qualificata ed entrerà definitivamente in vigore dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell’Ue ed i Parlamenti avranno due anni di tempo per recepirla nelle legislazioni nazionali.

Diritto Mercato Tecnologia ha chiesto al Prof. Avv. Gustavo Ghidini, Emerito dell’Università degi Studi di Milano, Professore di Diritto Industriale nella LUISS “Guido Carli”, giurista tra i massimi esperti della materia, di tratteggiare un’analisi di alcuni tra gli aspetti salienti della riforma e dei suoi possibili profili evolutivi.

Il Parlamento europeo ha dato il via libera alla proposta di “Direttiva Copyright” con nuove regole sul diritto d’autore. Ampio il dibattito che ha registrato una polarizzazione, un vero e proprio scontro, tra quanti ritengono la proposta un attacco alla libertà di espressione online e quanti, al contrario, la giudicano uno strumento adeguato per tutela della proprietà intellettuale. Quali le sue riflessioni, Prof. Ghidini?

La accesissima querelle innescata dalla Proposta di Direttiva del 2016 della Commissione  per il Mercato Unico Digitale, ha uno sfondo economico, ed uno sociologico,  dai quali non si può prescindere se si voglia comprendere a fondo i motivi  del conflitto fra editori della stampa e grandi piattaforme.

Quello economico è costituito dalla fortissima diminuzione della vendita dei giornali, e conseguente crollo delle entrate pubblicitarie della stampa, e dal simmetrico fortissimo incremento dell’informazione online, dominata dalle grandi piattaforme, e conseguente aumento delle entrate che queste derivano,  direttamente o indirettamente, in proporzione al volume di dati e informazioni messe in rete.

Quello sociologico, afferente alla percezione sociale dell’informazione nell’era  digitale, ha riguardo al fatto, incontestabile, che la comunicazione che oggi  passa attraverso i ‘ricevitori’ individuali, come  PC e  smartphones, nonchè  i social networks, è tipicamente fatta di brevissime notizie e/o commenti.

A differenza della comunicazione tradizionale, analogica, affidata alla carta stampata, in  quella digitale anche una brevissima notizia, di poche parole —c.d. snippet— può facilmente costituire un ‘prodotto  informativo’ (mi si perdoni la locuzione), suscettibile di attirare autonomo interesse e quindi di essere sfruttata economicamente come tale (anche se direttamente diffusa gratuitamente agli utenti), ad esempio ‘agganciandovi’ pubblicità e/o altri servizi a pagamento.

Anni luce, dunque, dalla tradizionale prospettiva del ‘vecchio’ diritto d’autore, nella quale le appropriazioni da parte di terzi di brevissimi brani di opere altrui  erano tollerate in quanto non suscettibili di causare alcun significativo pregiudizio del titolare —de minimis…—, e come tali definite, dalla dottrina francese, come ‘furtarelli impercettibili’ (larcins imperceptibles).

Su questo terreno, dunque, ha avuto  luogo la battaglia, combattuta dalle rispettive rappresentanze  di interessi — ‘una storia di due lobbies’, verrebbe da dire à la Dickens. Ciascuna delle quali avanza argomenti ‘nobili’, degni di essere considerati attentamente da chi (legislatore, giudici) persegua la soddisfazione di pubblici interessi – e meno importa se, come di regola, gli argomenti nobili siano al servizio, in ultima analisi, anche di interessi privati.

Da un lato, al di là di una pur legittima logica proprietaria, sta la considerazione che il diritto al compenso garantito dal diritto d’autore contribuisce ad impedire la ‘asfissia’ economico-finanziaria della carta stampata, asfissia contraria all’interesse generale ad una informazione professionalmente qualificata e plurale. Dall’altro, sta l’esigenza che l’informazione dell’era digitale fluisca rapidamente senza barriere escludenti, come sono quelle dei diritti di proprietà intellettuale, e in particolare del copyright. Da qui lo scontro testa a testa.

Scontro che si sarebbe potuto evitare seguendo una ragionevole, e semplice, ‘terza via’: quella di affermare il principio dell’accesso libero pagante per le utilizzazioni di testi o brani di testi di fonte editoriale compiute da imprese di comunicazione agenti a scopo di lucro, laddove l’accesso libero dovrebbe essere gratuito per usi non commerciali, come, di solito,  quelli di ricercatori e docenti.

Peccato che una siffatta soluzione (che nel nostro ordinamento è prevista per i progetti originali  di ingegneria e lavori analoghi: art. 99 Legge Autore, e art. 2578 cod. civ.) non sia stata adottata: ma, come in politica, le ragionevoli ‘terze vie’ non accendono l’animo dei più…

Pur con delle esclusioni, una novità assoluta è rappresentata dalla prevista responsabilità delle piattaforme digitali per la pubblicazione dei contenuti protetti da copyright. Quali le conseguenze per le grandi piattaforme come per quelle di dimensioni più contenute?

In linea di principio convengo, ad una più matura riflessione, con l’affermazione di tale responsabilità: a condizione che le condizioni di attuazione siano ragionevoli e realistiche, e non impongano defatiganti oneri di sorveglianza—oneri che peserebbero soprattutto sulle PMI della comunicazione, così trasformandosi—eterogenesi dei fini!—in un ‘favore’ per i titani del web.

Ragionevoli e realistiche condizioni di attuazione, dunque, potrebbero consistere, anzitutto, in requisiti di accesso alle reti fondati, l’uno sulla piena e non mascherata identificazione dei fornitori di contenuti, l’altro sulla dichiarazione di essere legittimi titolari dei medesimi— in tal modo si ’filtrerebbero’ fonti equivoche, affermando un sacrosanto principio di responsabilità.

E poi, adottando un sistema di notice and take down, analogo a quello di AGCOM, da attivare al momento in cui la piattaforma riceve una contestazione circa la legittimità dell’immissione in rete dei contenuti stessi. Troppo complicato? Non credo: un ampio di buoni algoritmi potrebbero agevolmente governare il sistema. L’ intelligenza artificiale fa ben di più!

La proposta prevede inoltre il principio per cui i titolari del diritto d’autore che siano giornalisti, artisti, scrittori vadano remunerati dalle piattaforme per lo sfruttamento delle loro opere.

Quanto alla remunerazione personale degli autori (giornalisti, scrittori) riterrei che, ove si tratti  di free-lance indipendenti che individualmente pubblichino  blogs, newsletter, testate  online e simili, dovranno essere  direttamente remunerati dalle piattaforme. 

Se  invece si tratti di giornalisti dipendenti e comunque remunerati da case editrici, il loro compenso dovrebbe essere inserito nel ‘pacchetto’ di corrispettivi che le piattaforme pagheranno agli editori, i quali lo retrocederanno agli autori.

L’iter della direttiva non si è ancora concluso e lo stesso strumento giuridico della direttiva non impone agli Stati modalità di regolamentazione – come invece per il regolamento – ma soltanto obblighi di risultato. Cosa auspica?

Il meccanismo dell’attribuzione dei compensi – incluso la determinazione della loro ‘equità’— dovrebbe essere attuato non sulla base di contrattazioni individuali, fonte di un sicuro aggravio di ‘costi transattivi’ (anche per le inevitabili lungaggini), bensì da società di gestione collettiva, pubbliche o private.

Le quali, per la loro istituzionale vicinanza al mondo dell’editoria, potranno agevolmente stabilire—e velocemente far negoziare, come in un ‘borsino’– fasce di valore delle notizie e informazioni diffuse dalle piattaforme, fasce determinate dai congiunti parametri della ‘lunghezza’ dei pezzi e dalla identità della fonte editoriale. E’ chiaro che 10 righe dal ‘Corriere della Sera’ varranno più  di 10 righe dell’Eco di Forlimpopoli’ (esiste?!).

In tal modo si recupererebbe anche, in misura significativa, quella fluidità e rapidità di circolazione di notizie e informazioni che ha costituito l’alibi delle piattaforme per non pagare, mentre si attenuerebbe, de facto, la forza del ‘muro escludente’ del copyright eretto dagli editori per garantirsi il diritto al compenso.

 

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