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Intervista al Prof. Roberto Caso: “Proprietà Intellettuale e Diritto all’Informazione e Cultura”

Roberto Caso è Professore Associato di Diritto Privato Comparato all’Università di Trento, Facoltà di Giurisprudenza, e co-direttore del Gruppo LawTech. Insegna Diritto Civile, Diritto Comparato della Proprietà Intellettuale, Diritto comparato della privacy, Diritto d’autore e arte, CopyrightX Trento. Ha pubblicato in qualità di autore o curatore libri e articoli in materia di Proprietà Intellettuale, Diritto d’autore, Diritto dei brevetti, Diritto della Riservatezza e Protezione dei Dati Personali, Diritto dei Contratti e Responsabilità Civile. E’ Presidente dell’Associazione Italiana per la promozione della Scienza Aperta (AISA).

Il Prof. Roberto Caso

 

Per la seconda edizione del corso L’INTELLIGENZA ARTIFICIALE E LA TUTELA DEI DIRITTI DELLA PERSONA, che si terrà a Matera il 30 settembre 2022, si approfondiranno aspetti giuridici con particolare riguardo alla tutela dei diritti della persona in relazione all’introduzione dell’uso massivo della I.A..

Anticipando le tematiche che affronterà durante il Suo intervento “Proprietà Intellettuale e Diritto all’Informazione e Cultura” come, a Suo avviso, la proprietà intellettuale e la tutela del diritto all’informazione trovano equilibrio nelle tutele sancite dal diritto in Italia? Ed in particolare, che bilanciamento trovano nell’ambito del diritto europeo?

 

Innanzitutto, la proprietà intellettuale è una categoria giuridica molto recente che è stata imposta dall’0ccidente al resto del mondo attraverso i trattati internazionali della World Intellectual Property Organization (nata nel 1967) e della World Trade Organization (con gli accordi Trade Related Aspects of Intellectual Property Rights o TRIPS del 1994). Questa categoria comprende istituti (diritti d’autore, brevetti per invenzione, marchi, disegni industriali, indicazioni geografiche, segrete commerciali) che poco hanno a che vedere l’uno con l’atro, nasconde retoricamente la natura monopolistica dei diritti di esclusiva, e accosta forzatamente la proprietà su beni tangibili e quelli intangibili. Il capitalismo globale e neoliberale ha fatto della proprietà intellettuale una delle sue punte di diamante. Negli ultimi decenni beni che in passato erano comuni e gratuiti, cioè soggetti alla destinazione universale di cui parla la dottrina sociale della Chiesa sono finiti sotto il controllo dei diritti di esclusiva. In particolare, i frutti della ricerca in campo informatico e biologico sono stati appropriati da entità commerciali: software, banche dati, biotecnologie ecc. La stessa Internet, nata come bene comune dell’umanità, è finita nel controllo delle grandi piattaforme. La proprietà intellettuale è alla base del capitalismo dei monopoli intellettuali, una nuova forma di capitalismo che produce profonde disuguaglianze tra chi ha la possibilità di accrescere la propria conoscenza e chi quella possibilità non ce l’ha (si pensi ai testi scolastici e universitari e alle risorse formative). Tali disuguaglianze in termini di conoscenza sono alla base delle disuguaglianze economiche. Il capitalismo dei monopoli intellettuali mette anche a rischio la democrazia come dimostrano gli scandali che hanno portato alla luce la sorveglianza digitale di massa e la manipolazione a fini politici dei dati personali dei social network.

Nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea la c.d. proprietà intellettuale entra ufficialmente nel diritto europeo come diritto fondamentale accostato al vero diritto di proprietà (art. 17.2) e privato, almeno a livello di lettera della legge, della clausola sociale. La Corte di giustizia UE scrive il vero diritto di proprietà intellettuale – cioè quello frutto dell’interpretazione giudiziale – utilizzando la tecnica argomentativa del giusto bilanciamento tra diritti fondamentali. La corte di Lussemburgo ripete che il diritto di proprietà intellettuale non è assoluto e può subire compressioni nel bilanciamento con altri diritti fondamentali: primo fra tutti il diritto all’informazione.

Tuttavia, la politica dell’UE rimane sostanzialmente orientata all’espansione dei diritti di esclusiva come dimostrano recenti documenti programmatici e la difesa della proprietà intellettuale sui vaccini anti-COVID-19.

L’Italia è al traino delle organizzazioni internazionali e dell’Unione Europea. A livello giurisprudenziale siamo ancora all’inizio, nel campo della proprietà intellettuale, del c.d. dialogo tra le corti internazionali e nazionali. In particolare, occorre verificare quali posizioni vorranno prendere la Corte costituzionale, la Corte di cassazione e il Consiglio di Stato rispetto ai monopoli intellettuali.

 

Come approfondisce nel Suo articolo: Ricerca scientifica e privatizzazione della conoscenza, l’equilibrio che intercorre tra diritto di accesso all’informazione e tutela della proprietà intellettuale è estremamente sottile e, spesso, la tutela della proprietà intellettuale trova maggiore protezione rispetto al diritto all’informazione. A Suo avviso possono coesistere la ricerca scientifica e la privatizzazione della conoscenza?

La scienza moderna nasce aperta (pubblica) e democratica, come ha ricordato in una recente intervista a DIMT la prof.ssa Maria Chiara Pievatolo. La scienza accademica dovrebbe, in altre parole, rappresentare un sistema alternativo e complementare alla ricerca prodotta da imprese. Ora la distinzione tra ricerca accademica e commerciale va sfumando. Ad esempio, le università sono sempre più assomiglianti alle imprese: nel linguaggio (si parla ad es. di prodotti e di performance), nell’organizzazione (sempre più verticistica) e, quel che è peggio, nella mentalità. Ciò vale anche per la proprietà intellettuale e la pseudo-proprietà intellettuale (nuove forme di esclusiva giuridica difficilmente inquadrabili negli istituti tradizionali, molto spesso basate sul potere di fatto di controllare ed elaborare dati e informazioni). Le università sono spinte a chiudere, tramite diritti di esclusiva, la ricerca e a commercializzarla (come avviene nel campo dei brevetti biomedici) o lasciare che il diritto d’autore finisca nelle mani degli editori ora trasformatisi in imprese di analisi di dati (come Elsevier e Google). La rettrice dell’Università di Amsterdam, Karen Maex, nel recente discorso per l’inaugurazione anno accademico 2021-2022 ha denunciato la drammatica diminuzione degli spazi di autonomia e indipendenza delle università che in tutte le loro funzioni fondamentali dalla didattica alla ricerca dipendono sempre più dalle grandi piattaforme di Internet come Google, Amazon, Microsoft ecc. La denuncia riguarda il fatto che il capitalismo dei monopoli intellettuali e della sorveglianza è penetrato a fondo anche nel mondo universitario. Se non si rompe il monopolio e non si riguadagna, almeno in parte, il controllo delle infrastrutture informative, non è solo l’università a rischio, ma – come ha ricordato Maex – la stessa democrazia.

 

Quali strumenti legislativi permettono una giusta tutela tale da consentire il diritto umano alla scienza aperta di cui parla nel libro La rivoluzione incompiuta. La scienza aperta tra diritto d’autore e proprietà intellettuale?

Occorre riformare profondamente a livello internazionale e nazionale la normativa che governa la scienza e la conoscenza, cominciando dalla c.d. proprietà intellettuale e dalla valutazione della ricerca per poi incidere sulla disciplina dei dati (privati e non), sul diritto dei contratti, sul diritto antitrust, sul diritto dei beni culturali e così via. Per limitarci al tema più direttamente toccato da questa intervista: occorre espiantare il diritto d’autore dalla proprietà intellettuale e riportarlo alla sua natura kantiana di diritto personale finalizzato all’uso pubblico della ragione.

 

A Suo avviso come si pone la questione dei vaccini, dunque della salvaguardia della proprietà intellettuale, nella promozione della scienza aperta e del diritto all’informazione?

I vaccini e gli altri farmaci salvavita dovrebbero essere beni comuni dell’umanità come ha più volte ricordato Papa Francesco. Più esplicitamente: occorrerebbe vietare qualsiasi forma di proprietà intellettuale su questi beni essenziali. Altrimenti saremo condannati a rimanere prigionieri di un sistema che non è solo tragicamente iniquo, ma anche inefficiente (siamo ancora dentro la pandemia e rischiamo di arrivare impreparati alle prossime). Questa riforma non è all’orizzonte e probabilmente non lo sarà nei prossimi anni. Ma si possono seguire strade alternative, pur in un mondo dominato dalla proprietà intellettuale. Per limitarci a un autorevole esempio italiano si può prendere a modello la politica antibrevettuale dell’Istituto Mario Negri. Quella politica ricorda a tutti che la ricerca animata dal progresso della conoscenza è cosa molto diversa dalla ricerca del profitto.

 

 

 

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