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La morte di Lambert in Francia e la questione eutanasia in Italia: a settembre la decisione della Corte costituzionale

Vincent Lambert, l’uomo francese tetraplegico in stato vegetativo dal 2008, è morto giovedì scorso all’ospedale di Sébastopol de Reims, nove giorni dopo lo stop all’idratazione e all’alimentazione disposto dalla Cassazione.

“È un momento di grande tristezza e di rispetto verso il dolore della famiglia di Vincent Lambert. Ma non si può tacere che questa vicenda ha avuto dei contorni giudiziari particolarmente cruciali”, ha detto al SIR Alberto Gambino, prorettore dell’Università europea di Roma e direttore scientifico di Diritto Mercato Tecnologia.

Ricordando la vicenda giudiziaria, Gambino sottolinea: “Da ultimo, c’è stato un intervento di un Comitato delle Nazioni Unite che aveva chiesto alla Francia di soprassedere rispetto all’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione. Davanti a questa richiesta che interviene, dopo che per dieci anni sono state portate avanti alimentazione e idratazione, francamente non averla accolta è sembrato, mi si passi l’espressione, un atto di superbia di uno Stato che non ritiene di dover sottostare a richieste di organismi internazionali, di cui la Francia peraltro fa parte ma che non rappresentano tuttavia la giurisdizione francese. Si sarebbe potuta accogliere la richiesta del Comitato delle Nazione Unite, che, oltretutto, chiedeva una moratoria ai fini di un approfondimento, non dava una lettura definitiva alla vicenda. Solo al termine dell’approfondimento si sarebbe potuti arrivare a una decisione definitiva. Per questo, descrivo l’aver precipitato le cose come un atto di superbia”.

“La vicenda di Vincent Lambert pone l’accento su un grande problema di fondo”, continua Gambino. “I malati cosiddetti inguaribili talvolta vengono ritenuti non degni di essere curati, dove per cura andiamo al di là dell’aspetto terapeutico, comprendendo anche l’accudimento e il sostentamento con presidi vitali, che fanno parte della più appropriata solidarietà umana verso le persone più vulnerabili e più fragili. Questa confusione, che si fa talvolta anche per motivi di efficienza economica del sistema sanitario, implica che quando si è inguaribili si verifica qual è una qualità della vita in termini di efficienza e, se si ritiene che tale vita non sia pienamente efficiente, si smette di curarla e di accudirla. Questo avviene in quei casi di interruzione di alimentazione idratazione, che sono presidi vitali”. Nel caso specifico di Vincent Lambert, tuttavia, “ciò è avvenuto in assenza di una volontà espressa del paziente: Vincent Lambert non ha mai dichiarato espressamente di non continuare a somministrargli alimentazione e idratazione. In assenza di tale dichiarazione espressa, il principio di precauzione vuole che si vada verso la prosecuzione della vita, non verso la sua interruzione, altrimenti il ‘bene vita’ retrocede a una lettura di qualità e, se non è efficiente, a questo punto degrada”.

Per Lambert, conclude Gambino, “non siamo davanti a un problema di autodeterminazione, quindi il tema è più profondo e riguarda proprio la lettura che si dà alle vite umane in stato di coscienza minimale: sono vite, hanno anche delle reazioni e relazioni, pur piccole, che meritano di essere accudite, come le altre vite, fino al decesso naturale e non devono subire invece un’accelerazione verso la morte su una valutazione tutta di qualità”.

“Che sia lecito interrompere la vita a chi è in una condizione, non di malattia terminale, ma di minima coscienza, dove cioé i soggetti hanno piccole percezioni e reazioni, sono in piena vita e ancora in grado di percepire una carezza, un momento di conforto; vite umane quindi che non sono al loro termine ma proseguirebbero la loro esistenza anche a lungo. Una tecnica – quella di interrompere queste vite senza alimentarle più – che noi di Scienza e Vita non abbiamo mai accolto, tanto da criticare anche la legge italiana che qualifica idratazione e nutrizione come trattamento sanitario”, ha detto Alberto Gambino a Famiglia Cristiana.

Una distinzione necessaria tra cura e terapia
«Fondamentale. Perché le persone che non sono più guaribili vanno sempre curate, diverso invece è il tema della terapia. Con Lambert si è associato all’idea che se si è inguaribili non si merita più di essere curati. Ed ecco allora che in Francia, con un’equipe medica, si è valutato che sia lecito interrompere un’esistenza umana; Lambert è stato vissuto come se fosse un caso di accanimento terapeutico perché per loro l’obiettivo è la guarigione e tutto ciò che non porta alla guarigione è ostinazione. Ma ci sono milioni di persone in questa situazione, non per questo vanno accompagnate alla fine. Come se l’essere umano in una dimensione relazionale piena fosse più degno di altre situazioni, come quella di Lambert, dove c’era un’irreversibilità dello stato e quindi mai una guarigione».

Una situazione paradossale e drammatica anche per la contrapposizione tra la volontà dei genitori e quella della moglie e dei fratelli…
«C’è una difficoltà reale in tal senso: Lambert non si è mai espresso in maniera esplicita rispetto alla sua volontà. In Italia per interrompere idratazione e nutrizione ci vogliono almeno un biotestamento o un consenso informato. In Francia decidono i medici, anche cercando di ricostruire la volontà del paziente. Ecco perché i fratelli e la moglie hanno sostenuto un punto di vista e i genitori un altro. Ma sono solo testimonianze, ricostruzioni. Altro è avere un testo nero su bianco. In concreto ha deciso l’equipe sanitaria. Non ultimo, c’è il tema dei costi sanitari. Se ci sono situazioni che si protraggono e quel letto grava sul bilancio della sanità, allora si è portati a considerare l’assistenza a una situazione inguaribile non meritevole di essere portata avanti perché anche economicamente insostenibile. Inoltre qui si è errato nel parlare di accanimento terapeutico perché la somministrazione di liquidi nutrienti non è una terapia che cerca di guarire oltre il possibile. Anzi, è un primario sostegno solidale e necessario.

Una Francia che ha alzato la voce anche con l’Onu
«C’era un richiamo da parte del comitato Onu sui diritti per i disabili che aveva chiesto alla Francia gli atti della vicenda giudiziaria per verificare se fossero stati conculcati i diritti di Vincent Lambert. Tra l’altro l’Onu è stato fondato anche dalla Francia. L’aveva invitata a mantenere in vita Lambert e mandare questi documenti perché il comitato potesse valutare la situazione. E lì è venuta fuori una caratteristica dell’amministrazione francese che vuole fare da sola. La Cassazione francese ha risposto dicendo che la richiesta dell’Onu non è cogente. E hanno smesso di sostentare Vincent Lambert per provocarne la morte».

Dal 24 settembre potrebbe entrare in Italia l’eutanasia. Voi siete i firmatari di un documento di recente stesura per riaffermare un sì assoluto e incondizionato alla vita
«Un documento che abbiamo firmato in sei associazioni di area cattolica in comunione con la Cei. Che nasce da un’esigenza. Il rischio dal 24 settembre di avere l’eutanasia in Italia. Tocca fare un passo indietro; al caso di Dj Fabo, tetraplegico che voleva morire. Egli poteva seguire il percorso dell’attuale legge italiana essendo in grado di esprimersi.La nostra legge prevede la possibilità di interrompere terapie e sostegni vitali e comunque, poi, essere accudito fino alla fine anche con le cure palliative. Invece, avendo a fianco i redicali, ha scelto di recarsi in Svizzera e sottoporsi alla pratica del suicidio assistito con la somministrazione di un farmaco letale. Marco Cappato, l’esponente radicale che lo ha accompagnato, è stato accusato del reato di aiuto al suicidio. Il caso è arrivato fino alla Corte costituzionale, che con una procedura davvero unica, ha scritto un’ordinanza in cui si è detta favorevole a non configurare alcun reato nelle vicende come quelle del dj Fabo e di Marco Cappato, invitando il Parlamento a legiferare in proposito. Corte che, dunque, ha dato 10 mesi al Parlamento per fare una legge dicendo: “ci rivediamo il 24 settembre 2019, se una legge non ci sarà, allora depenalizzeremo noi, con una sentenza, le pratiche suicidarie/eutanasiche”. Ecco allora l’esigenza di un documento in cui chiediamo al Parlamento – cosa che non ha fatto sino a ora – di provare almeno ad affrontare il tema in un’ottica diversa da quella di introdurre in Italia l’eutanasia. Ad esempio, in un convegno recente, alla presenza del sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, on. Giorgetti, peraltro molto sensibile al tema, alcuni autorevoli giuristi hanno proposto una qualche differenziazione sul suicidio assistito a seconda che si tratti di un aiuto a chi ha un momento di sconforto e, dunque, va bloccato nel suo gesto inconsulto e non certo accompagnato sull’orlo del baratro; da chi, invece, versa in uno stato di sofferenza, continua, estenuante ed insopportabile: l’aiuto al suicidio rimane in entrambi i casi un reato ma la misura della pena può essere diversificata. Allora è necessario che il Parlamento, prima del 24 settembre, faccia almeno una proposta di legge per giustificare un supplemento di riflessione. Altrimenti la Corte, come ha già detto, il 24 settembre introdurrà l’eutanasia in Italia. Il Parlamento, in leale e doverosa collaborazione con gli altri organi costituzionali dello Stato, non può rimanere silente».

Uno scenario, quello dell’eutanasia in Italia, che gela il sangue…
«Sì, perché annienta la solidarietà umana, perché azzera la libertà che ciascun essere umano ha di fare del bene all’altro. Perché eutanasia vuol dire “armare” qualcuno di un diritto impossibile da gestire quando si versa in una situazione di vulnerabilità come quando si è ammalati. Il diritto all’eutanasia mina alla base in maniera irreversibile le relazioni umane e la solidarietà. “Io voglio essere ucciso”. Se la richiesta diventa diritto, l’altro non può fare nulla, viene annienta la solidarietà di chi vorrebbe dirti: “aspetta, andiamo avanti facciamo un pezzo di strada insieme”. Se una delle due libertà viene “armata” giuridicamente, impedendo la libertà dell’altro, annulla la solidarietà. E poi, soprattutto, apre ad un’orizzonte di scelte di morire che, in tutti i Paesi che l’hanno recepita, è finita per diventare una prassi praticamente abituale davanti a certe patologie. Non dimentichiamoci infatti che la legge incide sulla cultura e le abitudini dei cittadini, facendo diventare regole sociali, ciò che si è concretamente previsto per disciplinare un caso estremo. E che siano casi estremi lo dimostra il fatto che negli ospedali italiani, davanti a situazioni inguaribili, si chiedano soprattutto supplemneti di cure e di terapie. Se cambia la prospettiva in forza di una legge, si finisce per accompagnare verso l’esito finale proprio le persone più deboli e abbandonate. Non è un caso che un magistrato e politico autenticamente “di sinistra” come Luciano Violante abbia sempre definito l’eutanasia come la “morte dei poveri”».

Fonti: AgenSIR e Famiglia Cristiana

Alberto Gambino ha partecipato alla puntata del 12 luglio 2019 di Unomattina Estate (Rai 1) per discutere del caso di Vincent Lambert e di eutanasia. Di seguito il video con i suoi interventi.

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