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Rito sportivo, stress, ansia, tecnologie. Intervista al Prof. Attilio Scuderi.

In relazione al convegno su “Sport, diritto e nuove tecnologie mediche” tenutosi lo scorso 21 ottobre, abbiamo intervistato il Prof. Attilio Scuderi approfondendo il Suo intervento: Rito sportivo, stress, ansia, tecnologie

Il Professor Attilio Scuderi è associato di Critica Letteraria e Letterature Comparate dell’Università di Catania, Sezione di appartenenza: Lingue e letterature straniere e studi comparatistici e culturali. Eletto dal Consiglio d’Amministrazione quale componente del Presidio per la Qualità dell’Università di Catania nel quadriennio 2017-2021. Rieletto nel novembre 2021 per il quadriennio 2021-2025 (scadenza novembre 2025). Componente del direttivo nazionale di Compalit – Associazione di Teoria e Storia Comparata della Letteratura (triennio 2019-2022) – per il quale si occupa anche della sezione Compalit Scuola.

 

Quale apporto può dare la letteratura nell’equilibrio e negli scambi tra tecnologia, diritti e sport? 

Va detto, prima di ogni cosa, che la letteratura non è un campo chiuso per filologi e topi di biblioteca, ma è piuttosto il campo più antico e aperto del sapere e della conoscenza umana; come ha scritto uno dei maggiori critici dei nostri giorni “la letteratura è un punto di snodo, un  momento d’ingresso in altri mondi, non di chiusura. La letteratura infatti si interessa, da sempre, da prima che queste sfere della conoscenza avessero nome e statuto, di psicologia e antropologia, sociologia e governo della cosa pubblica, ambiente e salute, relazione tra corpo, mente, tecnologia e riti della competizione atletica. Questo perché appunto, come ci ricorda un grande romanziere recentemente scomparso, Javier Marìas, “la letteratura è una forma di pensiero che ci accompagna da secoli e a cui il mondo non può rinunciare; ci sono cose che conosciamo solo perché il mito e la letteratura ce le hanno mostrate o ci hanno consentito di prenderne coscienza e di riconoscerle.” Ad esempio, per entrare nel nostro tema, i poemi omerici – quella una gigantesca grammatica delle relazioni sociali, mentali, simboliche, religiose ed estetiche del mondo antico e delle origini della nostra civiltà – al loro interno segnano una presenza costante del rito sportivolo sport è infatti per i Greci un rito religioso e sociale distintivo della loro identità, come testimonia  la nascita dei giochi olimpici nell’VIII sec. a. C.

 

L’uomo, come da Lei definito nel Suo intervento, è un paradigma bioculturale aperto che si costruisce tramite l’imitazione, la lettura delle altre intuizioni e la capacità simulativa del mondo che lo circonda. A Suo avviso che impatto ha l’utilizzo della tecnologia nel processo di costruzione dell’atleta nel suo processo di sviluppo? A cosa bisogna prestare maggiore attenzione?

L’uomo è un paradigma bioculturale aperto (l’uomo è per natura un essere culturale) che si costruisce “atleticamente” tramite l’imitazione dei conspecifici e delle altre specie, il sollievo del gioco, la capacità di simulazione e di lettura delle altrui intenzioni. Per fare questo l’uomo ibrida, mescola, contamina da secoli le sfere dell’esperienza animale (la teriosfera), dei fenomeni naturali (la biosfera) e degli strumenti protesici e tecnologici (la tecnosfera). Potremmo dire che l’uomo – l’antroposfera – sia l’intreccio e la relazione di queste sfere dell’esperienza vivente. Vorei risponderle a partire da un esempio, tratto dall’immaginario popolare. In un film di una quarantina d’anni fa – pessimo ma significativo come molte favole di massa -, dal titolo Rocky IV, si racconta dello scontro tra due atleti, due pugili: uno, ben più forte e favorito, che prepara il suo fisico cibernetico nella sfera asettica di una palestra ipertecnologica; l’altro, ben più debole e svantaggiato, che sceglie invece un training iper-empatico, a contatto con natura, elementi, emozioni. Vincerà il secondo, a dispetto (lo ricorderanno i più anziani come me) della minaccia del primo di “spiezzarlo in due”. L’uso della tecnologia nel processo di costruzione dell’individuo atleta, della giovane e del giovane, della donna e dell’uomo atleta, deve costantemente – a mio modesto parere – fare i conti con il paradigma bioculturale dell’uomo (e dello sportivo): cioè col bisogno originario e incancellabile di ogni pratica sportiva (che è insieme sollievo da ansia e stress, gioco e conoscenza,), di produrre, promuovere e valorizzare quell’incontro tra uomo e altre sfere dell’esperienza vivente, a partire dall’avversario che si sfida e ci sfida.

 

 

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