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Osservazioni in margine alla procreazione assistita mediante inseminazione eterologa

di Marcello M. Fracanzani

Relazione presentata al convegno “La fecondazione eterologa tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, svoltosi il 2 aprile 2012 all’Università Europea di Roma.
La questione che verrà presto alla cognizione della Corte costituzionale italiana riprende quanto già scrutinato con attenzione dalla CEDU nel caso S.H. ed altri contro Austria (caso 57813/00, sentenza della Grande Chambre in data 3 novembre 2011).
1. Molto è stato scritto sull’argomento con particolare riguardo al diritto di procreare quale completamento della vita di coppia, anche quando le condizioni fisiche di uno o di entrambi i partners non consentono la fertilità naturale. In questo senso, com’è noto, diversi Paesi, hanno adottato disposizioni che regolano la procedura sanitaria per intraprendere una fecondazione assistita, con o senza ricorso al materiale genetico altrui.
Parimenti noto, e genericamente accetato, il potere accordato dalla CEDU agli Stati contraenti di limitare i diritti fondamentali di cui agli articoli da 8 a 11 (ove si si iscriverebbe anche quello che oggi ci occupa), in funzione di tutela delle esigenze indicate dalla stessa Convenzione e nella misura necessaria per una società democratica.
2. In quest’ambito si iscrive anche la legge 40/2004, con cui l’Italia ha disciplinato la materia, dopo lungo ed articolato dibattito ed una convocazione referendaria. Fino ad oggi tutti gli argomenti addotti per superare i limiti della disciplina nazionale sembrano circoscriversi all’interno dell’immotivata disparità di trattamento, secondo la formula che potremmo così riassumere: “non si vede perché la coppia sterile che potrebbe avere un figlio con materiale genetico altrui debba essere discriminata rispetto alla coppia che potrebbe avere un figlio ricorrendo a materiale genetico proprio, impiantato con l’ausilio medico.” Su questo argomento si intessono una serie di varianti, le ultime delle quali, in ordine cronologico, appaiono bene esposte nell’ordinanza di rinvio alla Consulta originata dalla Corte d’Appello di Milano, più che in quelle dei giudici di Firenze o Catania. Vi si espone la violazione del parametro di costituzionalità di cui all’art. 117 Cost., l’impossibilità del recepimento automatico della Convenzione con disapplicazione della legge nazionale, per il limite dell’interpretazione abrogatrice che non è (ancora) consentita al giudice interno, donde la necessità di stimolare l’intervento della Consulta, ma ancora una volta – fondamentalmente – sull’irragionevole disparità di trattamento tra coppie con diverso grado di aiuto che necessitano per procreare.
Per mere esigenze di brevità e chiarezza (comunque senza alcun fondamento medico, né tantomeno, con alcun significato dispregiativo), in prosieguo chiamerò “semisterile” la coppia che necessità di materiale genetico altrui, “infeconda” la coppia che con materiale genetico proprio, ma aiuto medico, potrebbe procreare un figlio.
3. A me sembra che in termini di stretto confronto fra coppie, la questione sia malposta. Ed in effetti, l’argomento della disparità di trattamento, irragionevole ed odiosa, fra la semisterile e l’infeconda, si presenta come assai suggestivo e ficcante. Ma non convincente.
Nella tutela dei diritti CEDU occorre fare riferimento al bilanciamento che la pretesa del riconoscimento del diritto di uno ha nei confronti della sfera giuridica di altri o della società. Solo in questi termini ha senso l’espressione “nella misura in cui sia necessario per una società democratica” con cui la Convenzione EDU prevede e consente il potere statale di limitazione ai diritti da essa stessa affermati.
Orbene, a me sembra che nel confronto fra le coppie siano stati dimenticati almeno due “convitati di pietra”: il donatore ed il figlio nato con materiale genetico altrui. Si tratta di posizioni giuridiche soggettive che debbono essere esaminate attentamente per vedere: 1) se il confronto fra coppia semisterile e coppia infeconda sia veramente fra termini omogenei e quindi corretto sotto il profilo logico prima che giuridico; 2) se il diritto reclamato dalla coppia semisterile sia lesivo di situazioni giuridiche altrui, tali da sconsigliarne il riconoscimento, secondo quanto previsto dalla stessa Convenzione.
In questo senso, già è stato affermato in più sedi (ed anche dalla CEDU nella sentenza sopra segnata) che la procreazione ad ogni costo non è un diritto, posto che non è essenziale né connaturale alla vita di coppia la procreazione, seppure conforme all’id quod plaerumque accidit. Ma occorre qui indagare su chi incide la pretesa di procreare, avanzata dalla coppia semisterile.
In primo luogo si deve guardare al donatore. Sostenuto dall’animus donandi egli fornisce il materiale genetico alla coppia semisterile e l’anonimato ne è il presupposto. Gli è inibita ogni ricerca del figlio venuto al mondo con quanto egli ha donato, tanto che la legge italiana 40/2004, all’articolo 9, dispone il riconoscimento come figlio naturale del nato con fecondazione eterologa in violazione della legge e vieta, specularmente, l’azione di disconoscimento di paternità, inibendo ogni ricerca di legame parentale con i genitori genetici. La circostanza che il legislatore interno si sia preoccupato di regolare il caso, denota la sua probabilità di accadimento, ponendo delle urgenti domande. Fino a che punto il donatore o i donatori sono legati all’animus donandi che ha sostenuto il loro primo atto? Dall’atto di liberalità sorgono veramente obbligazioni irreversibili? Anche di fronte allo stato di necessità in cui versa o può versare il genitore genetico, deve restare sempre inibita la ricerca del legame parentale? Inibita fino anche a dover rinunciare da parte loro alla ricerca di quel figlio genetico a cui si potrebbe richiedere, per esempio, il trapianto di midollo che potrebbe salvar loro la vita? A me pare che l’anonimato del o dei genitori genetici non trovi una copertura giuridica forte tale da escludere una sua o loro intromissione nella nuova famiglia, a tutto discapito della coppia semisterile, che rischia di vedere incrinato e delegittimato il rapporto genitoriale con il (comunque) concepito, magari ormai nato e cresciuto.
4. Per converso, il procreato da coppia semisterile a seguito di fecondazione eterologa appare anch’egli titolare di diritti fondamentalissimi alla ricerca della propria identità e storia genetica, sia per necessità patrimoniali assistenziali, sia per superiori esigenze di salute che impongono di accertare la parentela genetica per prevenire o curare situazioni patologiche di cui la persona frutto di fecondazione eterologa sia o possa essere affetta.
Anche in questo caso vi sono esigenze di ricerca del legame parentale genetico che scalfiscono ed incrinano il rapporto genitoriale con la coppia semisterile, delegittimandone il ruolo. E ciò in disparte le rivendicazioni che il nato da fecondazione eterologa potrebbe muovere contro i genitori legali, aggravando magari i rapporti nel periodo adolescenziale e favorendo la pretesa di “una vita diversa”. Così come ritengo di tenere in secondo piano altri casi, non improbabili, in cui la notorietà del figlio o del genitore genetico possono suscitare appettiti di mera convenienza patrimoniale a squarciare il velo che il legislatore pone a riparo delle situazioni giuridiche soggettive della coppia semisterile. Perché infatti, il reclamato diritto alla fecondazione eterologa richiede la compulsione di diritti fondamentali (alla propria identità, alla tutela della propria salute, all’assistenza) o meramente patrimoniali.
In conclusione – esclusa perché fuorviante l’indagine sull’obbligazione giuridica assunta dal medico – il confronto fra coppia infeconda e quella semisterile non è fra termini omogenei e quindi non è tale da poter essere assunto a valido scrutinio di una irragionevole disparità di trattamento. Infatti, a differenza di quanto accade nella coppia infeconda, l’affermazione del diritto della coppia semisterile alla procreazione (con materiale genetico altrui) coinvolge i diritti giuridici soggettivi di persone ad essa terzi (quali il donatore o i donatori ed il figlio) alla ricerca dei legami parentali, con tutti i profili morali, patrimoniali ed assistenziali che essa comporta. La sostanziale diversità quindi tra situazioni giuridiche coinvolte nella procreazione della coppia semisterile e di quella infeconda esclude in radice una disparità di trattamento: essendo sostanzialmente e giuridicamente diverse le premesse, logico che siano distinte le conseguenze, legittima quindi la diversa disciplina giuridica di trattamento che esclude la fecondazione eterologa per quella semisterile, consentendo solo l’omologa per l’infeconda.
Preciso: non intendo qui proporre la graduazione dei diritti del concepito o del donatore, rispetto alla coppia semisterile che è ricorsa a fecondazione eterologa. Affermo solo che con tale tecnica sorgono rapporti giuridici rilevanti connessi alla ricerca del legame parentale genetico, di cui ho fatto solo alcuni esempi. A me basta attirare l’attenzione sulla circostanza che tali rapporti (fra i diritti della coppia alla procreazione e i diritti del concepito e omega replica dei genitori genetici) possano esserci nella coppia semisterile, per distinguere la sua pretesa alla procreazione da quella della coppia infeconda, che tali rapporti e tali relazioni non causa. E tanto mi basta per affermare come sia mal posta l’affermata disparità di trattamento fra la fecondazione omologa e l’eterologa rispetto al diritto proclamato dalla coppia: solo nella seconda (e non nella prima) l’affermazione del diritto coinvolge compulsa e limita diritti fondamentali dei terzi. E tale condizione è necessaria e sufficiente, a mente della stessa Convenzione EDU (art. 8-11) per ritenere adeguata e ragionevole la previsione interna che limita un diritto fondamentale.
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