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Creatività e contenuti in rete

di Alberto M. Gambino Sommario:

  1. Il problema del diritto d’autore nel web; il dilemma digitale: il diritto di autore e la tutela del diritto alla conoscenza, della libertà di espressione e del diritto di cronaca
  2. Accessibilità ai contenuti creativi ed alla conoscenza nel nuovo ambiente tecnologico. Una possibile soluzione per riequilibrare il sistema
  3. Nozione delle Eccezioni e Limitazioni
  4. Il Fair Use
  5. Modello statunitense e modello comunitario a confronto
  6. Poteri di vigilanza dell’AGCOM in materia di diritto d’autore.

1. Il problema del diritto d’autore nel web; il dilemma digitale: il diritto di autore e la tutela del diritto alla conoscenza, della libertà di espressione e del diritto di cronaca.

L’affermazione globale di internet e la rapida diffusione delle reti di comunicazione elettroniche, che hanno innovato il sistema di produzione e fruizione della cultura hanno posto le basi di quello che oggi è conosciuto come “dilemma digitale” [1] del diritto di autore, ossia come la necessità di ricercare un giusto equilibrio tra diffusione dei contenuti e tutela della proprietà intellettuale nel nuovo contesto telematico. È infatti sempre più complesso il bilanciamento tra i diritti specifici dell’autore e quelli generali della collettività che è portata a considerare la cultura come bene di fruizione più che di appartenenza. Tuttavia, il quadro normativo attributivo di entrambi i diritti non pare essere messo in crisi dalla sfida portata dalle nuove tecnologie. Basti considerare che oggetto del diritto di autore sono, ai sensi della legge 22 aprile 1941 n. 633 (da ora anche solo LDA), le opere dell’ingegno di carattere creativo «qualunque ne sia il modo o la forma di espressione», essendo così possibile ricomprendervi le opere digitali e confermando, pertanto, l’adattamento della disciplina di settore al mutare del nuovo ambiente dell’online. Sono però le norme che rendono operativi detti principi, in quanto più specifiche e tecniche, ad essere soggette ad un inarrestabile fenomeno di obsolescenza e dunque a necessitare di un adattamento al rinnovato contesto delle nuove tecnologie.

2. Accessibilità ai contenuti creativi ed alla conoscenza nel nuovo ambiente tecnologico. Una possibile soluzione per riequilibrare il sistema.

Per cercare di affrontare il menzionato dilemma digitale – e dunque garantire accessibilità ai contenuti autorali ed incentivare l’offerta lecita avvalendosi dei vantaggi legati alle nuove tecnologie – è opportuno che gli utenti finali abbiano piena contezza di quali sono i comportamenti leciti in Rete e di quanti costituiscono, invece, una violazione dei diritti degli autori. In tale ottica, muove il tema legato alle eccezioni e limitazioni, quali strumenti di demarcazione tra il lecito e l’illecito. Le eccezioni, sono un’essenziale «valvola di sfogo» del sistema del diritto di autore e conseguentemente elemento portante di un mercato equilibrato e simmetrico, essendo volte a consentire utilizzazioni altrimenti vietate – stante il regime di esclusiva – in funzione di interessi costituzionalmente garantiti, come l’ informazione, la ricerca e l’insegnamento, l’accesso alla cultura. Limitazioni ed eccezioni al diritto d’autore forniscono quindi un meccanismo rivolto all’eliminazione di posizioni anti-concorrenziali sul mercato e, al contempo, espresse ipotesi di bilanciamento tra i diritti autorali e quelli della collettività. Allo stato attuale, tuttavia, si registra un disallineamento tra il «sistema» delle eccezioni e limitazioni in ambiente online ed offline [2] a discapito proprio della corretta accessibilità ai contenuti creativi. La ragione che ha determinato tale disarmonia è legata al fatto che gli artt. 65 e ss LDA presuppongono vincoli impliciti di carattere materiale legate alla tecnica reprografica, oggi, ampiamente superata. La realizzazione di copie di opere letterarie, musicali, audiovisive era all’epoca della redazione della LDA costosa in termini di tempo e di risorse. Per altro le copie comunque realizzate risultavano qualitativamente inferiori rispetto agli originali e difficilmente potevano avere un uso in concorrenza con lo sfruttamento del titolare del diritto. Ciò ovviamente non accade in ambiente digitale, dove i file possono essere copiati infinite volte, a costi tendenti allo zero, senza mai subire una perdita qualitativa. Tale disarmonia è da rinvenirsi anche nella risposta del legislatore alla rivoluzione tecnologica, recepita sul versante della definizione delle facoltà che competono ai titolari dei diritti ma non su quello delle eccezioni e limitazioni [3]. Su queste ultime, infatti, il legislatore internazionale, comunitario e nazionale – presumibilmente temendo un estensione indiscriminata di utilizzazioni dell’opera al di fuori del controllo del titolare dei diritti – ha esercitato una vera e propria opzione negativa, limitando le eccezioni alle utilizzazioni tradizionali, salva l’unica eccezione obbligatoria al diritto di riproduzione. Probabilmente, nel timore che le eccezioni potessero rappresentare una grave breccia nella gestione dei diritti di autore, il legislatore ha preferito delineare come libere e lecite le sole utilizzazioni – ormai in gran parte del tutto obsolete – esercitabili in ambiente non digitale, quindi al di fuori della Rete portando, tuttavia, al paradosso che comportamenti leciti in ambiente analogico, rischiano di essere atti di pirateria in ambiente telematico. Calando quanto appena evidenziato nella normativa nazionale basta osservare come sia esclusa, proprio con riferimento alle utilizzazioni delle opere online, la rimozione delle Misure Tecniche di Protezione (o Digital Rights Management DRM) dell’opera dell’ingegno. Solo con riferimento alla valutazione della liceità delle utilizzazioni online il legislatore ha adottato il c.d. three steps test di cui all’art. 71nonies a mente del quale «le eccezioni e limitazioni disciplinate al presente capo e da ogni altra disposizione della presente legge, quando sono applicate ad opere o ad altri materiali protetti messi a disposizione a disposizione del pubblico in modo che ciascuno vi possa avere accesso dal luogo o nel momento scelti individualmente, non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere e degli altri materiali ne arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei titolari». Pertanto, uno degli obiettivi comuni per riequilibrare il sistema del diritto di autore è riportare in un rapporto di simmetria le eccezioni e limitazioni con lo ius excludendi omnes alios dell’autore, così da garantire che la cultura nel web sia legittimamente accessibile e le problematiche del diritto di autore nel contesto telematico siano risolte [4].

3 . Nozione delle Eccezioni e Limitazioni.

Le «eccezioni e limitazioni», come anticipato al precedente paragrafo, rappresentano tutti quegli utilizzi consentiti dalla legge in deroga ai diritti dell’autore e ai diritti connessi e sono regolate nel nostro ordinamento dal Capo V del Titolo primo della LDA, sez. I, rubricata «Reprografia ed altre eccezioni e limitazioni» negli artt. 65-71decies LDA. Si tratta della manifestazione più esplicita della diade di diritti dell’uomo che la disciplina sul diritto d’autore deve contemplare: da un lato la tutela della proprietà intellettuale e dall’altro la tutela del diritto alla conoscenza da parte di ogni essere umano, entrambi diritti fondamentali, già così delineati nella Dichiarazione universale dei diritti umani nel 1948. Si usa distinguere tra «eccezioni e limitazioni» che tutelano interessi generali e altre che interessano gli «usi privati». Fra le prime vengono in rilievo le deroghe all’esclusiva finalizzate alla didattica, alla discussione, alla critica, all’insegnamento o alla ricerca scientifica, ovvero alla pubblica informazione; fra le seconde si annoverano, invece, quella relativa alle fotocopie di opere letterarie (art. 68 LDA), nonché le norme previste in materia di copia privata, le eccezioni in favore dei portatori di handicap e quelle che consentono la riproduzione delle emissioni radiotelevisive in ospedali pubblici e istituti di prevenzione e pena. L’utilizzazione dell’opera talvolta è libera e gratuita, talaltra presuppone una degradazione del diritto esclusivo d’autore in un semplice «diritto di compenso», ma comunque non incidono mai sui diritti morali di autore (di per se intangibili) [5]. Secondo prevalente dottrina e uniforme giurisprudenza, le norme recanti «utilizzazioni ed eccezioni» devono sempre essere interpretate in modo restrittivo attesa la loro qualificazione come norme di natura eccezionale, non suscettibili di interpretazione analogica. Gli usi consentiti per libere utilizzazioni riguardano riassunto, citazione, riproduzione di brani a scopo di insegnamento, esecuzione, rappresentazione o recitazione di opere e spettacoli nella scuola (cerchia familiare), accesso e consultazione banche dati, riproduzione di software per uso didattico (temporanea e in ambito ristretto) oltre alla riproduzione, al prestito e ad alcune altre eccezioni al diritto di comunicazione per scopi di studio e di ricerca, come vedremo meglio nel seguito. La disciplina contenuta nella LDA su eccezioni e limitazioni al diritto di riproduzione degli autori (o degli editori se vi è stata cessione) è state innovata dall’art. 9 del D. Lgs. 9 aprile 2003 n. 68, che ha recepito la Direttiva 2001/29, in forza del quale le operazioni effettuabili senza autorizzazione e senza corresponsione di compenso sono:

  • riproduzione di articoli di attualità, carattere economico, politico, religioso pubblicati su giornali o riviste (se ne deve indicare la fonte);
  • riproduzione di discorsi politici o amministrativi, indicando autore, data e luogo;
  • riproduzione di opere, indicandone la fonte, nel corso di procedure giudiziarie;
  • citazione, riassunto o riproduzione di brani o parti di opere, citando la fonte e non per fini economici.

  Anche la riforma del 2003, tuttavia, ha omesso di fornire strumenti in grado di far sapere all’utente della Rete se l’opera di cui il soggetto intende fruire sia ancora soggetta al diritto d’autore. In questo senso, merita particolare menzione l’art. 70 LDA che legittima il riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali. Nel 2008 [6] tale ultimo inviso è stato specificato dal comma 1bis in forza del quale in caso di «pubblicazione attraverso la rete internet» le immagini o le musiche (usate per finalità illustrative e non per fini commerciali) devono essere a «bassa risoluzione o degradate» [7]. Tale modifica palesa la scarsa capacità di dare indicazioni precise agli utenti in ordine alla liceità o meno di determinati comportamenti in Rete ed ha, infatti, sollevato notevoli critiche da parte di tutti gli studiosi del settore. Nella sezione II del Capo V, rubricata «riproduzione privata ad uso personale», sono, invece, regolate le eccezioni per usi privati (c.d. copia privata); gli artt. 71quinquies e seguenti, consentono la riproduzione privata di fonogrammi e videogrammi su qualsiasi supporto, effettuata da una persona fisica per uso esclusivamente personale, purché senza scopo di lucro e senza fini direttamente o indirettamente commerciali, nel rispetto delle misure tecnologiche e dietro compenso (quota del prezzo pagato dall’acquirente finale al rivenditore o importo fisso per apparecchio). Tutte le eccezioni e limitazioni, ai sensi dell’art. 71nonies, quando sono applicate ad opere o ad altri materiali protetti messi a disposizione del pubblico in modo che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelto individualmente (digitale), non devono essere in contrasto con lo sfruttamento normale delle opere o degli altri materiali, né arrecare un ingiustificato pregiudizio agli interessi dei titolari secondo il three step test e, dunque, solo: 1) in determinati casi che; 2) non contrastino con il normale sfruttamento dell’opera; e che 3) non arrechino ingiustificato pregiudizio ai titolari dei diritti. Tale test si caratterizza per una natura open ended e dunque può essere letto anche dando maggior risalto alla funzione di bilanciamento degli interessi non solo dei titolari ma anche della ricerca e della conoscenza. Quanto più la destinazione della domanda di accesso corrisponda ad un interesse collettivo fortemente garantito sul piano costituzionale (si pensi alla libertà di ricerca)  l’accesso dovrà essere tanto meno (o, in casi estremi, per nulla) oneroso.

4. Il Fair Use. Brevi cenni.

La nascita del fair use negli Stati Uniti si registra verso la fine del XIX secolo, quando assunse rilevanza centrale nel diritto dell’autore il valore di mercato dell’opera, così superando la precedente visione che riduceva la portata del diritto alla protezione delle riproduzioni letterali o evasive [8], la c.d. fair abdridgement doctrine. La giurisprudenza statunitense, con i casi Gray v. Russel [9] e Folsom v. March [10], prese una nuova coscienza del significato del copyright, e cercò pertanto di espandere la tutela del diritto dell’autore, in modo tale da proteggere l’essenza dell’opera e la sua valenza economica, andando a qualificare alcune condotte di riproduzione come non illegittime. Nel secondo caso vennero inoltre indicati i parametri cui le Corti devono fare ricorso per decidere se l’estrapolazione da un’opera protetta sia illegittima, prendendo in esame, secondo il four factor test, (i) la natura e (ii) l’oggetto di tale selezione, (iii) la quantità e il valore del materiale utilizzato, (iv) il grado in cui l’uso possa arrecare pregiudizio alla vendita o diminuirne il profitto, o sostituirne l’oggetto. L’introduzione del fair use non fu, quindi, solo coincidente all’espansione del diritto accordato agli autori, ma fu uno strumento fondamentale alla base di questa espansione: provocò infatti un’estensione del diritto dei titolari, proprio stabilendo un principio limite che subordinava l’interesse pubblico all’uso dell’opera, all’interesse economico dell’autore [11]. Il ruolo strutturale del fair use è stato visto in prospettiva della regolazione dell’utilizzo di opere protette nella sfera privata, ed in tale ottica ne è stata fatta applicazione dai giudici, riuscendo a sviluppare la disciplina del copyright in modo molto più specifico e sottile, rispetto ai risultati che avrebbe potuto ottenere il Congresso intervenendo astrattamente ex ante. In tale modo, sono state delineate due importanti caratteristiche del fair use: in primo luogo, la sua funzione di contrappeso che permette diritti d’autore più flessibili. In secondo luogo, questa flessibilità è stata raggiunta tramite una delega del Congresso di funzioni di policy-making ai giudici. Molte teorie hanno giustificato il fair use come soluzione a fallimenti del mercato [12]: di fronte a situazioni di fallimento quali gli alti costi di transazione per il raggiungimento delle negoziazioni nel mercato, ampie esternalità che non possono essere internalizzate all’interno di uno scambio che ci si aspettava, o l’esistenza di interessi non monetizzabili che non sono inseriti all’interno della negoziazione tra le parti, il fair use rileva proprio perché permette usi non autorizzati di opere protette da copyright, che altrimenti sarebbero illegittimi. Occorre tenere in mente che la tutela del copyright si realizza garantendo il monopolio sullo sfruttamento dell’opera all’autore, ed in questo modo produce un’artificiale scarsità di copie dell’opera, al fine di garantire agli autori la possibilità di ottenere guadagni superiori al costo marginale che essi affrontano nei meccanismi di produzione [13]. Il fair use agisce, in questi casi, consentendo una crescita di consumo che superi il danno derivante dalla riduzione della produzione, cioè che in sostanza non comporti gravi perdite alla produzione delle opere protette. Permette inoltre agli autori di costruire sulle opere dei propri predecessori [14], promuove i valori sociali di un sistema democratico ed evita la nascita di possibili dubbi costituzionali sulla struttura della normativa autoriale [15]. Le corti hanno spesso distinto tra usi produttivi, trasformativi, ed usi non trasformativi, trovando molto più semplice giustificare eccezioni al copyright per i primi che non per i secondi. Nel noto caso Campbell v Acuff-Rose Music, Inc. [16], la Corte portò alla base del proprio ragionamento la distinzione tra usi non trasformativi e trasformativi, notando infatti la minore capacità dei primi, per esempio nel caso di fotocopie o riproduzioni tramite videoregistratore, ad aggiungere qualcosa al patrimonio culturale da offrire alla società. A differenza delle eccezioni e limitazioni, quindi, il fair use  esula da qualsiasi possibilità di definizione teorica, mentre all’atto pratico presuppone un insieme di criteri che dovrebbero rifarsi ad un generale principio di equità e di bilanciamento degli interessi in contrasto, tessendo una serie di limiti al copyright in ragione del suo stesso scopo: lo sviluppo e la diffusione della cultura. Con l’introduzione del c.d. four factor test, nella Sezione 107 del Copyright Act del 1976, si è tentato di codificare a livello normativo la difesa del fair use contro le violazioni del copyright, in quanto, tale difesa, rappresenta la più importante limitazione agli straordinariamente estesi diritti garantiti ai titolari delle opere dalla sezione 106 dell’Act.  La maggior parte delle azioni poste in atto dagli utenti, per i risvolti economici e di tipo comunicativo che le caratterizzano, rischierebbero infatti di costituire una violazione di questi diritti senza la presenza della difesa del fair use. La Sezione 107 del Copyright Act fornisce quattro criteri per la determinazione del fair use, senza tuttavia ritenerli esaustivi ne vincolanti, ma puramente esemplificativi [17]. Essendo stata la forza della fair use doctrine riconosciuta nella sua flessibilità, grazie alla quale bilanciare gli interessi degli autori con quelli degli utenti (nonché potenziali nuovi autori) [18], resta tuttavia da chiedersi se, effettivamente, l’introduzione del c.d. four factor test della Sezione 107 abbia in qualche modo vincolato l’analisi delle corti, e se l’attuale configurazione del fair use, dipendendo all’atto pratico da una valutazione dei giudici, garantisca realmente una elasticità al sistema delle eccezioni al copyright americano. In questa prospettiva, analizzando i casi giurisprudenziali, è emerso come i giudici riconoscano chiaramente che il four factor test non debba essere applicato alla lettera, e come del resto, per via della sua interpretazione, il test dovrebbe semplicemente fornire piccole linee guida per poter predire se un particolare utilizzo sarà ritenuto fair. Pertanto, se da un lato si è notato positivamente come l’atteggiamento c.d. non «rule-liking» adottato dal Congresso eviti problemi di sovra/sotto inclusività normativa, dall’altro lato è stata criticata da molti l’incertezza concreta prodotta da questo sistema, il cui problema sembra destinato ad aumentare progressivamente nel mondo digitale, data l’invocazione della difesa del fair use in una molteplicità di nuove situazioni. Nei casi di violazione del copyright il tasso medio di vittoria della difesa del fair use è piuttosto basso. Va infatti sottolineato come il numero di casi di fair use non sia particolarmente alto, a dispetto dell’ampio numero di violazioni del copyright accertate. Ciò è dovuto in gran parte al fatto che molte dispute sul fair use non raggiungono le corti, cioè non prendono forma di azioni legali. La non prevedibilità dei risultati di tali azioni processuali, la gravità delle somme da pagare in caso di affidamento sbagliato sul fair use e la mancanza di incentivi per difendere nuove interpretazioni del fair use, portano infatti la maggioranza degli utenti ad accettare patteggiamenti a seguito delle numerosissime minacce legali dei titolari del copyright.

5. Modello statunitense e modello comunitario a confronto.

Rispetto al sistema statunitense appena delineato il sistema delle eccezioni al copyright viene interpretato in modo più rigido e restrittivo, e la creazione di qualsiasi ulteriore eccezione, in assenza di apposita previsione legislativa, risulta impossibile. L’articolo 5.5 della Direttiva 2001/29/CE, stabilisce che l’utilizzo delle eccezioni e limitazioni al copyright debba essere conforme alle obbligazioni in vigore a livello internazionale, e che tali limitazioni ed eccezioni siano applicabili (i) solo in certi casi, (ii) senza essere in conflitto con il normale sfruttamento dell’opera, e (iii) senza causare un irragionevole pregiudizio ai legittimi interessi del titolare dei diritti, pertanto sembrando così confermare la natura restrittiva delle eccezioni. Non è chiaro se questo three step test sia rivolto solo ai legislatori nazionali o invece anche ai giudici, per i quali, nel caso, dovrebbe fungere da principio guida per l’applicazione della legge, allo stesso tempo rappresentando tuttavia un rischio, poiché le eccezioni del copyright possono essere messe in discussione dai giudici stessi [19]. Ci si è chiesti quindi se le tre condizioni dovessero essere applicate singolarmente oppure congiuntamente, così generando diversi timori sull’eccessiva rigidità che ne deriverebbe. Nel caso Google Inc. v. Copiepresse, si sostenne che, analizzando l’eccezione a scopo di citazione e critica, le suddette condizioni debbano essere applicate cumulativamente, sottolineando come i presupposti di validità di tale eccezione debbano essere interpretati restrittivamente [20]. Tale applicazione del three step test da parte della corte non passò quindi priva di critiche, e rende perfettamente l’idea del rischio che questo strumento legale rappresenta se applicato impropriamente. Ciò che preoccupa infatti non è il ricorso al three step test, ma il modo in cui è stato utilizzato. L’astratto riferimento al concetto di sfruttamento dell’opera porta ad intravedere dei rischi di arbitrarietà, poiché se da un lato è ovvio che il nuovo ambiente digitale comporta dei rischi per i titolari delle opere, ciò non dovrebbe permettere la neutralizzazione di un limite imposto dalla legge, e per di più senza una motivazione ben argomentata. In conclusione, dovrebbe affermarsi come il three step test, se concepito correttamente, potrebbe assicurare una certa flessibilità alla previsioni normative in tema di limiti del diritto d’autore, e pertanto costituire un interessante strumento per garantire l’equilibrio del copyright. In particolare, notando come la regolamentazione del copyright, per quanto riguarda i diritti, è stata oggetto di numerosi interventi di aggiornamento alle modificate esigenze della società dell’informazione, che porta ad una costante estensione degli stessi diritti, il campo delle eccezioni è rimasto confinato ad un concetto ristretto. Se si è spesso sottolineato come il copyright stia andando verso una crisi di legittimità, risulta di grande importanza garantire che il sistema tenga conto di un certo numero di valori fondamentali, e pertanto è necessario che i giudici siano in grado di disporre di una serie di strumenti per aggiustare lo scopo e ristabilire il giusto equilibrio degli interessi coinvolti. In questa prospettiva nel caso Google v. Caching, la Corte d’Appello di Barcellona spiegò come il three step test non debba funzionare solo per regolare lo scopo delle eccezioni esistenti, ma anche per modificare ed imporre limiti al diritto di esclusiva dell’autore. Ciò permetterebbe la combinazione della sicurezza di un sistema chiuso di eccezioni con la flessibilità del sistema del fair use, rendendo possibile che l’applicazione dei limiti venga temperata non solo in relazione all’interesse economico del titolare dei diritti, ma anche tenendo conto dei diversi interessi degli utenti. Si è così prospettata la soluzione di leggere il test come se individuasse una serie di fattori che il giudice debba tenere in considerazione seguendo il modello della fair use doctrine [21]. Come notato per il fair use, tale impostazione porterà ad una significativa incertezza normativa, e ad una difficoltà di previsione dei risultati di un’azione legale, sottoponendo gli utenti, interessati ad un certo utilizzo, ai c.d. chilling effects, ma sarebbe il prezzo da pagare per una maggiore elasticità del sistema. Non si vuole arrivare a sostituire la lista di eccezioni con un criterio generale, poiché nella maggioranza dei casi l’uso in questione cadrà nell’ambito di applicazione dei limiti legali, tuttavia in certe ipotesi sarebbe desiderabile un criterio di maggior apertura, che porti il sistema a divenire più elastico, soprattutto adeguandosi alle nuove circostanze.

6. Poteri di vigilanza dell’AGCOM in materia di diritto d’autore.

Il D.lgs. n. 70 del 2003, nel disciplinare specifiche fattispecie di responsabilità degli internet provider (art. 14: nell’attività di semplice trasporto – mere conduit; art. 15: nell’attività di memorizzazione temporanea – caching; art. 16: nell’attività di memorizzazione di informazioni – hosting), attribuisce all’Autorità «amministrativa, avente funzioni di vigilanza» il potere di «esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore […] impedisca o ponga fine alle violazioni commesse». Ne consegue la legittimità del «doppio binario», autorità giudiziaria – autorità amministrativa, ove tuttavia inteso non come espressione di un potere dell’autorità amministrativa genericamente alternativo a quello dell’Autorità giudiziaria, ancorché non sostitutivo di esso, ma di un potere che, nei limiti dettati dalla legge e dalle previsioni regolamentari finalizzate al conseguimento dello scopo, ma sempre all’interno della cornice fissata dalla normativa primaria, ben può in concreto, a mezzo delle singole misure, intervenire e mostrarsi alternativo. L’esercizio di tale potere presuppone, dunque, il bilanciamento del diritto d’autore con il diritto alla manifestazione del pensiero di cui all’art. 21 Cost. imponendo all’Autorità un attento vaglio dell’effettiva lesività dei singoli contenuti segnalati. Suo precipuo compito sarà quello di assicurare il rispetto delle prerogative autorali in parallelo al rispetto dei diritti fondamentali di informazione, istruzione, ricerca. In tale attività l’AGCOM ben potrà giovarsi degli arresti giurisprudenziali in materia di three step test precedentemente richiamati, osservandosi come rispetto ai tradizionali poteri di vigilanza e controllo della stessa gli accertamenti compiuti nel settore di cui si discute dovranno verificare nel merito che i fini perseguiti da chi ha caricato il contenuto in rete non integrino una o più delle eccezioni sopra descritte. Taluni stakeholders nel corso della consultazione pubblica sulla proposta di regolamento di cui alla Delibera 398 /11/CONS, hanno sostenuto che a dispetto degli altri settori in cui l’Autorità esercita poteri sanzionatori, nel caso di specie l’inottemperanza all’ordine di rimozione impartito dall’Autorità sia l’unica ipotesi nella quale sia possibile comminare sanzioni agli operatori, ai sensi del D.Lgs. n. 70/2003 sopra richiamato [22]. Tuttavia, ciò è vero solo in parte giacché mentre di norma il potere di vigilanza attribuito all’AGCOM, negli altri settori di competenza [23], ed alle altre Authorities  nei propri ambiti, si declina nel potere di irrogare sanzioni a seguito dell’accertamento della violazione, deve ritenersi che, nell’ambito dell’esercizio dei poteri di vigilanza in materia di diritto d’autore, la sanzione possa essere irrogata dall’Autorità solo nell’ipotesi in cui l’ISP non ottemperi al precedente ordine di inibizione che, a seguito dell’accertamento della violazione, impone all’ISP la rimozione del contenuto, atteggiandosi, dunque, come strumento di condanna per il mancato rispetto dell’ordine impartito e non come sanzione diretta per la violazione del diritto d’autore. Appare evidente come l’attività dell’AGCOM, così intesa, non vada a sostituirsi a quella del Giudice, cui solo compete il potere di condannare condotte lesive del diritto d’autore, ma si collochi entro i corretti confini di un sistema legislativo che ne indica inequivocabilmente la competenza ad esercitare un potere, esercitabile con le più ampie misure atipiche, finalizzato all’attuazione di un obbligo giuridico che passa per il comportamento del terzo.

Note

[*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [**]Testo dell’intervento preparato dall’autore per il Workshop su “Il diritto d’autore online: modelli a confronto” organizzato il 24 maggio 2013, dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, presso la Camera dei Deputati. [1] “I contenuti digitali nell’era di internet – Executive summary”, Commissione Interministeriale sui contenuti digitali nell’era di internet, 2005. [2] Ex multis vedasi: L.C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, IV ed., Cedam, pag. 1817, nonché e soprattutto pag. 1679 sub VIII; B. Tassone, DRM e rifiuto di licenza nel caso Virgin v. Apple: questione di FairPlay?, in AIDA, 2005, pag 376 e ss. [3] Vedasi ex multis l’art. 16 LDA, sui mezzi di diffusione a distanza che include anche «la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente» [4] Non certo trasponendo, sic et simpliciter, la disciplina delle eccezioni e limitazioni dall’off-line all’ on-line ma perseguendo un adattamento che, garantendo la conformità dell’uso effettivo a quello dichiarato, possa fare chiarezza sui diritti disponibili ed incentivare l’offerta lecita. [5] Ex multis vedasi, Codice commentato della proprietà industriale ed intellettuale, a cura di C. Galli e A.M. Gambino, Utet, 2011. [6] Il comma è stato introdotto dalla Legge 9 gennaio 2008 n. 2, “Disposizioni concernenti la Società italiana degli autori ed editori”, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale del 25 gennaio 2008, Art. 2, “Usi liberi didattici e scientifici”. [7] Il testo del comma prevede l’emanazione di decreti attuativi da parte del Ministero per i Beni e le attività culturali, mai emanati. [8] M. Sag, God in the machine: a new structural analysis of copyright’s fair use doctrine, in Mich. Telecomm. Tech. L. Rev., 2005, pag. 407. [9] Gray v. Russell, 10 F.Cas. 1035 (C.C.D. Mass. 1839). [10] Folsom v. Marsh, 9 F. Cas. 342 (C.C.D. Mass. 1841). [11] M. Sag, God in the machine: a new structural analysis of copyright’s fair use doctrine, op. cit., pag. 408. [12] W. Gordon, Fair Use as Market Failure , in Columbia Law Review, 1982, pag. 1600; L. P. Loren, edefining the market failure Approach to Fair Use in an Era of Copyright Permission Systems, in Journal of Intellectual Property Law, l997. 6, pag. 11. [13] P. N. Leval, Toward a Fair Use Standard, in Harward Law Review, 1990, pag. 1107 ss. Il giudice Leval sottolineò in effetti come la protezione del fair use non sia un’antagonista del concetto di monopolio del copyright, ma una parte necessaria di un disegno collettivo. Per questo il fair use proteggerebbe solo quegli usi che incontrano due criteri: devono servire l’obbiettivo del copyright di stimolare la produttività delle idee e la pubblica istruzione, senza diminuire eccessivamente gli incentivi per la creatività. [14] P. N. Leval, Toward a Fair Use Standard, op. cit., pag. 1108; L. Lessig, Free Culture, Apogeo, 2004, cap I. [15] L. Ray Patterson, S.W. Lindberg, The Nature of Copyright: A Law of Users’ Rights, in University of Georgia Press, 1991, pag. 109 ss. [16] Campbell, v. Acuff-Rose Music, Inc., 114 U.S. 1164 (1994). [17] L. Weinreb, Fair’s Fair: A Comment on the Fair Use Doctrine, in Harvard Law Review, 1990, pag. 1137. [18] P. Samuelson, Unbunding Fair Uses, in Fordham Law Review, 2009, pag. 2537. [19] Christophe Geiger, The Three-Step-Test, a Threat to a Balanced Copyright Law?, in IIC, 2006, pag. 683. [20] Decisione della Brussels Court of First Instance (Tribunal de première instance), 12 febbraio 2007, Google Inc, v. Copiepresse, Sofam, S.A.J., S.C.A.M., Assucopie and Pressbanking; IIC vol 38, 7-2007, 849; poi confermata (la condanna a Google) dalla Corte di Appello Belga con decisione del 9th Chamber) May 5, 2011. [21] K. J. Koelman, Fixing the Three-Step Test, in E.I.P.R., 2006, pag. 410. [22] Cfr. G. Colangelo, Comunicazioni elettroniche, contenuti digitali e diritto d’autore: commento al Regolamento Agcom – Electronic Communications Networks and Copyright Protection: Remarks about the Agcom Regulation, in Mercato concorrenza regole, 2011, pag. 575 ss.; S. Alvanini, A. Cassinelli, I (possibili) nuovi poteri di AGCom in materia di diritto d’autore nel settore dei media, in Il Diritto industriale, 2011, pag. 543 ss. [23] Cfr. M. De Benedetto, Le liberalizzazioni e i poteri dell’Agcom, in Giornale di diritto amministrativo, 2012, pag. 240. Scarica il quaderno Anno III – Numero 2 – Aprile/Giugno 2013 [pdf]

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