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Tutela amministrativa dei consumatori alla luce del d. lgs. n. 21/2014: prime riflessioni

di Gilberto Nava Abstract:  The paper identifies the legal instruments available to the Italian competition Authority to ensure the safeguard foreseen by art 66 paragrafs 2-4 of the law 21/2014 that has implemented into the Italian legal framework the directive 2011/83/UE on Consumer Rights. The paper assesses the effectiveness of these provisions in ensuring the respect of the Directive and suggests some solutions de iure condendo for its implementation.  Il contributo esamina gli strumenti a disposizione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ai fini della tutela amministrativa prevista dall’art. 66, commi 2-4 del D. Lgs. 21/2014 che ha recepito nell’ordinamento italiano la direttiva 2011/83/UE Consumer Rights valutandone l’adeguatezza e l’efficacia ad assicurare il rispetto delle disposizioni della Direttiva e avanzando alcune soluzioni applicative e proposte de iure condendo. Sommario: 1. La Direttiva Consumer Rights e l’armonizzazione massima. 2. La tutela amministrativa e giurisdizionale. 3. Gli strumenti di tutela amministrativa. 4. Gli impatti del public enforcement nella prospettiva dei professionisti. 5. La necessità di un nuovo public enforcement. 6. Conclusioni 1. La Direttiva Consumer Rights e l’armonizzazione massima. La direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori, che abroga la direttiva 85/577/CEE e la direttiva 97/7/CE, è stata recepita nell’ordinamento italiano con il D. Lgs. 21/2014, che è entrato in vigore, in alcune parti il 26 marzo e nella sua interezza, il 14 giugno 2014[1]. I considerando della direttiva Consumer Rights chiaramente indicano che il perseguimento dell’obiettivo di un effettivo mercato interno, nel quale siano assicurati la libera circolazione delle merci (art. 28 TFUE), la libertà di prestazione dei servizi  (art. 56-62 TFUE) insieme alla libertà di stabilimento (artt. 49-55 TFUE), presuppone che siano armonizzati gli aspetti rilevanti dei contratti a distanza conclusi dai consumatori e dei contratti negoziati fuori dai locali commerciali allo scopo di aumentare la certezza giuridica sia per i consumatori che per i professionisti. Infatti l’armonizzazione rappresenta un presupposto necessario per eliminare gli ostacoli che derivano dalla frammentazione delle norme e delle sue applicazioni che, da un lato, non garantiscono un elevato livello di tutela dei consumatori in tutta l’Unione, dall’altro rappresentano per tutti gli attori del mercato un significativo ostacolo per lo sviluppo potenziale delle vendite a distanza transfrontaliere. Perciò, al fine di rendere più uniforme la tutela dei consumatori nei 28 Stati membri e “promuovere un effettivo mercato interno dei consumatori”, con la direttiva 2011/83/UE è stato adottato un approccio di armonizzazione massima per la maggior parte delle disposizioni, diversamente da quanto previsto dalle precedenti direttive  85/577/CEE e 97/7/CE che prevedevano un approccio di armonizzazione minima. Il considerando n. 4 della direttiva 2011/83/UE spiega infatti che “l’armonizzazione di taluni aspetti dei contratti a distanza conclusi dai consumatori e dei contratti da essi negoziati fuori dei locali commerciali è necessaria per promuovere un effettivo mercato interno dei consumatori, che raggiunga il giusto equilibrio tra un elevato livello di tutela dei consumatori e la competitività delle imprese”. È importante ricordare che la Direttiva Consumer Rights, quanto al livello di armonizzazione previsto, stabilisce che, salvo che la stessa direttiva disponga altrimenti (come ad esempio per i requisiti linguistici dell’art. 6, comma 7 e per i contratti conclusi al telefono all’art. 8, comma 6), gli Stati membri non mantengono o adottano nel loro diritto nazionale disposizioni divergenti da quelle stabilite dalla direttiva, incluse eventuali disposizioni (più o meno severe della disciplina comunitaria) per garantire al consumatore un livello di tutela diverso. La Corte di Giustizia Europea ha chiarito in più occasioni quali siano le implicazioni dell’adozione di una direttiva di armonizzazione massima o completa, in particolare con riferimento alla materia delle pratiche commerciali sleali (o scorrette) disciplinate dalla Direttiva 2005/29/CE. Nella pronuncia del 14 gennaio 2010, causa C-304/08[2], la Corte ha statuito che la Direttiva n. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali sleali, in quanto direttiva di armonizzazione completa, osta ad una normativa nazionale che prevede un divieto in via di principio, a prescindere dalle circostanze della singola fattispecie, delle pratiche commerciali che subordinano la partecipazione dei consumatori ad un concorso o gioco a premi all’acquisto di una merce o di un servizio. La Direttiva in esame, infatti, prevede un elenco tassativo, non modificabile né in peius né in melius dagli Stati Membri, di pratiche che devono considerarsi senz’altro sleali, ai sensi dell’Allegato I della Direttiva medesima. Sullo stesso tema si è ulteriormente pronunciata la CGE nel novembre 2010 nella causa C-540/08 in merito alla compatibilità con la Direttiva 205/29/CE della normativa della Repubblica austriaca che vieta l’attribuzione di premi abbinata all’acquisto di periodici ribadendo che il divieto di comunicare o assegnare premi in abbinamento all’acquisto di periodici è comunque incompatibile con la citata direttiva anche se persegue prioritariamente obiettivi diversi dalla tutela degli interessi dei consumatori e, nel caso di specie, in particolare la tutela del pluralismo dell’informazione e la tutela dei concorrenti deboli [3]. Il medesimo ragionamento è stato seguito dalla Corte con la sentenza adottata il 23 aprile 2009 nei procedimenti riuniti C-261/07 e C-299/07 [4]. La Corte ha stabilito che la Direttiva n. 2005/29/CE in tema di pratiche commerciali sleali, in quanto direttiva di armonizzazione completa, osta ad una normativa nazionale che prevede, salvo talune eccezioni e senza tener conto delle circostanze specifiche del caso di specie, il divieto assoluto di offerte congiunte del venditore al consumatore. Nel caso di specie, era stata richiesta alla CGE una pronuncia pregiudiziale su una legge belga che vietava sic et simpliciter (salvo eccezioni) le vendite congiunte, i.e. l’acquisto, a titolo oneroso o gratuito, di prodotti, di servizi, di qualsiasi altro vantaggio, o di titoli che consentano di conseguire gli stessi, abbinato all’acquisto di altri prodotti o servizi, anche se identici. Da ultimo la CGE si è pronunciata con un’ordinanza, in quanto la questione pregiudiziale poteva già essere risolta facendo riferimento alla giurisprudenza, relativa alla compatibilità di una normativa belga che vietava annunci di riduzione dei prezzi nel periodo antecedente ai saldi (causa C-288/10) [5]. In sintesi, la CGE ha ritenuto che la direttiva 2005/29/CE impedisca alla normativa degli Stati membri di vietare gli annunci di riduzioni di prezzi nei periodi antecedenti ai saldi, nei limiti in cui la normativa in questione si ponga anche delle finalità indirizzate alla tutela dei consumatori poiché l’elenco delle pratiche scorrette di per sé è tassativamente individuato nell’allegato I alla Direttiva. A tale riguardo è stato osservato in modo condivisibile che anche le direttive di armonizzazione massima, sebbene in misura inferiore a quelle di armonizzazione minima, presentano il problema, in un’ottica di uniformità dei principi giuridici, consistente nel lasciare alla competenza dei legislatori nazionali la scelta dei rimedi in generale per il caso di violazione delle regole di cui alle direttive stesse, senza riuscire ad impedire appieno così quella frammentazione dipendente dall’applicazione delle diverse discipline nazionali in riferimento ad aspetti essenziali dei fenomeni regolati nel loro profilo sostanziale dal diritto comunitario [6]. Appare perciò importante, ed è l’oggetto di questo contributo, valutare gli strumenti di tutela amministrativa, anche nel confronto con i paralleli strumenti della giurisdizione civile, approfondirne eventuali limiti e verificare se sia possibile, a regime vigente, rispondere agli obiettivi della Direttiva Consumer Rights di approntare “mezzi adeguati ed efficaci” per garantirne il rispetto oppure se sia necessario un intervento legislativo e di quale portata. Proprio le eccezioni al principio di armonizzazione massima rappresentano, ad avviso di chi scrive, la “cartina di tornasole” per valutare l’efficacia della tutela amministrativa ed in particolare per ponderare gli strumenti attualmente previsti dall’art. 66, commi 2-4 del D. Lgs. 21/2014. In altri termini le eccezioni sono rilevanti per valutare se nell’ambito della tutela amministrativa sia assicurato non soltanto il rispetto dell’art. 24 della Direttiva Consumer Rights che impone l’adozione di un apparato sanzionatorio che sia effettivo, proporzionale e dissuasivo, ma anche dell’art. 23 che prevede che gli Stati membri rendano effettivi (“garantiscano”) che “esistano mezzi adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto delle disposizioni della presente direttiva.” Il legislatore comunitario chiaramente identifica un precetto generale, ossia che sia assicurato il rispetto della direttiva, che poi viene declinato attraverso lo strumento di sanzioni “effettive, proporzionate e dissuasive”, ma anche mediante l’adozione di modalità informative a beneficio dei consumatori così come dei professionisti nonché con  l’incoraggiamento a diffondere informazioni riguardanti i codici di condotta. La previsione perciò appare caratterizzata da un approccio teleologico e non impone modalità applicative cogenti, bensì il perseguimento dell’obiettivo di assicurare il rispetto della Direttiva con tutti gli strumenti “adeguati ed efficaci” che l’ordinamento di ciascuno Stato membro valuta come legittimi e proporzionali, secondo quanto previsto dal Regolamento CE n. 2006/2004 [7]. Il presente contributo non approfondisce l’analisi dell’appropriatezza in termini di sistema e delle possibili criticità in termini di complessivi obiettivi di interesse pubblico dell’attribuzione legislativa ad AGCM della competenza a garantire il public enforcement delle previsioni della Direttiva 2001/83/UE [8], ma quali siano gli strumenti di tutela predisposti dal legislatore nazionale, come siano stati finora applicati da AGCM nel garantire il rispetto delle pratiche commerciali sleali, e come possano essere adottati mezzi ancora più “adeguati ed efficaci per assicurare il rispetto” della citata Direttiva Consumer Rights e criteri di intervento meno discrezionali, anche in una prospettiva de iure condendo. Tornando alle eccezioni al principio di armonizzazione massima, la Direttiva ha previsto all’art. 8, comma 6 che: Quando un contratto a distanza deve essere concluso per telefono, gli Stati membri possono prevedere che il professionista debba confermare l’offerta al consumatore, il quale è vincolato solo dopo aver accettato l’offerta o dopo averla accettata per iscritto. Gli Stati membri possono anche prevedere che dette conferme debbano essere effettuate su un mezzo durevole”. Lo Stato Italiano, a seguito dei pareri obbligatori adottati dalle competenti Commissioni parlamentari, ha deciso di usufruire di tale opzione introducendo l’obbligo di conferma del comma 6 eliminando, con una formulazione di compromesso tra le opposte esigenze operative dei professionisti e di una maggiore tutela dei consumatori che desta non pochi problemi applicativi, la possibilità che sia possibile concludere un contratto con una semplice comunicazione telefonica [9]. La finalità della norma e dell’aggravio posto in capo ai professionisti dovrebbe essere quello di assicurare al consumatore la possibilità di godere di un lasso di tempo e una base informativa maggiore che possa essere sufficiente ad adottare una decisione consapevole. [10] 2. La tutela amministrativa e giurisdizionale. La Direttiva Consumer Rights prevede che, in termini procedimentali, sia possibile adire i tribunali oppure organismi amministrativi per far rispettare le disposizioni delle normative nazionali di recepimento della Direttiva, nonché che siano adottati dagli Stati membri degli strumenti adeguati ed efficaci per dare attuazione alle disposizioni contenute nella Direttiva [11]. E’ inoltre previsto che siano riconosciuti come titolari di un autonomo interesse ad agire in giudizio oppure ad attivarsi dinanzi agli organi amministrativi competenti, oltre ai consumatori, anche gli enti pubblici, le organizzazioni di consumatori aventi un legittimo interesse a tutelare i consumatori nonché le associazioni di categoria, presumibilmente titolari di interesse legittimo a tutelare i professionisti. È infine previsto che la Direttiva non possa pregiudicare l’applicazione della legislazione nazionale relativa alla disciplina generale dei contratti, ad esempio riguardante la conclusione o la validità di un contratto, che non sia espressamente definita nella Direttiva. I criteri di recepimento della Direttiva sono dettati dalla L. 24 dicembre 2012, n. 234, ed in particolare  dall’art. 31, che disciplina le procedure per l’esercizio delle deleghe legislative conferite al Governo con la legge di delegazione europea e dall’art. 32, che definisce i principi e i criteri generali di delega. Esaminiamo quindi sinteticamente come, in sede di recepimento, il legislatore italiano abbia attuato i principi e gli obblighi della Direttiva. Allo scopo di garantire il rispetto delle disposizioni introdotte dal D. Lgs 21/2014 nel Codice del Consumo nelle Sezioni da I a IV del Capo I, Titolo III, Parte III da parte degli operatori, trovano applicazione le disposizioni degli articoli 27 (“Tutela amministrativa e giurisdizionale”) [12], 139 (“Accesso alla giustizia”) [13], 140 (“Procedura”) [14], 140-bis (“Azioni di classe”) [15], 141 (“Composizione extragiudiziale delle controversie”) [16] e 144 “Aggiornamenti”) del medesimo Codice del Consumo. In particolare per quanto riguarda i poteri di public enforcement l’AGCM, d’ufficio o su istanza di ogni soggetto o organizzazione che ne abbia interesse, provvede all’accertamento delle violazioni delle citate norme della Direttiva introdotte nel Codice del Consumo dal D. Lgs 21/2014, ne inibisce la continuazione e ne elimina gli effetti [17]. In materia di accertamento e sanzione delle violazioni, si applica l’articolo 27, commi da 2 a 15, del Codice del Consumo[17]. Anche nelle citate materie, così come nelle materie disciplinate dalla Direttiva 2005/29/CE ai sensi dell’art. 27 comma 1 Cod. Cons., l’AGCM svolge le funzioni di autorità competente ai sensi dell’articolo 3, lettera c), del citato regolamento (CE) n. 2006/2004. E’ comunque fatta salva la giurisdizione del giudice ordinario, ai sensi dei principi dell’art. 24 Cost. [18], dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea [19] e del considerando 56 della Direttiva. E’ altresì fatta salva la possibilità di promuovere la risoluzione extragiudiziale delle controversie inerenti al rapporto di consumo, nelle citate materie sui diritti dei consumatori, presso gli organi costituiti dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura ai sensi dell’articolo 2, comma 4, della legge 29 dicembre 1993, n. 580 [20]. Sono state infine abolite le competenze previgenti dell’art. 62 Cod. Cons. che prevedevano poteri di accertamento e sanzione in capo alla polizia giudiziaria ed alle Camere di Commercio in materia di contratti a distanza e contratti negoziati fuori dai locali commerciali. In tal modo si è evitato di duplicare una tutela pubblicistica già assicurata dall’AGCM e, conseguentemente, di rischiare potenzialmente l’adozione di provvedimenti divergenti rispetto a fattispecie analoghe in virtù di competenze potenzialmente sovrapposte. A seguito dell’entrata in vigore del D. Lgs. 21/2014 l’AGCM ha modificato, con delibera 5 giugno 2014, n. 24955, il ”Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, clausole vessatorie”, limitandosi, peraltro, ad estendere ai procedimenti aventi ad oggetto i diritti dei consumatori nei contratti di consumo le disposizioni relative alle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa e di pratiche commerciali scorrette, in quanto applicabili (art.20 bis). La motivazione dell’attribuzione all’AGCM anche delle competenze relative alla tutela amministrativa delle disposizioni introdotte dal D.Lgs. 21/2014 risiede nell’opportunità di concentrare in un’unica amministrazione, già competente ad accertare e sanzionare le violazioni della Direttiva 2005/29/CE, gli obblighi informativi relativi alla pratiche commerciali  che intercorrono tra professionisti e consumatori sfruttando le economie di conoscenza maturate nell’attività procedimentale relativa alle pratiche commerciali sleali e assicurando una applicazione uniforme della complessiva legislazione generale a tutela dei consumatori. Inoltre numerose norme del Codice del Consumo qualificano i comportamenti dei professionisti – quali la violazione degli obblighi informativi, l’adozione di meccanismi di opt-out nella vendita di beni e servizi accessori, la mancata comunicazione dell’esistenza del diritto di recesso oppure gli ostacoli, qualificabili come onerosi o sproporzionati, all’esercizio di diritti contrattuali come il diritto di recesso nei contratti a distanza o negoziati fuori dai locali commerciali –  come pratiche commerciali scorrette sanzionabili dalla stessa AGCM ai sensi del Codice del Consumo [21]. Sebbene sia stato autorevolmente evidenziato che vi sia una crescente complementarietà tra private e public enforcement i quali, sebbene siano caratterizzati da una diversità di obiettivi, l’uno indirizzato a tutelare gli interessi individuali, l’altro la correttezza del mercato, avrebbero lo scopo comune di convergere verso un “unico strumento di enforcement a sostegno della disciplina sostanziale” [22], ad avviso di chi scrive il legislatore comunitario ha previsto un meccanismo a “doppio binario” con la finalità di garantire l’armonizzazione massima che soltanto formalmente assicura la duplice possibilità di tutela, in sede giudiziaria e in sede amministrativa. Molteplici elementi, sia in termini di sistema che di effetti, inducono a ritenere che anche la direttiva 2011/83/UE si ponga, in un quadro di “europeizzazione” del diritto contrattuale,  l’obiettivo di una sostanziale “disintermediazione” del giudice naturale nonché degli strumenti e degli apparati concettuali tipici del contenzioso civilistico. Infatti, poiché l’intervento del giudice naturale, in quanto radicato nella propria cultura giuridica, implica una applicazione della norma che non assicura una omogeneità di interpretazione delle norme, il legislatore comunitario ha innanzitutto inteso limitare le possibilità interpretative definendo univocamente gli effetti contrattuali dei comportamenti dei professionisti e affiancando alle norme astratte un set di modelli e di formulari che, sebbene sovente abbiano natura non vincolante, rappresentano una insuperabile invasione di campo  in quanto stabiliscono ex lege dei limiti “artificiali” al naturale esprimersi delle volontà dei soggetti giuridici. La definizione ex lege dei vincoli di forma che introducono dei limiti all’attività negoziale dei soggetti  ha evidenziato l’emergere di un neoformalismo negoziale di matrice europea che fortemente si discosta dall’approccio privatistico e negoziale vigente nel mondo globalizzato[23]. Inoltre, in termini di effetti, l’azione del giudice appare depotenziata di effetti poiché, al netto degli effetti sul contratto determinati dal legislatore comunitario e della prova privilegiata derivante dal public enforcement (vedi di seguito), il giudice naturale potrà limitarsi a identificare il nesso causale a fini risarcitori. Perciò  nell’ambito delle controversie tra professionisti e singoli consumatori non ha un effettivo potere di incidere nel rapporto asimmetrico consumatore/professionista poiché la sentenza ha efficacia nel singolo caso giudicato, di norma non ha riflessi mediatici rilevanti e potenzialmente impattanti sul complessivo comportamento commerciale (poiché risulterebbe sproporzionatamente oneroso per i consumatori perseguire i comportamenti dei professionisti anche in presenza di giurisprudenza favorevole) o sul profilo reputazionale del professionista. Infine nel contenzioso civile, qualora una possibile sentenza negativa possa essere rilevante commercialmente o come mero precedente, il professionista ha la possibilità di cercare una transazione con il singolo consumatore e con ciò, diversamente dall’enforcement  pubblicistico, far cessare la materia del contendere. Anche da un punto di vista sostanziale il ruolo del giudice appare limitato dall’eventuale esercizio del potere di enforcement pubblico ad opera di AGCM che viene qualificato come “prova privilegiata” la cui disapplicazione deve dare luogo ad una adeguata motivazione contraria. In questo senso sia la giurisprudenza che la dottrina prevalente sono univoche nell’indicare la necessità di coerenza (rectius certezza) ed efficienza dell’esercizio dei diversi poteri pubblici nonché dell’effettività della tutela e garanzia di deterrenza, che, sotto il profilo contrattuale o dell’enforcement degli interessi pubblici tutelati, applicano le medesime norme sostanziali a tutela dei consumatori. Con riferimento a un provvedimento per pratiche commerciali scorrette il Tribunale di Milano ha riconosciuto come sia “da condividere sul punto l’indicazione della Corte di Cassazione secondo cui l’autorevolezza dell’organo da cui promana e gli ampi poteri di indagine di cui l’Autorità Garante è dotata (svolgendosi inoltre gli accertamenti con il pieno contraddittorio del soggetto interessato) inducono ad attribuire ai provvedimenti emessi dalla stessa il valore di “prova privilegiata” del comportamento e della sua illegittimità (in tal senso Cass. sent. n. 3640 del 13 febbraio 2009, caso Associazione Nazionale Consulenti del Lavoro/Inaz Paghe s.r.l.; conf. Cass. n. 5941/2011 e n. 5942/2011)” [24]. Le più recenti pronunce della Cassazione hanno anche chiarito come gli accertamenti resi dall’AGCM non possano essere rimessi in discussione sulla base delle stesse argomentazioni già rigettate dalla stessa AGCM: “[gli atti di un procedimento dell’AGCM] costituiscono una prova privilegiata, nel senso che al professionista è consentito fornire la prova contraria dei fatti accertati, senza che sia possibile nel giudizio civile rimettere in discussione i fatti costitutivi dell’affermazione di sussistenza della violazione […] in base allo stesso materiale probatorio od alle stesse argomentazioni già disattesi in quella sede” [25]. Anche la dottrina ampiamente prevalente è conforme alla citata giurisprudenza., con specifico riguardo all’efficacia dei provvedimenti in materia di pratiche commerciali scorrette, affermando che “i provvedimenti dell’AGCM, nelle materie di sua competenza, contengano una qualificazione di fatti privati di cui il giudice deve tenere conto ― salvo disapplicazione adeguatamente motivata, a tutela di diritti soggettivi lesi ― per un’esigenza sistematica di coerenza delle manifestazioni del potere statale”. [26]. Alla luce di questa sintetica, ma auspicabilmente esaustiva analisi di quali siano gli effetti concreti dell’applicazione del “doppio binario” della tutela giudiziaria ed amministrativa delle norme del Codice del Consumo, appare rilevante valutare cosa prevede la Direttiva Consumer Rights in termini di tutela e quali siano gli strumenti effettivamente disponibili in termini di tutela amministrativa ai sensi del Codice del Consumo. 3. Gli strumenti di tutela amministrativa. Esaminiamo quindi gli strumenti previsti dal Codice del Consumo e dal Regolamento sulle procedure istruttorie in materia di pubblicità ingannevole e comparativa, pratiche commerciali scorrette, violazione dei diritti dei consumatori nei contratti, clausole vessatorie adottato con delibera AGCM 5 giugno 2014, n. 24955 (“Regolamento Procedure”) nella prospettiva di valutarne gli effetti sui mercati rilevanti in termini di soluzioni efficienti, concrete, stabili e proporzionate, anche alla luce della prospettiva della scala di priorità che abbiamo ipotizzato possano avere i professionisti nel dare attuazione agli strumenti di public enforcement (vedi paragrafo 5). a) All’art. 4 comma 5 del Regolamento Procedure è stato introdotto uno strumento che, nelle condivisibili intenzioni dell’AGCM, potrebbe rappresentare in via embrionale uno strumento di indirizzo del mercato, ossia la c.d. moral suasion. Lo strumento presenta numerose problematiche sistematiche ed operative: innanzitutto la sua collocazione desta perplessità poiché rientrerebbe logicamente nei provvedimenti pre-istruttori del successivo art. 5, dove viene effettuata un’analisi sostanziale della fattispecie che si presume violare il Codice del Consumo piuttosto che nel precedente art. 4 che disciplina le modalità di presentazione dell’istanza di intervento. Inoltre la formulazione dei requisiti per l’esercizio da parte del responsabile del procedimento della moral suasion (“ad eccezione dei casi di particolare gravità, qualora sussistano fondati motivi tali da ritenere che il messaggio o la pratica commerciale costituisca una pubblicità ingannevole, una pubblicità comparativa illecita o una pratica commerciale scorretta”) si discosta solo parzialmente dai presupposti che impediscono al professionista di presentare impegni ai sensi dell’art. 27, comma 7 CC (“Ad eccezione dei casi di manifesta scorrettezza e gravità della pratica commerciale”). Perciò, sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo in materia di impegni, se “in sostanza, il legislatore nazionale ha introdotto un meccanismo di definizione semplificata tendenzialmente operante per le pratiche commerciali scorrette di minore entità (potrebbe dirsi con assonanza penalistica bagatellari) fondato sulla formulazione di impegni da parte del professionista che risultino compiutamente idonei” [27], dobbiamo concludere che la moral suasion può essere applicata per comportamenti davvero marginali in termini di gravità e di impatto sui consumatori, diremmo “sub-bagatellari”, e quindi la sua efficacia per indirizzare i professionisti nell’applicazione del D. Lgs. 21/2014 risulti pressoché irrilevante. Inoltre le diverse e non del tutto rigorose formulazioni adottate nel Regolamento Procedure dall’art. 4 comma 5 per la moral suasion e dall’art. 9 per il rigetto degli impegni attribuiscono all’AGCM una ampia discrezionalità che non consente di avere la certezza del perimetro delle fattispecie per le quali AGCM vorrà utilizzare la moral suasion. Infine il Regolamento Procedure non prevede all’art. 18 che l’attività di moral suasion che sia andata a buon fine possa implicare la pubblicazione, da un lato poiché presuppone l’adozione di un provvedimento che accerti l’ingannevolezza della pubblicità o la scorrettezza della pratica commerciale oppure l’accoglimento di impegni che nella fattispecie concreta non viene adottato, dall’altro poiché la pubblicazione di una comunicazione relativa ad una attività di moral suasion avrebbe natura afflittiva sotto il profilo reputazionale e perciò sarebbe concettualmente contraria alle finalità della moral suasion. Perciò anche lo strumento della moral suasion, in quanto limitato nel perimetro di applicazione e indirizzato al solo professionista, non appare rispondente alle finalità di ricerca di soluzioni applicative sopra indicate [28]. b) L’art. 27, comma 7 del Codice del Consumo prevede che l’AGCM possa ottenere dal professionista l’assunzione di impegni finalizzati a porre fine all’infrazione oggetto del procedimento cessandone la diffusione o modificandone le modalità in modo da eliminare i profili di illegittimità. Una volta che gli impegni proposti siano valutati dall’AGCM come idonei a porre fine all’infrazione, vengono resi obbligatori per il professionista e il procedimento viene definito senza procedere all’accertamento dell’infrazione. Condizione preliminare per la valutazione dell’idoneità degli impegni è la non manifesta scorrettezza e la non gravità della pratica commerciale oggetto del procedimento. Non è questa la sede per ripercorrere la copiosa dottrina in merito alla natura e alle condizioni di applicabilità di questa disciplina, nonché l’articolata giurisprudenza dell’AGCM in merito, ma soltanto per evidenziare che, ad avviso di chi scrive, pecca di astrattezza chi afferma che le specifiche modalità applicative proposte dal professionista in qualità di impegni possano rappresentare un modello per la risoluzione di fattispecie dubbie poiché ciascuna realtà imprenditoriale, in particolare le società più rilevanti nel mercato, propongono soluzioni del comportamento illegittimo riscontrato che si attagliano alle proprie esigenze operative, ai propri sistemi informatici e gestionali, al contenimento dei costi aggiuntivi oppure all’implementazione dell’impegno nell’ambito di una evoluzione del proprio sistema commerciale già pianificato. In altri termini, così come il procedimento sanzionatorio per sua natura si focalizza nel censurare il caso specifico, allo stesso modo gli impegni presentati e ritenuti idonei, sotto l’ombrello dell’obiettivo dell’AGCM della cura dell’interesse pubblico tutelato, applicheranno la soluzione più flessibile e adeguata rispetto al caso specifico del professionista coinvolto con il rischio che la soluzione possa in realtà avere effetti discriminatori nei confronti degli altri attori del mercato oppure sottoporli ad oneri sproporzionati qualora volessero adeguarsi alla modalità applicativa ritenuta idonea con gli impegni. In altri termini l’accettazione degli impegni da parte di AGCM sovente non rappresenta la migliore soluzione per il mercato nel suo complesso, ma sicuramente la soluzione più opportuna per il professionista coinvolto. c) L’art. 27 comma 3 CC, poi disciplinato dal Regolamento Procedure all’art. 8, prevede la possibilità per l’Autorità di sospendere la pratica commerciale scorretta in casi di particolare urgenza, e, addirittura, inaudita altera parte, qualora ricorrano “particolari esigenze di indifferibilità dell’intervento.” [29]. L’effetto dell’adozione di un provvedimento cautelare nel mercato rilevante si limita a rafforzare l’azione inibitoria del procedimento anticipandone gli effetti. L’adozione del provvedimento cautelare ha anche l’effetto di evidenziare agli altri professionisti presenti nel mercato la gravità di alcune pratiche commerciali scorrette e quindi l’urgenza manifestata da AGCM di sospenderne gli effetti, ma non tempera gli effetti discriminatori per il professionista che sta subendo la sospensione cautelare, qualora tali comportamenti siano prassi di mercato. In ogni caso la sospensione cautelare identifica prioritariamente come non deve essere attuata una norma del Codice del Consumo ma, soprattutto per  la disciplina di più complessa attuazione o di più recente emanazione come il D. Lgs. 21/2014, occorre attendere la pubblicazione del provvedimento sanzionatorio, a distanza di mesi dall’adozione del provvedimento cautelare, per avere indicazioni su quali siano i profili applicativi ritenuti scorretti. d) La necessità di superare gli stretti limiti posti dal regime sanzionatorie emerge anche dagli stessi provvedimenti di AGCM che, soprattutto nei casi più innovativi o che interessavano mercati fino ad allora non oggetto di procedimenti sanzionatori, hanno un contenuto che potremmo definire “additivo” poiché non si limitano a diffidare la continuazione della pratica commerciale scorretta esistente ma, accanto all’irrogazione della sanzione per il comportamento pregresso, indicano chiaramente il diverso esito auspicato nel comportamento futuro. Il tentativo di indirizzare il comportamento futuro del singolo operatore e, auspicabilmente, degli attori del mercato rilevante appare positivo ma si scontra con gli attuali strumenti messi a disposizione del legislatore che in caso di prosecuzione/reiterazione del comportamento mette a disposizione soltanto i consueti “armamentari” sanzionatori del procedimento di inottemperanza. e) Esaminiamo di seguito anche l’art 37-bis, che è stato introdotto nel Codice del Consumo dall’art. 5 del DL 24 gennaio 2012, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012 n. 27, con il quale è stato istituito un ulteriore strumento di tutela amministrativa contro le clausole abusive nei contratti tra professionisti e consumatori che si concludono mediante adesione a condizioni generali di contratto o con la sottoscrizione di moduli, modelli o formulari. L’art. 37-bis non viene richiamato dall’art. 66 CC tra gli articoli che trovano applicazione al fine di garantire il rispetto delle norme introdotte dal D. Lgs. 21/2014, ma può essere un utile punto di riferimento in una prospettiva de iure condendo. Ai fini della presente analisi è interessante valutare il meccanismo introdotto dal terzo comma del citato art. 5 che attribuisce ai professionisti (rectius alle imprese) di interpellare preventivamente l’AGCM in merito alla vessatorietà ai sensi degli art. 33-38 del Codice del Consumo di clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori. A fronte della richiesta del professionista l’AGCM è tenuta a rispondere entro un termine di 120 giorni dalla richiesta, a condizione che le informazioni fornite dal richiedente non risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. L’effetto dell’interpello preventivo è che le clausole non ritenute vessatorie non potranno poi essere valutate dall’AGCM ai sensi del precedente comma 2 che si limita a prevedere come sanzione a diffusione al pubblico delle clausole di cui sia accertata la vessatorietà mediante l’apposita sezione del sito internet dell’AGCM e del sito dell’operatore che adotta la clausola vessatoria, oltre che con ogni altro mezzo ritenuto opportuno in ordine all’esigenza di informare i consumatori. E’ evidente che il profilo afflittivo della sanzione prevista per la tutela amministrativa contro le clausole vessatorie è prevalentemente reputazionale e si discosta molto dalle potenzialmente gravose sanzioni amministrative previste dall’art. 27, comma 9 richiamate dall’art. 66, comma 3 Codice del Consumo. Ma proprio perché il legislatore ha voluto imporre all’AGCM di organizzarsi al fine di fornire ai professionisti entro 120 giorni un servizio di analisi preventiva della vessatorietà delle clausole concluse mediante condizioni generali di contratto o formulari pur in presenza di una sanzione essenzialmente soltanto reputazionale, emerge chiaramente l’opportunità che un analogo obbligo possa essere introdotto per garantire ai professionisti che devono implementare le norme della Direttiva Consumer Rights delle chiare e rapide indicazioni applicative, a maggior ragione in merito alle norme di armonizzazione minima sopracitate. Il precedente dell’art. 37-bis ci indica la necessità di uno specifico intervento legislativo e che venga data la possibilità all’AGCM di definire un regolamento che le consenta, ad esempio, di dare un riscontro secondo criteri discrezionali, dando la priorità ai quesiti posti dai professionisti in modo aggregato o tramite associazioni di categorie al fine di non doversi assumere un onere amministrativamente ingestibile quale la risposta alle molteplici imprese che si trovano a dover applicare le norme della Direttiva Consumer Rights [30]. Resterebbe comunque fermo il principio che il consumatore che non si sentisse sufficientemente tutelato dall’interpretazione preventiva offerta da AGCM avrebbe piena facoltà di agire in giudizio chiedendo al giudice civile di accertare la violazione del Codice del Consumo e di dichiarare l’applicabilità della medesima norma già sottoposta all’interpello preventivo secondo criteri diversi. Parallelamente all’esercizio dell’azione civile chiunque vi abbia interesse potrebbe anche impugnare l’esito dell’interpello preventivo dinanzi al giudice amministrativo. Per questo motivo la pronuncia preventiva dell’AGCM dovrebbe sempre essere espressa e non prevedere la formazione di un implicito assenso a seguito del decorso del termine per la risposta, allo scopo di consentire al giudice civile di valutare ponderatamente l’indirizzo applicativo predisposto dal AGCM al fine della formazione del suo giudizio nonché per dare al giudice amministrativo una adeguata materia del contendere. Inoltre gli esiti degli interpelli, previa la garanzia della riservatezza delle informazioni strategiche o commercialmente rilevanti del soggetto che ha proposto l’istanza, dovrebbero essere sempre resi pubblici dall’AGCM mediante la pubblicazione in una parte riservata del proprio sito allo scopo di perseguire  lo scopo principale di tale strumento e dello sforzo preventivo che AGCM dovrebbe porre in essere, ossia indirizzare l’operato degli attori  del mercato. f) Infine, a mero fine di completezza dell’analisi, l’art.27, comma 12 CC prevede che AGCM possa disporre la sospensione dell’attività d’impresa per un periodo non superiore a 30 giorni in caso di reiterata inottemperanza ai propri provvedimenti. L’esiguità dei casi riscontrati finora nella giurisprudenza di AGCM ci dimostra che questo strumento, dagli effetti dirompenti per la continuità dell’attività imprenditoriale, rappresenta una extrema ratio da adottare soltanto nei confronti dei professionisti che ignorano in modo cosciente e reiterato l’inibizione da parte di AGCM alla prosecuzione della pratica commerciale scorretta [31] Pertanto nei confronti di tali soggetti, che sono marginalmente presenti nel mercato con qualsiasi modello di attuazione della normativa, neppure l’adozione reiterata di sanzioni e di procedimenti di inottemperanza può incidere significativamente vista l’approccio imprenditoriale “mordi e fuggi”, la frequente ineseguibilità della sanzione per ragioni di extraterritorialità e la mutevolezza (rectius la volatilità) delle forme societarie e delle strutture organizzative adottate. L’unico vantaggio della presenza di una definizione ex ante delle modalità di applicazione delle norme rilevanti sarebbe rappresentato da una maggiore conoscibilità da parte dei consumatori del perimetro dei comportamenti illegittimi, che quindi potrebbero segnalare più tempestivamente all’AGCM le violazioni e darle l’opportunità di un rapido intervento, anche in sede cautelare. 4. Gli impatti del public enforcement nella prospettiva dei professionisti.   Al fine di individuare quali possano essere gli strumenti più efficaci per applicare le norme introdotte dal D. Lgs. 21/2014 proponiamo di modificare la prospettiva di analisi, non limitandosi a richiamare i principi che indirizzano l’azione del public enforcement da parte di AGCM, ma anche di esaminare quali siano i possibili parametri che inducono (o meno) i professionisti ad una tempestiva ed efficace applicazione delle norme rilevanti del Codice del Consumo. Ovviamente la nostra analisi si riferisce a professionisti che operino stabilmente nel mercato di riferimento e non ai comportamenti opportunistici “mordi e fuggi” adottati da parte di operatori non interessati ad una presenza commerciale di lungo periodo. L’analisi non ha la pretesa di “fotografare” il comportamento di ogni professionista poiché vi sono molte variabili (il controllo pubblico o privato, la matrice della cultura aziendale, la notorietà mediatica del marchio del professionista o dei suoi prodotti, i principi etici e valoriali richiamati come elemento caratterizzante della value proposition del professionista, il mercato geografico o anagrafico indirizzato e molti altri fattori) che ne condizionano i comportamenti, ma fino ad ora l’approccio delle amministrazioni e della classe politica è sempre stata indirizzata ad ampliare o a rendere più gravosi gli strumenti sanzionatori (ad es. aumentando il massimo edittale), senza comprendere che nelle dinamiche competitive incise dal Codice del Consumo il fattore sanzionatorio possa avere un impatto marginale, mentre invece occorre focalizzarsi sulle priorità di coloro che devono attuare le norme e perciò sulle tempistiche, sull’efficacia dei sistemi di vigilanza e cautelari, sulla certezza delle modalità di attuazione delle norme affinché la completa e tempestiva attuazione di ragionevoli e efficaci norme a tutela dei consumatori diventi un fattore competitivo e non un mero ostacolo al perseguimento della massimizzazione dell’interesse economico dell’attività imprenditoriale. 1) Il primo parametro generale che indirizza la tempestività e la completezza dell’applicazione delle norme rilevanti del Codice del consumo è il costo/opportunità; 2) Il secondo parametro che informa l’azione dei professionisti è la trasparenza nelle tempistiche e modalità di applicazione e quindi la necessità che sia garantita la non discriminazione tra i professionisti nel mercato per quanto riguarda il “come” e il “quando” siano attuate le norme. Questo secondo parametro rappresenta il criterio prioritario con il quale valutare i diversi profili rilevanti relativi al primo parametro. Il costo/opportunità connesso all’applicazione delle norme si può generalmente segmentare in diversi profili: a) L’onere per il professionista connesso ai mancati ricavi derivanti da un’applicazione particolarmente garantista della norma che non soltanto impone obblighi di maggiore trasparenza ed informazione a beneficio dei consumatori, ma talora introduce ulteriori oneri applicativi che rendono più complessa (e talvolta ingestibile) la user experience del consumatore. Dalla valutazione dell’impatto in termini di mancati ricavi deriva sovente la scelta relativa a come applicare la norma, ossia con quale gradazione di attenzione nei confronti del consumatore; b) I costi aggiuntivi (di natura economica ed operativa) connessi all’introduzione di ulteriori oneri informativi e perciò correlati a costi gestionali legati, ad esempio, alle attività di prevendita e post vendita, agli oneri logistici e amministrativi (pensiamo ad esempio all’esercizio del diritto di recesso di cui all’art. 54 CC), ai necessari aggiornamenti dei sistemi informativi, alla modifica delle strutture, delle modalità e dei canali di vendita (interni al professionista o esternalizzati), ai conseguenti oneri contrattuali sia in termini di modifiche dei formulari che dei processi di acquisizione della volontà del consumatore (sia di stipulare che di recedere); c) l’impatto economico e finanziario della sanzione amministrativa pecuniaria: ovviamente la modifica del massimo edittale introdotto dall’art. 1, comma 6, lettera b) del D. Lgs. 21/2014 [32] ha modificato la percezione del rischio economico connesso alla mancata o parziale ottemperanza alle norme, ma in alcuni casi non appare significativa rispetto ai vantaggi economici per il professionista derivanti dalla mancata applicazione della normativa vigente (se esaminiamo la fattispecie di una singola violazione, quale, ad esempio una modifica del prezzo applicato alla generalità dei consumatori [33], oppure, in caso di beni/servizi forniti in modo continuativo, ai profitti direttamente connessi alla mancata applicazione della norma dall’entrata in vigore fino alla diffida emanata da AGCM o, più correttamente, fino ai termini richiesti per l’effettiva ottemperanza al provvedimento), che si dovrebbero sommare ai costi aggiuntivi in termini di mancati incassi e di oneri aggiuntivi di implementazione che si verificano quando la società viene diffidata dal proseguire un comportamento dichiarato illecito. d) Il rischio reputazionale, che è chiaramente un “costo” non quantificabile economicamente, ma molto rilevante tanto più è noto il marchio e caratterizzato per i consumatori da elementi eticamente positivi. L’impatto del rischio reputazionale è tanto maggiore quanto più è ampia la visibilità mediatica degli esiti della propria attività istituzionale che AGCM decide di affiancare alla sanzione e alla diffida, utilizzando la possibilità prevista dal Regolamento all’art. 18 di disporre a cura e spese del professionista la pubblicazione della pronuncia, in forma integrale o per estratto, oppure di una dichiarazione rettificativa ai sensi dell’art. 27, comma 8 del Codice del Consumo oppure la pubblicazione degli impegni presentati ai sensi dell’art. 27, comma 7 CC, determinandone il mezzo di comunicazione (quotidiani locali o nazionali, riviste o riviste settoriali etc.), le modalità dell’adempimento ed il termine dell’effettuazione [34] [35]. Il secondo parametro riguarda la necessità che le medesime norme siano applicate in modo trasparente e non discriminatorio, sia in termini di modalità che di tempistiche, in capo a tutti gli attori che concorrono in uno specifico mercato. L’attenta valutazione da parte dell’Autorità in sede procedimentale del parametro della non discriminazione, soprattutto nel caso di adozione di politiche di moral suasion o di accoglimento di impegni, rende meno rilevanti per i professionisti operanti nel medesimo mercato, soprattutto in una prospettiva competitiva, i mancati ricavi e i costi aggiuntivi dei punti a) e b) poiché appare prioritaria la garanzia del medesimo level playing field per tutti gli attori del mercato. La necessità che sia garantita una parità di condizioni commerciali a tutti gli attori del mercato è uno dei maggiori fattori che inducono i professionisti già oggetto di un procedimento sanzionatorio ad applicare in modo opportunistico l’inibizione alla prosecuzione dei comportamenti. Infatti l’assenza di un pieno parallelismo nell’azione sanzionatoria nei confronti di tutti gli attori del mercato sotto il profilo sostanziale e temporale, sovente impossibile per ragioni documentali e/o procedurali nonché organizzative, rende talora preferibile ad un professionista già sanzionato affrontare il rischio di un procedimento di inottemperanza pur di salvaguardare la propria capacità commerciale nei confronti del concorrente che non sia già stato vittima di un procedimento sanzionatorio relativo alla medesima fattispecie, o, addirittura, sia in una fase procedimentale temporalmente successiva. In altri termini, il modello sanzionatorio appare significativamente depotenziato in termini di efficacia (ed appare sostanzialmente irrilevante il valore del massimo edittale della sanzione amministrativa minacciata da AGCM, soprattutto per le imprese maggiori) se l’intervento dell’Autorità non riesce a garantire anche una equivalenza sostanziale e temporale degli effetti commerciali del proprio intervento su tutti gli attori del mercato. La possibilità di utilizzare in modo efficace gli strumenti sanzionatori nella lotta alle pratiche commerciali scorrette si è dimostrata molto differente in ragione della natura competitiva dei mercati: nei settori oligopolisti nei quali sia riscontrata la medesima violazione e sia possibile avviare contestualmente un procedimento sanzionatorio nei confronti di tutti gli attori del mercato, l’impatto reputazionale (specialmente per professionisti che operano nel B2C) e la contestuale modifica dei comportamenti commerciali (più che l’onere economico della sanzione amministrativa) possono condurre progressivamente a comportamenti virtuosi [36]. In altri mercati che egualmente sono caratterizzati da operatori dominanti in alcuni servizi/infrastrutture ma sono maggiormente “affollati” di attori (si pensi ai mercati dell’energia elettrica e del gas, delle comunicazioni di rete fissa, della grande distribuzione etc.), le necessità procedimentali hanno indirizzato AGCM ad avviare separate istruttorie che hanno avuto importanti effetti in termini di maggiore tutela del consumatore, ma non garantiscono una piena e efficace tutela dei consumatori per tutti i professionisti, i servizi e le aree geografiche. Infine uno dei casi più emblematici è rappresentato dal mercato dei servizi turistici on–line nel quale si sono succeduti diversi procedimenti sanzionatori relativi a fattispecie analoghe ai quali ha fatto seguito  una serie di procedimenti di inottemperanza che hanno sancito l’inefficacia del modello sanzionatorio come strumento adeguato e tempestivo per una azione di contrasto alle pratiche commerciali scorrette [37]. Perciò anche l’indirizzo giurisprudenziale minoritario secondo il quale “le sanzioni suscettibili di applicazione in materia non tendono soltanto a colpire il soggetto che abbia commesso un’infrazione, quanto e soprattutto ad ingenerare una indiretta coazione psicologica nei confronti degli altri soggetti, al fine di determinare una controspinta all’eventuale spinta all’infrazione: risultando, per l’effetto, riconoscibile nella sanzione stessa un carattere non già meramente afflittivo, ma anche educativo, risolvendosi essa in una giusta e commisurata reazione rispetto all’infrazione commessa” [38] pecca di evidente astrattezza in quanto predilige una lettura psicologica dei comportamenti dei professionisti, anziché ipotizzare in concreto l’adozione di un comportamento razionale teso alla massimizzazione dell’interesse economico dell’attività imprenditoriale 5. La necessità di nuovi strumenti di public enforcement. Occorre inoltre osservare che anche sotto un profilo metodologico il modello sanzionatorio non risponde più all’ampiezza dei compiti attribuiti ad AGCM ed al contesto socio-economico. Il modello sanzionatorio ereditato dalla disciplina della pubblicità ingannevole [39] e applicato in modalità sempre più estensive alle pratiche commerciali sleali [40], non si attaglia più alla centralità del ruolo attribuito ad AGCM “come istituzione amministrativa a tutto tondo per al tutela del consumatore in Italia, dalla repressione delle pratiche commerciali scorrette al controllo amministrativo oltre che sulle clausole vessatorie inserite nei contratti di massa e standardizzati (art. 37-bis c. cons.) anche sui “diritti dei consumatori nei contratti” di cui agli artt. 45-67 c. cons.”. [41]. L’istanza di certezza delle regole del rapporto tra consumatori e professionisti che emerge dal contesto socio-economico si combina con il dovere dell’istituzione pubblica, che è chiamata a valutare la correttezza delle norme sostanziali del rapporto contrattuale, di non poter più esigere, in un frangente di mercato così difficile, la modifica ex post delle condizioni contrattuali con i consumatori, ma di dover tracciare ex ante gli indirizzi applicativi e riservarsi l’esercizio del potere sanzionatorio nei confronti degli inadempienti. In altri termini, l’interpretazione del ruolo di custode degli interessi pubblici deve evolversi applicando il nuovo plesso normativo nel contesto socio-economico nel quale l’istituzione è chiamata a offrire soluzioni efficienti, concrete, stabili e proporzionate. Occorre soltanto rammentare che ciascuna delle caratteristiche richiamate per le soluzioni che AGCM dovrà adottare, ossia l’efficienza, la concretezza, la stabilità e la proporzionalità costituiscono declinazioni di principi comunitari e nazionali consolidati nel nostro ordinamento sia come criteri guida per l’azione della pubblica amministrazione che per i poteri riconosciuti al giudice amministrativo nello scrutinio dei provvedimenti delle PA. Perciò è necessario che le norme emendate dal D. Lgs. 21/2014, in particolare le norme di più complessa applicazione, quale il recesso, oppure quelle dove sia applicata l’armonizzazione minima, siano chiaramente indirizzate in tempi rapidi delle modalità applicative al fine di chiarire, nella fase di implementazione delle strutture organizzative e contrattuali dei professionisti, quale sia il corretto level playing field nei diversi mercati rilevanti, senza lasciare margini interpretativi che gravano in termini di incertezze applicative (e quindi di costi) sui consumatori e sulle imprese e con l’effetto di poter dedicare le risorse pubbliche in modo più efficace allo scopo di perseguire i professionisti che scientemente non si adeguano. In altri termini, la progressiva mutazione “genetica” dei compiti e delle funzioni dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato connessi al progressivo ampliamento dei competenze che potremmo genericamente definire come afferenti alla “tutela del consumatore”, rende necessario superare l’habitus concettuale e procedimentale ereditato dal diritto della concorrenza (in particolare dalla disciplina degli abusi) e completare l’evoluzione divenendo a pieno titolo (absit iniuria verbis!) il regolatore del mercato nella relazione tra professionisti e consumatori, dotandosi del necessario e complesso patrimonio in termini di capacità di analisi preventiva e prospettica del mercato e di apparati procedurali e analisi dell’impatto [42]. E non appare ostativa a tale evoluzione l’obiezione che l’AGCM deve poter cambiare parere rispetto ai propri precedenti provvedimenti sanzionatori, anzi conferma la necessità che venga meno una perenne aleatorietà dell’interpretazione della normativa primaria sulla base dell’applicazione del caso specifico allo scopo di evitare, in primis, una discriminazione dell’applicazione della disciplina a danno del singolo operatore oggetto del procedimento, in secundis, una strutturale instabilità delle “regole del gioco” che incide sui costi del “sistema” di produzione e di offerta dei beni e dei servizi e quindi sulla capacità di investire dei professionisti nonché, in ultima istanza, sull’attrattività del sistema Paese nel contesto globale [43]. 6. Conclusioni. L’analisi effettuata sugli strumenti di public enforcement attualmente resi disponibili dal legislatore per l’attuazione del D. Lgs. 21/2014 conduce a ritenere necessario un intervento legislativo che integri l’art. 66 del Codice del Consumo e i richiami normativi in esso presenti. In una prima fase potrebbe essere sufficiente estendere la procedura e la modellistica applicata all’art. 37-bis del Codice del Consumo, con le cautela applicative sopra evidenziate. In una fase successiva, una volta testato l’effetto sul mercato del modello dell’interpello e fatto un primo passo nell’evoluzione del proprio ruolo, innanzitutto culturale ma anche organizzativo, AGCM, in qualità di custode del mercato, potrebbe vedersi attribuire con un ulteriore intervento legislativo nuovi poteri di definizione ex ante delle modalità applicative ritenute necessarie delle norme primarie del Codice del Consumo, dovendo perciò ponderare ex ante quali siano le modalità proporzionate, ad esempio in considerazione della tipologia dei professionisti presenti sul mercato (ad esempio società multinazionali o piccole-medie imprese) e delle caratteristiche del consumatore medio, quali siano i criteri di implementazione tempo per tempo più adatti. Sarebbe sicuramente una rivoluzione copernicana nel modo di applicare il diritto dei consumatori ma sarebbe non solo più coerente con il rispetto dei principi comunitari e costituzionali che presidiano l’attività imprenditoriale, ma avrebbe anche l’effetto di poter essere oggetto di maggiore coordinamento e condivisione in sede di cooperazione tra le Autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa a tutela dei consumatori, ai sensi del Regolamento (CE) n. 2006/2004, aggiungendo un altro concreto tassello all’attuazione del principio di massima armonizzazione nel mercato comune. La possibilità di introdurre poteri normativi secondari, oltre agli effetti di trasparenza e certezza del diritto, amplierebbe l’impatto sul mercato del public enforcement e rappresenterebbe un ulteriore elemento, oltre a quelli sopra descritti, in una prospettiva di “degiurisdizionalizzazione”, più volte dichiarata come obiettivo prioritario del Governo. E’ opportuno infine sottolineare che l’auspicata adozione delle modifiche legislative e procedimentali proposte non implica che l’AGCM possa desistere dall’adozione di misure sanzionatorie efficaci e dissuasive, ma si ritiene che accanto all’attività di definizione delle regole e vigilanza sull’applicazione, l’azione sanzionatoria possa essere efficacemente indirizzata a colpire, anche con gli strumenti cautelari del Regolamento, la percentuale di professionisti, purtroppo fisiologica in ogni mercato, che si caratterizza per comportamenti gravemente abusivi atti a destare allarme sociale, spesso caratterizzate da strutture operative molto esili (rectius volatili) e sedi legali in paesi ove l’esecuzione dei provvedimenti è difficilmente eseguibile, ma nei confronti dei quali l’intervento repressivo appare l’unico strumento percorribile. Un nuovo mix nell’azione di public enforcement, nel quale l’azione di indirizzo ex ante si affianca ad una tempestiva repressione dei comportamenti abusivi appare perciò, ad avviso di chi scrive, più adatto a perseguire effettivamente gli obiettivi dello sviluppo del mercato unico dei consumatori e a elevare il rispetto della normativa a tutela dei consumatori a fattore competitivo qualificante per i professionisti e non ad effetto di una estenuante (e spesso inefficace) rincorsa tra “guardie e ladri”. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [**] Il presente lavoro si inserisce nella ricerca svolta dall’Università Europea di Roma nell’ambito del PRIN 2010/2011 dal titolo “La regolamentazione giuridica delle Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione (TIC) quale strumento di potenziamento delle società inclusive, innovative e sicure”. [1] La letteratura sulla Direttiva Consumer Rights è molto vasta perciò, senza finalità di completezza, ci limitiamo a richiamare alcuni contributi:   F. Della Negra, Il diritto del consumatore ed i consumatori nel quadro giuridico europeo. Alcuni spunti di riflessione sui recenti orientamenti della Corte di Giustizia, in www.personaemercato.it ; F. Bravo, I contratti a distanza nel codice del consumo e nella dir. 2011/83/Ue – Verso un codice europeo del consumo, Giuffrè, Milano, 2013; G. De Cristofaro, La direttiva 2011/83/UE sui “diritti dei consumatori”: ambito di applicazione e disciplina degli obblighi informativi precontrattuali, in A.A.V.V., Annuario del contratto 2011, a cura di E. Roppo e A. D’Angelo, Giappichelli, Torino, 2012, pp. 30-80; R. Pardolesi, Contratti dei consumatori e armonizzazione: minimax o commiato, in Foro italiano, 2012, V, 177-181;I. Riva, La direttiva di armonizzazione massima sui diritti dei consumatori, o almeno ciò che ne resta, in Contratto e impresa. Europa, 2011, 2, 754-774 ; S. Mazzamuto, La nuova direttiva sui diritti del consumatore, in Europa e diritto privato, 2011, 4, 861; V. Cuffaro, Nuovi diritti per i consumatori: note a margine del D.lgs. 21 febbraio 2014, n. 21, in Il Corriere Giuridico, 6/2014, 745; AA.VV., I nuovi diritti dei consumatori, Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e G. Nava, Torino, 2014. [2] Causa C-304/08, Zentrale zur Bekampfung unlauteren Wettbewerbs eV contro Plus Warenhandelsgesellschaft mbH, [3] Causa C-540/08, Mediaprint Zeitungs c. Osterreich Zeitungsverlag. [4] Cause riunite C-261/07 e C-299/07, VTB-VAB NV c. Total Belgium NV e Galatea. [5] Causa C-288/10 Wamo BVBA c. JBC NV, Modemakers Fashion NV, ordinanza del 30 giugno 2011. [6] si veda N. Zorzi Galgano, Dal Codice Europeo dei contratti al Regolamento della vendita: la logica del sistema, anche con riferimento alla protezione del consumatore, in Contratto e Impresa, Europa, 1/2012, p. 239 e ss., [7] Regolamento (CE) n. 2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 27 ottobre 2004 sulla cooperazione tra le Autorità nazionali responsabili dell’esecuzione della normativa che tutela i consumatori (“Regolamento sulla cooperazione per la tutela dei consumatori”). [8] Si rinvia a A. Genovese, Il ruolo dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nell’applicazione della normativa sulle pratiche commerciali scorrette. Alcune considerazioni, in Rimedi e tecniche di protezione del consumatore. A cura di AM Gambino, Torino 2011, pag. 276 ed alla dottrina ivi citata. [9] Il legislatore nazionale in sede di approvazione dei pareri parlamentari obbligatori previsti per il recepimento della Direttiva 2011/83 affermò in un comunicato stampa il 22 gennaio 2014 che “la Commissione Industria e la Commissione Europa del Senato hanno approvato all’unanimità la proposta della relatrice Elena Fissore sul recepimento della direttiva 2011/83/UE, concernente la regolazione dei contratti a distanza, stabilendo l’obbligo di forma scritta per tutti i contratti di fornitura di servizi conclusi telefonicamente.” [10 La previsione di un sistema che preveda la conferma da parte del professionista e l’accettazione del consumatore è stata adottata in sede di recepimento in Spagna, Grecia, Lussemburgo, Cipro, Lituania ed Estonia, con diverse modalità attuative [11] In merito si rinvia a: A. Ciatti, Tutela amministrativa e giurisdizionale, in A.A.V.V., Commentario breve al Diritto dei consumatori, a cura di G. De Cristofaro e A. Zaccaria, Cedam, Padova, 2013, 226; L. Rossi Carleo, La tutela amministrativa contro le clausole vessatorie, in Obbligazioni e Contratti, 2012, 7, 492 ss. [12] Sulla disposizione in parola, cfr. ex multis Perugini S., I “nuovi” strumenti di intervento dell’AGCM, in “Il Corriere Giuridico”, 7 – Allegato 1 / 2014, pp. 44 ss.; Labella E., Pratiche commerciali scorrette e rimedi civilistici, in “Contratto e Impresa”, 3 / 2013, pp. 688 ss.; Manfredi G., Giurì di Autodisciplina, Autorità indipendenti e Autorità giudiziaria, in “Il Diritto Industriale”, 1/2011, pp. 61 ss. In giurisprudenza, cfr., in merito alla ratio della disposizione, T.A.R. Lazio, Sez. I, 22 aprile 2009, n. 5249; in merito all’avvio d’ufficio del procedimento, T.A.R. Lazio, Sez. I, 27 maggio 2009, n. 5290; in merito ai diritti delle parti in fase istruttoria, Cons. Stato, Sez VI, 8 ottobre 2008, n. 4913. [13] In dottrina cfr. Genovesi G., Brevi note sul problema (non risolto) della legittimazione all’azione inibitoria a tutela dei consumatori, in “Il Corriere del Merito”, 2005. Tra i più recenti commenti alla disposizione, nella sua interazione con le altre norme della medesima Parte, cfr. anche Querci A., Via alla “class action” in Italia: un’arma spuntata?, in “Diritto e Pratica Tributaria”, 2/2010, pp. 407 ss.; Riccio A., La nuova azione di classe: prime riflessioni critiche, in “Contratto e Impresa”, 1/2010, pp. 8 ss.; Giuliani D., La c.d. class action pubblica: una tutela potenziale, in “Il Corriere del Merito”, 1/2013. [14] Sul punto si vedano in dottrina, tra gli altri, Trisorio Liuzzi G., I meccanismi processuali di tutela del consumatore, in www.judicium.it ; Punzi C., La tutela giudiziale degli interessi diffusi e degli interessi collettivi, in Riv. Dir. Proc., 2002, pp. 668 e ss.; Tarzia G., La tutela inibitoria contro le clausole vessatorie, in Riv. Dir. Proc., 1997, p. 668 e ss.. In giurisprudenza, cfr. Trib. Roma, 11 marzo 2003; Trib. Torino, ordinanza 17 maggio 2002; Trib. Roma, 21 gennaio 2009; Trib. Roma, 17 aprile 2009; Trib. Roma, 30 aprile 2008; Trib. Milano, 21 dicembre 2009. [15] Cfr. ex multis Consolo C., Zuffi B., L’azione di classe ex art. 140 bis codice del consumo, Padova 2012; Aliotta A., Spunti ricostruttivi sulla legittimazione ad agire nell’azione di classe prevista dal’’art. 140 bis cod. consumo, in “Il giusto processo civile”, 8/2013, pp. 1221 ss.; Frata L., L’art. 140 bis cod. cons. al vaglio del legislatore e della giurisprudenza di merito, in “Danno e responsabilità”, 17/2012, pp. 1236 ss.; Porcari F., Primi fragili spiragli per l’azione di classe contro gli enti pubblici territoriali, in “Responsabilità civile e previdenza”, 3/2014, pp. 969 ss.; Spadafora S., Le pretese tutelabili attraverso l’azione di classe. Spunti teorico-ricostruttivi e prassi applicativa, Padova 2012. In giurisprudenza cfr, Cassazione, Civ. III, 28 agosto 2011 n. 17351 e Cons. St., Sez. IV, 25 giugno 2013, n. 3481 in merito all’ampiezza peculiare della legittimazione all’azione di classe. [16] In dottrina, cfr. per tutti Zeno Zencovich V., Verso un diritto processuale dei consumatori?, in “La nuova giurisprudenza civile commentata”, 2009; Piccirilli E. M., La leva fiscale come strumento per incentivare la “mediaconciliazione” nelle controversie civili e commerciali, in “Il fisco”, 47 / 2011, pp. 7679 ss. In giurisprudenza cfr. Cassazione Civ III, 17 maggio 2007, n. 11452 sulla facoltatività della procedura conciliativa e sulla conseguente inefficacia del suo mancato espletamento come condizione di procedibilità della domanda giudiziale, Corte costituzionale 18 febbraio 2009, n. 51 sulla manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale relativa al tentativo obbligatorio di conciliazione. [17] si rinvia a A. Ciatti, Tutela amministrativa e giurisdizionale, in A.A. V.V. Commentario breve al Diritto dei consumatori, a cura di D. De Cristofaro e A. Zaccaria, Padova 2013, pag. 226 e alla dottrina ivi citata. [18] A norma del quale “Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi”. [19] Ai sensi del quale “Ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell’Unione siano stati violati ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice […]”. [20] Ai sensi del quale “Per il raggiungimento dei propri scopi, le camere di commercio promuovono, realizzano e gestiscono strutture ed infrastrutture di interesse economico generale a livello locale, regionale e nazionale, direttamente o mediante la partecipazione, secondo le norme del codice civile, con altri soggetti pubblici e privati, ad organismi anche associativi, ad enti, a consorzi e a società”. [21] In merito si veda anche la Relazione illustrativa allo schema di decreto legislativo recante l’attuazione della direttiva 2011/83/UE sottoposto dal Governo al parere parlamentare il 3 dicembre 2013. [22] L. Rossi Carleo, Il public enforcement nella tutela dei consumatori, in Il Corriere giuridico, 7 Allegato 1/2014, pag. 5. In merito ai crescenti esempi di doppio binario di tutela introdotti dal diritto comunitario (con rilevanti problematiche di sovrapposizione con le discipline generali a tutela del consumatore),  si veda la Direttiva 2009/140/UE recepita nell’ordinamento italiano con il decreto legislativo n° 70 del 28 maggio 2012; la Deliberazione dell’AEEG del 6 giugno 2014 266/2014/R/COM recante Adeguamento al decreto legislativo 21/2014 del Codice di condotta commerciale e di altre disposizioni relative alla tutela dei consumatori, secondo i poteri conferiti dalla direttiva 2011/83/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 25 ottobre 2011, dalla direttiva 2009/72/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009 e dalla direttiva 2009/73/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 13 luglio 2009. [23] Possiamo soltanto accennare, in questa sede, a tematiche di centrale rilevanza nell’evoluzione del rapporto tra il perimetro delle libertà individuali e quali siano gli interessi pubblici tutelabili e quindi nei quali lo Stato possa travalicare legittimamente la volontà individuale. In merito al c.d. neoformalismo, si rinvia ex multis a: N. Irti, Studi sul formalismo negoziale, Padova, 1997; S. Landini, Formalità e procedimento contrattuale, Giuffrè, Milano, 2008; S. Pagliantini, Il contratto di credito al consumo tra vecchi e nuovi formalismi, in Obbligazioni e Contratti, 2009; E. Fazio, Dalla forma alle forme. Struttura e funzione del neoformalismo negoziale 2011. Ai fini di una analisi sociologica dell’evoluzione degli strumenti contrattuale in sede globale, ex multis si rinvia a Maria Rosaria Ferrarese, La governance tra politica e diritto, Mulino 2010. [24] Trib. Milano, 2 aprile 2013, Fiavet c. Expedia; analogamente, Trib. Milano, 27 dicembre 2013, Brennercom c. Telecom Italia. [25] Cass. civ., Sez. VI, 23 aprile 2014, n. 9116. [26] Ex pluribus, M. Libertini, L’azione di classe e le pratiche commerciali scorrette, in Riv. dir. ind., 2011, 147; Fabbio P., L’efficacia dei provvedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nel processo civile, con particolare riguardo alle materie delle pratiche commerciali scorrette e della pubblicità ingannevole e comparativa, in Conc. e merc., 2013, 200 ss.; Liliana Rossi Carleo – Il public enforcement nella tutela dei consumatori (Il Corriere Giuridico, 7/2014, p. 5); A. Trotta – Il rapporto tra il giudizio civile e gli atti dell’AGCM e della Commissione, in Dizionario sistematico del diritto della concorrenza, a cura di Lorenzo F. Pace, Jovene, 2013; Claudio Tesauro – Recenti sviluppi del private antitrust enforcement – Mercato Concorrenza e Regole, 3/2011; Mario Siragusa, Ferdinando Emanuele, Marco D’Ostuni – La responsabilità civile in materia antitrust, in Codice ipertestuale della responsabilità civile, Tomo 2, Torino, 2008; Geremia Casaburi – Tutela dei consumatori, disciplina della concorrenza sleale e dei segni distintivi tra giudice ordinario e Autorità Garante – Il Diritto Industriale, 1 / 2013, p. 58; Michele Carpagnano – Vent’anni di applicazione giudiziale delle regole di concorrenza in Italia: 1990-2010, in Concorrenza e Mercato 2011, Giuffrè; Valerio Mosca – Private enforcement antitrust: accertamento e quantificazione del danno, in Il Diritto Industriale, 5/2010. [27] TAR Lazio, Sez. I, sentenza n. 04456/2012 provvedimento AGCM 23155 Apple Sales International [28] In senso critico sulla legittimità di utilizzo dell’istituto della moral suasion si veda De Cristofaro, La disciplina generale della pubblicità contenuta nel D. Lgs. 145/2007, in De Cristofaro (a cura di) Pratiche commerciali scorrette e Codice del Consumo, Torino, 2008, pag. 522. [29] Si vedano i provvedimenti PS 8756 – Hogan siti contraffatti provv. 24468 del 31 luglio 2013; PS 8757 – Gucci- siti contraffatti provv. 24469 del 31 luglio 2013; PS8758 – Prada siti contraffatti provv. 24470 del 31 luglio 2013. [30] Occorre sottolineare che una apertura indiscriminata al diritto di interpello potrebbe creare grandi difficoltà al funzionamento dell’istituzione perciò si può immaginare che l’interpello, in quanto istituto che vuole indirizzare preventivamente l’operato dei professionisti, sia riservato  a tale categoria con priorità per le richieste pervenute in forma aggregata mentre i consumatori, individualmente o in forma aggregata si potranno avvalere del consueto potere di segnalazione. [31] Si veda, da ultimo, il procedimento IP166 concluso da AGCM il 29 ottobre 2013 nei confronti di DodoTour Evolution Travel, che fa seguito a provvedimenti n. 16906 del 28 maggio 2007 di accertamento dell’ingannevolezza del messaggio, la prima inottemperanza (provv. 17757 del 20 dicembre 2007, poi estesa il 7 maggio 2008), la seconda inottemperanza del 29 aprile 2009, il terzo procedimento di inottemperanza avviato il 18 giugno 2013 e concluso con la sospensione dell’attività per 15 giorni, ossia la sospensione dei siti utilizzati per veicolare i messaggi ed i servizi. [32] In realtà la modifica del massimo edittale previsto all’art. 27, comma 9 era già stata introdotta dall’art. 23, comma 12-quinquiesdecies del Decreto legge 6 luglio 2012 n.95 convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012 n. 135, che viene abrogato dall’art. 1, comma 7 del D. Lgs. 21/2014. [33] Si veda, ad esempio, i provvedimenti n. 19446 TIM – variazioni unilaterali autoricarica del 2 gennaio 2009 e n. 19449 Vodafone cambio piano tariffario del 22 gennaio 2009 con i quali entrambi gli operatori furono sanzionati per l’importo edittale massimo al tempo previsto (500.000 euro). [34] Affrontando questa tematica da altra prospettiva, appare evidente che la visibilità mediatica degli esiti dell’attività istituzionale dell’AGCM può essere positivamente influenzata dalla notorietà del marchio dei professionisti oggetto dei procedimenti sanzionatori. Sarebbe perciò terreno di approfondimento per economisti ed esperti in comunicazione vagliare se la maggiore o minore notorietà del marchio del professionista possa incidere sulla scelta di avviare un procedimento sanzionatorio da parte di AGCM. [35] In merito alla pubblicazione della pronuncia per estratto si veda il provvedimento AGCM del 19 luglio 2001, n. 2610 nei confronti di FMR ART’E’ che aveva disposto la pubblicazione per estratto della delibera entro 30 giorni su un quotidiano nazionale, su un settimanale e sull’home page del sito Internet della società per trenta giorni consecutivi. Sull’obbligo di pubblicazione si veda l’ordinanza cautelare del TAR Lazio, sez. 1 del 10 novembre 2011, n. 4147 e la sentenza n. 02387/2012 che hanno sospeso la sanzione reputazionale e confermato la censura di sproporzione complessiva della sanzione irrogata dall’Autorità, tenuto soprattutto in conto del fatto che le pratiche scorrette oggetto della sanzione avessero già avuto “vasta eco mediatica”. [36] Un esempio di un mercato oligopolistico rispetto al quale AGCM ha operato sovente avviando una pluralità di procedimenti paralleli è il mercato dei servizi mobili ed in particolare alcuni servizi offerti trasversalmente su tutte le reti. L’azione sanzionatoria plurioperatore di AGCM, durata quasi un decennio, ha consentito di eliminare progressivamente dal mercato i comportamenti più gravemente abusivi e di indurre l’adozione di forme evolute di codici di condotta. [37] A titolo di esempio si rammentano alcuni dei provvedimenti adottati da AGCM in questo mercato: con provvedimento n. 22120 del 16 febbraio 2011 l’AGCM, all’esito del procedimento PS1442, ha ritenuto le pratiche commerciali poste in essere da eDreams fossero scorrette ai sensi degli artt. 20, comma 2, 21, 22, 23, lettera e), 24 e 25, lettere a) e d), del Codice del Consumo. l’Autorità, con provvedimento n. 23693 del 27 giugno 2012 (procedimento IP146), ha successivamente contestato a eDreams di aver violato la lettera a) citata delibera n. 22120 del 16 febbraio 2011, successivamente ha deliberato l’inottemperanza con provvedimento n. 24044 del 14 novembre 2012. L’AGCM, con il provvedimento n. 24044 del 14 novembre 2012, ha ritenuto che il comportamento posto in essere da eDreams costituisse inottemperanza alla lettera a) della delibera del 16 febbraio 2011, n. 22120, in quanto la veste grafica della homepage del sito internet www.edreams.it, anche con le modifiche da ultimo proposte, non risultava ancora idonea a garantire ai consumatori una chiara percezione, sin dal contatto iniziale, del costo globale delle offerte disponibili. Infine l’AGCM, con il provvedimento del 4 dicembre 2013, ha accolto gli impegni proposti ma ha irrogato una sanzione 50.000 per la lunga inottemperanza riscontrata. Con provvedimento n. 22118 del 16 febbraio 2011 AGCM ha accertato la scorrettezza di due pratiche commerciali poste in essere da Opodo Italia ai sensi degli artt. 20, 21, 22, 23, lettera f), del Codice del Consumo. Con provvedimento n. 23812 dell’8 agosto 2012, AGCM ha deliberato che il comportamento della società Opodo riscontrato documentalmente a valle della diffida a proseguire le violazioni sopracitate ha costituito una inottemperanza alla delibera n. 22118 del 16 febbraio 2011 in quanto il professionista ha continuato a promuovere le proprie offerte con modalità non dissimili da quelle precedentemente censurate. Il provvedimento è stato notificato all’operatore in data 21 agosto 2012. Con il Provvedimento n. 24458  del 24 luglio 2013 l’AGCM ha ritenuto che i fatti accertati integrassero una fattispecie di reiterata inottemperanza alla lettera a) della delibera dell’Autorità n. 22118 del 16 febbraio 2011, ai sensi dell’articolo 27, comma 12, del Codice del Consumo, che nonostante le modifiche proposte da Opodo AGCM ha ritenuto che non apparissero idonee a eliminare i profili di scorrettezza rilevati dall’Autorità e perciò si è conclusa con l’adozione del provvedimento AGCM n. 24698 che ha irrogato una sanzione amministrativa pecuniaria per l’importo di 150.000 euro. Nello stesso senso si veda la sentenza TAR Lazio, Sez. I, n. 3318 del 12 aprile 2012. [38] In questo senso TAR Lazio, Sez. I, 17 giugno 2010, n. 18462, in senso conforme TAR Lazio, Sez. I, 19 novembre 2002, n. 10131 e TAR Lazio, Sez. I, 29 dicembre 2009, n, 13749. [39] Si veda il decreto legislativo 25 gennaio 1992 n. 74 che prevedeva per l’inottemperanza la qualifica di illecito penale punita con l’arresto fino a tre mesi e l’ammenda fino a cinque milioni di lire. [40] La revisione del regime sanzionatorio è stata compiuta dalla L. 6 aprile 2005, n. 49 introducendo le sanzioni amministrative pecuniarie per le ipotesi di pubblicità ingannevole e comparativa, poi modificato dal D. Lgs. 2 agosto 2007 n. 146 e dal D. Lgs. 2 agosto 2007, n. 145. [41] In merito si veda l’approfondita analisi, in parte condivisibile, di S. Perugini, Il recepimento della Direttiva 2011/83/UE: prime riflessioni, in Giustizia Civile.com 21 maggio 2014. [42] Ovviamente in questa sede non è opportuno approfondire la legittimità comunitaria dell’art. 27, comma 1-bis CC che ha inteso disciplinare l’applicazione del principio di specialità ai comportamenti che integrano una pratica commerciale scorretta nei mercati regolati (comunicazioni elettroniche, energia elettrica, gas, trasporti, assicurativo etc.) né le modalità di applicazione del medesimo principio di specialità previsto dalla Direttiva Consumer Rights all’art.  3, comma 2. In merito si rinvia, in senso adesivo al dettato dell’art. 27, comma 1-bis del D. Lgs 21/2014, a S. Perugini, Il recepimento della Direttiva 2011/83/UE: prime riflessioni, cit. mentre in senso critico rispetto alla scelta del legislatore si veda V. Carfi, Pratiche commerciali: il comma 1-bis dell’art. 27 del Codice del Consumo in Rivista della Regolazione dei mercati, 1/2014, pag. 201 e S. La Pergola, Commento all’art. 1, commi 6 e 7, in AA.VV., I nuovi diritti dei consumatori, Commentario al d.lgs. n. 21/2014, a cura di A.M. Gambino e G. Nava, Torino, 2014; G. Nava, Il legislatore interviene nuovamente sul riparto delle competenze tra AGCM e Autorità di settore in merito all’applicazione delle pratiche commerciali scorrette: la soluzione definitiva?, in Diritto, Mercato, Tecnologia, N. 1 2014. [43] Un condivisibile critica al modello di intervento mediante procedimenti sanzionatori ed agli impatti negativi sui costi e quindi anche sui consumatori, in particolare in presenza di bis in idem, emerge anche dalle note sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 11 e ss. del maggio 2012. Scarica il contributo [Pdf] Scarica il quaderno Anno IV – Numero 2 – Aprile/Giugno 2014 [pdf]

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