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“L’arte oltre l’arte” La street art come bene comune

“L’arte oltre l’arte”
La street art come bene comune

di
Ilaria Ferlito

 

Considerare l’arte contemporanea non più una «categoria cronologica» (un certo periodo della storia dell’arte), piuttosto una «categoria generica», recte una certa definizione della pratica artistica, implica il doversi poter tollerare l’esistenza simultanea, nel mondo attuale, dell’arte contemporanea, dell’arte moderna, sinanco dell’arte classica, benché questa ultima “non abbia più protagonisti”.

Contrariamente al diciannovesimo secolo, ove non v’era che un solo “mondo dell’arte”, la seconda metà del ventesimo secolo vede la coesistenza di più mondi artistici: la produzione artistica del secolo breve, lungi dal ridursi alla “avanguardia radicale”, sì come affermano molti storici dell’arte, si presenta come plurale, laddove due concezioni eterogenee dell’avanguardia coesistono con la tradizione delle “belle-arti”. Se è importante comprendere la natura non cronologica ma categoriale dell’arte contemporanea è perché la sua specificità si gioca al livello della natura delle opere stesse: l’arte contemporanea è un nuovo “paradigma” artistico – uno zoccolo duro, nel senso voluto da Thomas Kuhn3, condiviso da tutti, il quale non ha potuto che imporsi a prezzo di una rottura con lo stato anteriore del sapere.

Del resto, è così che procedono le “rivoluzioni” scientifiche, non già con una progressione lineare e continua della conoscenza, piuttosto con una serie di rotture. V’è stato, nel ventesimo secolo, un cambiamento effettivo di rappresentazioni collettive che muovono in tal senso – si tratta di un cambiamento sfociato in ciò che si chiama “arte moderna”, cui è succeduta dopo gli anni Sessanta la cosiddetta “arte contemporanea”. Se è vero che l’“incompatibilità” vale relativamente ai paradigmi scientifici, e non altrettanto per i paradigmi artistici, che si presentano nei vari periodi storici come coesistenti tra loro, è altrettanto vero che la storia dell’arte occidentale offre un importante esempio di cambiamento paradigmatico sì radicale da comportare unaridefinizione dell’arte stessa: è esattamente quanto è capitato con l’arte contemporanea.

L’arte moderna ha coabitato durante molte generazioni con l’arte classica, ed anche l’arte contemporanea coabita dopo circa due generazioni con l’arte moderna, al prezzo di una “crisi” endemica. Così, se i paradigmi scientifici si escludono tra loro, almeno logicamente, dato che in realtà essi possono coesistere almeno per un certo tempo, c’è da rilevare come – benché, a differenza della verità della scienza, l’esperienza percettiva dell’arte appaia ben sopportare la pluralità – la coesistenza di differenti paradigmi artistici resti assai meno lontana dal modello scientifico di quanto possa apparire.

In aliis verbis, l’arte contemporanea ben funziona come un paradigma, dotata com’è di caratteristiche proprie, così radicalmente in rottura con gli altri paradigmi artistici – e prima di tutto con il paradigma moderno – che sembra impossibile qualunque coesistenza; è dunque una vera “rivoluzione artistica” che si produce al nostro sguardo.

 

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