skip to Main Content

“Ominiteismo e demopraxia”. Il ruolo della tecnologia blockchain nel diritto dell’arte.

“Ominiteismo e demopraxia”. Il ruolo della tecnologia blockchain nel diritto dell’arte.

di

Ilaria Ferlito

Università degli studi di Salerno

 

“Noi siamo liberi. E ci rifiutarono dove ci credevamo ben accolti”.
L’arte – atto creativo, libero e liberante, che consente di plasmare la realtà secondo un punto di vista personalissimo, perciò critico (in senso sartriano, “non neutrale”), prodotto del genio umano, che si risolve e si traduce nelle forme proprie dell’attività dello spirito e della sua intuizione subliminale – è, anzitutto, una forma di comunicazione. Già Croce parlava in senso artistico di “un’intuizione che si fa espressione”. Nell’arco di una produzione teorica che di volta in volta si misura con i principi fondanti dell’estetica, il filosofo del neoidealismo italiano va articolando la propria tesi fondamentale, che concepisce l’arte come intuizione ed espressione, sì richiamandosi alla figura di Giambattista Vico, primo a proporre una “Logica poetica” distinta da quella intellettuale, capace di considerare la poesia una forma di conoscenza autonoma rispetto alla filosofia ed avente come principio la fantasia: “la conoscenza ha due forme: è o conoscenza intuitiva o conoscenza logica; conoscenza per la fantasia o conoscenza per l’intelletto; conoscenza dell’individuale o conoscenza dell’universale; delle cose singole ovvero del-le loro relazioni; è insomma, o produttrice di immagini o produttrice di concetti”.
Il dominio dell’arte è, dunque, – secondo il senso originario della locuzione “estetica” (autonoma “scienza della sensibilità”) introdotta a metà del Settecento dal filosofo tedesco Baumgarten e la concezione kantiana dell’Estetica trascendentale esposta nella Critica della ragion pura – quello dell’intuizione dell’individuale e dell’immagine fantastica, un dominio profondamente diverso da quello della logica o della scienza, che procedono per elaborazione di concetti, costruzione di classi, astrazioni, ordinamento di fatti. L’intuizione – apprensione immediata di un contenuto sensibile opposta all’elaborazione immediata di un contenuto sensibile e all’elaborazione discorsiva prodotta dall’intelletto; presenza di un contenuto ai nostri sensi (un’immagine, un colore, un suono) prima dell’intervento di qualsiasi organizzazione concettuale –, scevra da ogni elemento concettuale (“pura”), plasma e dà forma alle sensazioni, le fissa in immagini senza pronunciarsi sulla loro verità o falsità, le esprime: “ogni vera intuizione o rappresentazione è, insieme, espressione. Ciò che non si oggettiva in un’espressione non è intuizione o rappresentazione, ma sensazione e naturalità. Lo spirito non intuisce se non facendo, formando, esprimendo. Chi separa intuizione da espressione, non riesce mai più a congiungerle. L’attività intuitiva, tanto intuisce quanto esprime”.
L’atto estetico è forma, e nient’altro che forma, e proprio nella sua capacità di dar forma al sentimento risiede la funzione catartica dell’arte, giacché elaborando le impressioni, l’uomo si libera da esse: “oggettivandole, le distacca da sé e si fa loro superiore. La funzione liberatrice e purificatrice dell’arte è un altro aspetto e un’altra formula del suo carattere di attività”. Da sempre alla creazione artistica – una forma di linguaggio autonomo che interpreta e conosce il mondo – è affidato il compito di cantare il dolore, di riplasmare eventi tragici dell’umanità o della storia, conflitti personali inaccettabili che nella realizzazione pratica dell’opera trovano sbocco e sublimazione. Si pensi a Guernica di Picasso, alla Pietà di Michelangelo o alla Zattera della Medusa di Géricault: emblemi di tragiche vicende collettive o intime in cui il simbolo assurge a metafora del dolore e dello smarrimento del centro, recte di un punto di riferimento esistenziale e umano cui ancorarsi. L’arte rappresenta e propone, raffigura e mostra l’incontenibile e il devastante, l’orrido e l’imprevedibile, il disumano e la calamità nella misura voluta dall’artista, col metro del suo poiein. Ciò scioglie il pianto nella comprensione, l’urlo nella visione, l’angoscia nella contemplazione di un evento che si fa universale. Lungimirante e penetrante, lo sguardo del poeta-artista accoglie i fatti in un tempo sospeso, ritagliato dalla cronologia e proiettato nel presente di ciascuno di noi: un tempo indimenticabile, fuori della storia, ma dentro la memoria per sempre. Il dolore, filtrato dalla bellezza, diventa sonda e scandaglio dell’animo umano, giudizio e meditazione. L’arte desta le coscienze, scuote dal torpore e riconduce all’integrità gnoseologica e pratica della persona. L’Estetica è Etica e moralità, modus vivendi e pensiero, filosofia e storia, spiritualità e concretezza del vivere, espressione ed autonomia. L’ardita connessione, opinabile per molti versi, tracciata da Luigi Zoja tra Bellezza e Giustizia, sovviene a tal riguardo, risultando sovente un popolo non avezzo all’apprezzamento dei valori estetici poco incline all’equilibro pur in campo etico: “il bisogno di giustizia è qualcosa di naturale, di archetipo, che precede ogni educazione. Ma il bisogno di bellezza non è sostanzialmente diverso. Così simili sono le due aspirazioni, che una vittoria della bruttezza sulla bellezza è facilmente sentita come il male che vince sul bene ed il preferire la bruttezza alla bellezza appare sempre come un’azione malvagia”.

 

 

Clicca qui per scaricare il contributo completo 

Back To Top