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A proposito delle questioni di legittimità costituzionale del divieto di procreazione eterologa

di Filippo Vari

Relazione presentata al convegno “La fecondazione eterologa tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo”, tenutosi il 2 aprile 2012 all’Università Europea di Roma.
SOMMARIO: 1. Il divieto di fecondazione eterologa e il preesistente caos nel settore della procreazione artificiale. – 2. Le questioni sottoposte al giudice delle leggi. – 3. Il fondamento costituzionale del divieto di procreazione eterologa. – 4. La presunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost. – 5. La peculiarità dei beni in giuoco nel caso della PMA eterologa. – 6. La salute psico-fisica della coppia e il “diritto” al figlio. – 7. La procreazione eterologa, i giudici e  la politica.
1. Il divieto di fecondazione eterologa e il preesistente caos nel settore della procreazione artificiale.
Uno dei limiti più significativi posti alle pratiche di procreazione artificiale (PMA) dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 è rappresentato dal divieto di fecondazione eterologa. Essa è proibita dall’art. 4, comma 3 della legge, con una norma alla cui violazione l’art. 12, comma 1, collega una sanzione amministrativa di carattere pecuniario.
Prima dell’entrata in vigore della normativa ora richiamata, allorquando l’Italia veniva considerata meta del c.d. turismo procreativo [1], la pratica era ritenuta ammessa. Si ricorderà il caos che regnava in materia, con coppie che vi ricorrevano e, poi, dopo litigi vedevano il marito iniziare complessi percorsi giudiziari per disconoscere il bambino nato.
Di simile problematica era stata chiamata a occuparsi anche la Corte costituzionale, in particolare con riferimento alla legittimità costituzionale dell’art. 235 c.c. nella parte in cui, secondo il giudice remittente, non precludeva al padre, che avesse prestato il proprio consenso all’inseminazione eterologa della moglie, la possibilità di esercitare in seguito l’azione per il disconoscimento di paternità. Nel dichiarare inammissibile la questione [2] e, comunque, inapplicabile il suddetto articolo del codice civile alle vicende legate a un procedimento di procreazione assistita, considerata la differenza tra quest’ultima fattispecie e la generazione derivante da un rapporto adulterino disciplinata dall’art. 235 c.c., il giudice delle leggi aveva evidenziato “la situazione di carenza” di garanzie determinata dall’assenza di una legge sulla procreazione artificiale. Carenza le cui “implicazioni costituzionali” erano tali, secondo la Corte, da chiamare in causa il legislatore, al quale spettava, infatti, specificare le preminenti garanzie per il bambino [3] nato a seguito delle pratiche di procreazione assistita, “non solo in relazione ai diritti e ai doveri previsti per la sua formazione, in particolare dagli artt. 30 e 31 della Costituzione, ma ancor prima – in base all’art. 2 Cost. – ai suoi diritti nei confronti di chi si sia liberamente impegnato ad accoglierlo assumendone le relative responsabilità”.
In sintonia con la citata pronuncia si è venuta a porre, poco tempo dopo,  una sentenza della Corte di cassazione [4] che, in un caso analogo a quello sottoposto al giudice delle leggi, ha respinto la domanda di disconoscimento di paternità presentata, ai sensi dell’art. 235 c.c., da un marito che in precedenza aveva acconsentito a che la moglie intraprendesse una procedura di fecondazione eterologa [5]. In tal modo, però, la Suprema Corte ha finito per configurare l’azione di disconoscimento di paternità – indisponibile e quindi irrinunciabile, in quanto posta a tutela di interessi superiori – come suscettibile, da parte del marito, di rinunzia tacita, conseguente al consenso a che la propria moglie fosse sottoposta a fecondazione eterologa [6].
A fronte, dunque, del caos che regnava nel settore della PMA, il legislatore, dopo dibattiti decennali, è intervenuto sancendo un divieto assoluto di procreazione eterologa, poi sottoposto a referendum abrogativo nel 2005, senza raggiungere il quorum di partecipazione, con una percentuale di votanti pari al 25,63% degli aventi diritto [7].
2. Le questioni sottoposte al giudice delle leggi.
Il divieto di fecondazione eterologa è oggi rimesso in discussione da tre ordinanze di rimessione alla Corte costituzionale [8], sollevate in peculiari giudizi civili. In essi i convenuti concordano con le tesi degli attori, che esigono di sottoporsi a pratiche di procreazione artificiale con gameti di terzi estranei alla coppia, ma dichiarano di non potere soddisfare le loro pretese in ragione di quanto previsto dalla legge n. 40 del 2004, sì da dare l’idea di lites fictae [9].
Al di là di tali aspetti, di carattere più processuale, le questioni sollevate dai giudici rimettenti riguardano in particolare gli artt. 2, 3, 29, 31 e 117 Cost.
Come è noto le ordinanze hanno tratto spunto da una sentenza della prima sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo, relativa all’ordinamento austriaco [10]. Tale decisione condannava l’Austria per violazione del combinato disposto degli artt. 8 e 14 della CEDU, che sanciscono rispettivamente il diritto alla vita privata e familiare e il divieto di discriminazione, in ragione di alcune incongruenze previste dalla normativa ivi vigente, che consentiva forme di fecondazione eterologa in vivo, ma le vietava invece in vitro. In primo grado gli argomenti addotti dal governo austriaco a sostegno della normativa erano stati ritenuti insufficienti dalla Corte di Strasburgo.
Facendo leva su alcuni passaggi contenuti nella decisione i giudici rimettenti hanno ritenuto che il divieto di fecondazione eterologa vigente in Italia si ponga in contrasto con gli artt. 8 e 14 della CEDU come interpretati dalla Corte europea e, dunque, con l’art. 117 Cost., primo comma, nella parte in cui prevede che “la potestà legislativa è esercitata dallo Stato … nel rispetto … degli obblighi internazionali”.  Ciò in ragione della giurisprudenza oramai consolidata del giudice delle leggi, la quale, a partire dalle sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 (c.d. sentenze gemelle), “è costante nel ritenere che le norme della CEDU – nel significato loro attribuito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo, specificamente istituita per dare ad esse interpretazione ed applicazione (art. 32, paragrafo 1, della Convenzione) – integrano, quali «norme interposte», il parametro costituzionale espresso dall’art. 117, primo comma, Cost., nella parte in cui impone la conformazione della legislazione interna ai vincoli derivanti dagli «obblighi internazionali»” [11].
Alcuni giudici rimettenti hanno anche eccepito, ai sensi dell’art. 3 Cost., l’irragionevolezza del divieto di fecondazione eterologa, ipotizzando principalmente che esso darebbe vita a un’illegittima discriminazione tra coppie che, utilizzando i propri gameti, possono ricorrere alla PMA e coppie che, dovendo invece fare ricorso a gameti altrui, incappano nel divieto di procreazione eterologa e, dunque, non possono fare ricorso alla procreazione artificiale.
Ulteriore profilo sottoposto al vaglio del giudice delle leggi è quello di una possibile violazione del diritto alla salute psico-fisica della coppia, che sarebbe protetto dall’art. 32 Cost., anche in ragione della lamentata intromissione del legislatore in una sfera riservata alla scienza medica, nonché dei possibili viaggi di “turismo” procreativo ai quali la coppia potrebbe decidere di sottoporsi per aggirare il divieto di procreazione eterologa vigente in Italia.
Infine, le ordinanze evocano la violazione degli artt. 2, 29 e 31 Cost., potendosi desumere dagli stessi un fondamentale diritto alla vita familiare, che parrebbe assumere, nelle ordinanze di rimessione, le connotazioni di un diritto all’autodeterminazione nella scelta delle modalità procreative, se non di un vero e proprio “diritto al figlio”.
3. Il fondamento costituzionale del divieto di procreazione eterologa.
In realtà, il divieto di fecondazione eterologa sembrerebbe costituire attuazione di alcune disposizioni costituzionali [12].
In particolare, un obbligo del legislatore di vietare tale pratica potrebbe dedursi anzitutto dall’esistenza, nell’ordinamento costituzionale italiano, del principio della responsabilità per procreazione. Tale responsabilità, che sorge per il fatto in sé della generazione [13], è fondata sul primo comma dell’art. 30 Cost., ai sensi del quale “è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati fuori del matrimonio” [14].
La responsabilità per procreazione si connette a una vera e propria funzione dei genitori, come evidenziato anche dalla Corte costituzionale, secondo la quale la potestà dei genitori nei confronti del bambino “è riconosciuta dall’art. 30, primo e secondo comma, della Costituzione non come loro libertà personale, ma come diritto-dovere che trova nell’interesse del figlio la sua funzione ed il suo limite” [15].
Analizzando in maniera più dettagliata il contenuto della funzione affidata ai genitori, va osservato che il mantenimento “si traduce nel dare al figlio i mezzi economici necessari affinché possa realizzare e acquisire un grado di cultura personale e professionale e quindi autonomia nella vita sociale” [16].
Quanto all’istruzione e all’educazione, si tratta di compiti che “si integrano a vicenda e si compongono tra loro”, in quanto finalizzati i primi alla formazione intellettuale, nozionale e professionale e i secondi alla trasmissione dei valori etici, morali e religiosi su cui il figlio possa fondare la propria vita [17].
I compiti ora ricordati non sono né derogabili né disponibili da parte dei genitori. Infatti, l’art. 30 Cost., comma secondo, stabilisce che soltanto nei “casi di incapacità dei genitori” “la legge provvede a che siano assolti i loro compiti”.
In contrasto con tali previsioni l’introduzione di tecniche di procreazione eterologa darebbe vita a un grave pregiudizio nei confronti del minore, che verrebbe privato dei propri diritti nei confronti del genitore naturale. “L’eterologa”, infatti, fondandosi sulla regola per cui il genitore biologico perde qualsiasi forma di legame giuridico con il figlio, finisce per rendere disponibile la responsabilità per procreazione del genitore che presta i propri gameti, con evidente nocumento del figlio e in contrasto con la disposizione costituzionale.
Dall’esistenza della responsabilità dei genitori per il fatto della procreazione deriva, dunque, la conseguenza che il legislatore ordinario “non può recidere”, ammettendo la fecondazione eterologa, “il vincolo giuridico che il precetto costituzionale determina come effetto della procreazione” [18].
Ulteriore fondamento del divieto di procreazione eterologa può essere rinvenuto nell’esigenza di garantire il diritto fondamentale della persona a conoscere le proprie origini e il proprio patrimonio genetico [19].
Di recente, sia pure in relazione ad altre problematiche, anche la Corte costituzionale ha riconosciuto che “la verità biologica della procreazione costituisce una componente essenziale dell’interesse del medesimo minore, che si traduce nella esigenza di garantire ad esso il diritto alla propria identità e, segnatamente, alla affermazione di un rapporto di filiazione veridico” [20].
Il diritto della persona a conoscere le proprie origini merita tutela “sia per necessità patrimoniali assistenziali”, garantite a livello costituzionale dal sopra citato art. 30, “sia per superiori esigenze di salute che impongono di accertare la parentela genetica per prevenire o curare situazioni patologiche di cui la persona … sia o possa essere affetta” [21].
E’ noto, infatti, che lo sviluppo delle moderne acquisizioni scientifiche in tema di cura di alcune malattie tende a basarsi sul patrimonio genetico, la cui conoscenza è sempre più importante [22]. In riferimento a questo profilo, la garanzia del diritto a conoscere le proprie origini genetiche potrebbe trovare fondamento costituzionale tanto nell’art. 32 Cost., sotto il profilo della tutela della salute, quanto nell’art. 2 Cost., notoriamente interpretato dalla giurisprudenza, anche costituzionale, come norma “a fattispecie aperta” [23].
Sempre riguardo alla tutela del diritto alla salute del nascituro, protetto dall’art. 32 Cost., vanno considerati i rischi che la fecondazione eterologa pone in relazione allo sviluppo della personalità del bambino, il quale verrebbe a trovarsi in una situazione di scissione tra genitori biologici e genitori “sociali”. E’ vero che ciò avviene anche nel caso dell’adozione. Tuttavia quest’ultimo istituto è il rimedio che l’ordinamento prevede per garantire i preminenti diritti del minore nel caso in cui i genitori naturali non siano in grado di assolvere ai propri compiti. Come ha efficacemente notato Augusto Barbera, l’adozione “rimedia un male, non lo crea; ha la funzione primaria di trovare i genitori per un minore non un figlio per coppie desiderose di genitorialità” [24].
La necessità di proteggere gli interessi del nascituro è tanto più rilevante ove si consideri che la Convenzione ONU sui diritti del fanciullo del 1989, cui è stata data esecuzione anche in Italia con legge n. 176 del 1991, all’art. 3, par. 1, impone che: “dans toutes les décisions qui concernent les enfants, qu’elles soient le fait des institutions publiques ou privées de protection sociale, des tribunaux, des autorités administratives ou des organes législatifs, l’intérêt supérieur de l’enfant doit être une considération primordiale” [25].
Parte della dottrina, inoltre, sottolineando come il divieto di procreazione eterologa ricomprende anche ipotesi di surrogazione di maternità, ha richiamato l’attenzione sul fatto che la realizzazione di tale pratica, sia nell’ambito delle famiglie fondate sul matrimonio, sia delle convivenze more uxorio, sconvolgerebbe “del tutto la formazione sociale, non importa qui se legittima o solo naturale, composta dai genitori e dai figli”, con conseguente lesione dei precetti costituzionali che ad esse danno tutela [26].
4. La presunta violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.
Va riconosciuto che le considerazioni innanzi esposte non hanno trovato unanime consenso nella dottrina, parte della quale ritiene che dalla Costituzione non possa dedursi un divieto assoluto di procreazione eterologa [27]. Anche ad accogliere tale tesi, tuttavia, è arduo sostenere, come hanno fatto invece i giudici a quibus, che dalla Carta fondamentale si dedurrebbe un obbligo di consentire tale pratica.
Non è un caso, infatti, che l’argomento su cui sono incentrate le ordinanze di rimessione è rappresentato da una decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo e, dunque, da una violazione “mediata” della Costituzione, per mancato rispetto di una fonte interposta come la CEDU e, dunque, dell’art. 117 Cost., primo comma.
Sul punto va, anzitutto, ricordato che la problematica ora richiamata è in realtà superata [28], giacché la sentenza di primo grado più volte evocata dai giudici rimettenti e già ricordata all’inizio è stata riformata in appello dalla Grande Chambre della Corte europea [29].
Quest’ultima ha riconosciuto, sia pure con alcuni paletti, il margine d’apprezzamento di cui godono gli Stati nel disciplinare la fattispecie della procreazione eterologa, rigettando le domande dei ricorrenti proposte contro l’Austria.
La questione sollevata per violazione mediata dell’art. 117 Cost. è oramai senz’altro infondata.
Su un piano più generale va, però, rilevato che la giurisprudenza costituzionale inaugurata dalle c.d. sentenze gemelle sembrerebbe richiedere talune precisazioni da parte del giudice delle leggi. La necessità delle stesse emerge ove si consideri il comportamento dei giudici a quibus, acutamente stigmatizzato da Borrego Borrego [30]. La decisione di primo grado della Corte EDU non era definitiva, ma le questioni di legittimità costituzionale sono state sollevate, senza attendere l’esito del giudizio di secondo grado, dopo la proposizione dell’appello da parte del governo austriaco (Tribunale di Firenze) ovvero dopo che tale appello era stato dichiarato ammissibile (Tribunale di Catania) o, addirittura, qualche giorno prima della discussione della causa davanti alla Grande Chambre (Tribunale di Milano).
Si ha, dunque, la sensazione di una certa “fretta” dei giudici nell’utilizzare la decisione di primo grado della Corte europea, “fretta” tanto più evidente se comparata all’atteggiamento invece prudente del giudice delle leggi, che ha accolto l’istanza dell’Avvocatura dello Stato di rimandare la discussione della causa al fine di attendere la decisione della Grande Chambre. Occorre domandarsi che cosa sarebbe successo se la Corte avesse, invece, deciso la questione sottopostale, senza attendere l’esito del giudizio d’appello, e avesse, in ipotesi, dichiarato l’illegittimità costituzionale del divieto di “eterologa” per violazione mediata dell’art. 117 Cost., facendo leva sulla sentenza di primo grado, poi cancellata dalla Grande Chambre.
Il comportamento dei giudici rimettenti è ancor più peculiare ove si tenga conto del fatto che la questione sottoposta alla Corte di Strasburgo verteva su una normativa, quella austriaca, diversa da quella italiana, come riconosciuto anche dal Tribunale di Catania e da quello di Firenze nelle proprie ordinanze di rimessione.
Stante la diversità della normativa austriaca rispetto a quella italiana e il tipo di argomenti utilizzati dal Governo austriaco per la propria difesa, la decisione della Corte nel caso S.H. and Others v. Austria non poteva essere correttamente richiamata per desumerne alcuna conseguenza in ordine al rinvio che l’art. 117, primo comma, Cost. fa agli obblighi internazionali che il legislatore italiano è chiamato a rispettare. E ciò senza nemmeno il bisogno di prendere in considerazione un eventuale contrasto tra la decisione della Corte EDU e le norme della Costituzione italiana, come ad esempio l’art. 30 Cost. sopra richiamato, contrasto come noto idoneo a impedire l’applicazione delle norme della Convenzione europea in Italia [31].
Al di là di tali considerazioni relative al caso specifico occorre riflettere, su un piano più generale, sul fatto che il giudizio davanti alla Corte EDU ha un carattere estremamente concreto, valutando il giudice di Strasburgo gli argomenti che legittimano o meno, in un caso specifico, un certo comportamento “incriminato” da parte di uno Stato membro della Convenzione.
Lo ricorda anche nella sentenza S.H. la Grande Chambre della Corte di Strasburgo quando afferma che “in cases arising from individual applications the Court’s task is not to review the relevant legislation or practice in the abstract; it must as far as possible confine itself, without overlooking the general context, to examining the issues raised by the case before it” [32].
In altri termini, mentre il giudizio di legittimità costituzionale davanti alla nostra Corte, anche se proposto in via incidentale, riguarda il generale problema della compatibilità con la Costituzione di una certa normativa, il processo promosso dai singoli davanti alla Corte di Strasburgo – e la decisione di quest’ultima – ha ad oggetto il comportamento tenuto da uno Stato in un caso specifico e la compatibilità tra tale comportamento specifico e i motivi che lo sorreggono con la CEDU.
La giurisprudenza inaugurata con le sentenze gemelle, sia pure per il tramite dell’art. 117 primo comma Cost., finisce per dare efficacia generale, erga omnes a sentenze che ne sono “strutturalmente” prive (nell’ordinamento da cui provengono), essendo adottate con valore inter partes. Non è un caso che la richiesta di dare efficacia erga omnes alle decisioni della Corte EDU, avanzata in occasione della Conferenza di Interlaken del 2010, sia stata accolta con sfavore dagli Stati membri della Convenzione.
Queste problematiche assumono proporzioni assai gravi quando – ed è questo il tentativo operato dai giudici a quibus – si vuole dare in Italia efficacia, sia pure mediata, a decisioni che condannano Paesi diversi dall’Italia stessa, per normative che sono oltretutto diverse da quelle vigenti nel nostro Paese.
5. La peculiarità dei beni in giuoco nel caso della PMA eterologa.
Così conclusa l’analisi del precedente della Corte EDU, le altre tematiche sollevate nelle ordinanze di rimessione hanno in realtà soltanto una funzione “rafforzativa” della problematica relativa alla violazione dell’art. 117 Cost. [33], ma meritano comunque qualche considerazione.
L’obbligo di prevedere nell’ordinamento italiano la fecondazione eterologa non solo non emerge da un’interpretazione letterale del testo costituzionale, ma non può nemmeno essere desunto – come invece ipotizzano il Tribunale di Catania e quello di Milano nelle rispettive ordinanze di rimessione – richiamandosi a una presunta lesione del principio di eguaglianza o di quello di ragionevolezza di cui all’art. 3 Cost., che sarebbero determinate dalla discriminazione che il divieto di eterologa produrrebbe a danno delle coppie sterili che vi vogliono ricorrere: al contrario di quanto affermano i giudici rimettenti, le coppie che hanno bisogno di accedere alla fecondazione eterologa si trovano, infatti, in una situazione peculiare rispetto a tutte le altre alle quali è sufficiente ricorrere a quella omologa. Mentre queste ultime per giungere a procreare utilizzano i propri gameti, le prime, per farlo, sarebbero costrette a ricorrere a gameti esterni alla coppia. Tale necessità fa sì che la situazione si presenti diversa rispetto alla fecondazione omologa, venendo in giuoco, nel caso dell’eterologa, ulteriori interessi di rilievo costituzionale che nella prima non rilevano [34]: si è detto del problema legato alla responsabilità per procreazione e al diritto del bambino a conoscere il proprio patrimonio genetico, che non sono in alcun modo toccati dalla fecondazione con gameti propri della coppia.
Va ricordato, inoltre, l’ulteriore elemento che differenzia la procreazione eterologa da quella omologa, e cioè la presenza di un donatore di gameti [35], la cui figura pone delicati problemi di tutela non solo per i suoi diritti, come quello alla salute, ma anche per quelli che il figlio potrebbe eventualmente chiedere di far valere nei suoi confronti.
Infine la scienza medica evidenzia come alcuni tipi di fecondazione eterologa – quelli fondati sulla donazione di ovociti, che sono alquanto diffusi – potrebbero comportare specifiche conseguenze negative per la salute della donna gestante [36], la cui tutela si fonda sull’art. 32 Cost., oltre che sulle previsioni dell’art. 31 Cost., comma secondo, che affida alla Repubblica la protezione della maternità. In caso di donazione di ovociti da parte di una donna estranea, la gestante si troverebbe a portare nel grembo un bambino “che geneticamente contiene il 50% del genoma di una donna sconosciuta insieme al corrispettivo 50% del genoma paterno”: dunque, un “concepito per il 100% estraneo al suo organismo”, fenomeno biologico non naturale, che potrebbe causare delicati problemi alla sua salute [37].
Le considerazioni svolte dimostrano come “il reclamato diritto alla fecondazione eterologa richiede la compulsione di diritti fondamentali… o meramente patrimoniali”, che nel caso della procreazione omologa non sono invece in giuoco [38]. Il giudice delle leggi insegna che “si ha violazione dell’art. 3 della Costituzione quando situazioni sostanzialmente identiche siano disciplinate in modo ingiustificatamente diverso”; mentre non c’è violazione  della Carta costituzionale, come nel caso in esame,  “quando alla diversità di disciplina corrispondano situazioni non sostanzialmente identiche, essendo insindacabile in tali casi la discrezionalità del legislatore” [39].
Parte della dottrina e della giurisprudenza –  anche il Tribunale di Catania e quello di Milano negli atti con cui introducono il giudizio di legittimità costituzionale – cercano di ovviare alle considerazioni sopra riportate, richiamando un erroneo e fuorviante parallelo tra la procreazione eterologa e l’adozione. Il parallelo è erroneo perché, come si è già evidenziato, con la previsione dell’adozione, lo Stato interviene nella realtà sociale per cercare di porre rimedio a situazioni patologiche, nelle quali i genitori non sono nelle condizioni di crescere i propri figli [40]. Si ricordi, in proposito, quanto previsto dal sopra citato art. 30 Cost., come anche dalla legge 28 marzo 2001, n. 149 che stabilisce, all’art. 1, comma 1, che “il minore ha diritto di crescere ed essere educato nell’ambito della propria famiglia”.
In altri termini, l’istituto dell’adozione mira a tutelare il minore nelle ipotesi in cui, per vari motivi, non possa crescere ed essere educato dai propri genitori naturali, secondo quanto invece previsto dall’art. 30 Cost. La normativa sull’adozione muove dall’esigenza di protezione di un soggetto debole – appunto il minore – e, a tal fine, consente alle coppie, che ne facciano richiesta, di ricorrervi, subordinatamente al rispetto di una serie di requisiti e condizioni posti a tutela del minore stesso. In tal caso, dunque, i peculiari rapporti familiari che si vengono a determinare – la relazione genitore-figlio che si configura dopo l’adozione non è basata sulla discendenza biologica – sono consentiti dall’ordinamento perché preferiti rispetto alla situazione patologica in cui diversamente verserebbe il minore.
Al contrario, qualora lo Stato consentisse la procreazione eterologa, finirebbe esso stesso per produrre quella situazione patologica – genitori naturali che non crescono i figli – che proprio l’adozione è volta a superare. E ciò con evidente pregiudizio del minore, il cui interesse dovrebbe essere considerato invece in maniera prioritaria anche nel settore in esame, come sottolineato in precedenza.
6. La salute psico-fisica della coppia e il “diritto” al figlio.
Alcune ordinanze di rimessione pongono anche il problema della lesione dell’art. 32 Cost., sotto il profilo della tutela della salute psico-fisica della coppia, provata dall’impossibilità di poter ricorrere alla procreazione eterologa. Si prospetta anche una lesione delle competenze proprie della scienza medica, evocando in proposito la sentenza n. 151 del 2009 [41], con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità  dell’art. 14, comma 2, della legge n. 40 nella parte in cui prevedeva il tetto massimo di tre embrioni creabili e  dell’art. 14, comma 3, della stessa nella parte in cui non prevedeva “che il trasferimento degli embrioni, da realizzare non appena possibile, come stabilisce tale norma”, dovesse “essere effettuato senza pregiudizio della salute della donna”. Nella motivazione della decisione il giudice delle leggi ha sottolineato che, “in materia di pratica terapeutica, la regola di fondo deve essere l’autonomia e la responsabilità del medico che, con il consenso del paziente, opera le necessarie scelte professionali”.
In relazione a tali questioni, appare discutibile la pretesa di far rientrare tra le cure mediche i tentativi di superare in via artificiale la sterilità [42], che non solo come tale oggi non è curabile, ma tantomeno può essere oggetto di cura tramite la fecondazione eterologa. Modugno ha da tempo chiarito che “la P.M.A. non è sicuramente un vero e proprio trattamento sanitario”, non essendo “oggettivamente idonea (a fortiori se eterologa) ad eliminare le cause di infertilità o sterilità”, sicché “non è né irragionevole e neppure contrastante con il diritto alla salute il divieto de quo” [43].
Come è stato efficacemente notato, pur fondando l’art. 32 Cost. un diritto alla cura, esso “non implica invece che si ponga rimedio con ogni mezzo (diverso dalla cura)” alla sterilità [44].
Preclusiva in tal senso è la considerazione della pluralità di interessi costituzionali che sono in giuoco – si è cercato di dimostrarlo nelle pagine che precedono – nel caso della procreazione artificiale, come sottolineato più volte anche dalla Corte costituzionale. Si pensi, in proposito, alla nota sent. n. 45 del 2005 [45], con la quale la Corte ha dichiarato inammissibile il referendum volto ad abrogare integralmente la legge n. 40 del 2004, dal momento che la ha ritenuta una disciplina “costituzionalmente necessaria”, e cioè, come si legge nella stessa decisione, una normativa diretta “a rendere effettivo un diritto fondamentale della persona”, dando “tutela minima per situazioni che tale tutela esigono secondo la Costituzione” [46].  Si ricordi, anche, la precedente sent. n. 347 del 1998, già innanzi citata, nella quale il giudice delle leggi ha ricordato il valore costituzionale degli interessi toccati dalla procreazione artificiale [47].
Nelle ordinanze di rimessione manca invece la considerazione di questi interessi di rango costituzionale che vengono in giuoco nella vicenda della procreazione assistita, in generale, e in quella della fecondazione eterologa, in particolare. Tra di essi un posto importante, si è visto, spetta alla salute della donna gestante, come anche di quella chiamata eventualmente a “donare” gli ovuli [48], potenzialmente poste a rischio dalle pratiche di fecondazione eterologa.
Diversamente, nella prospettiva dei giudici rimettenti, l’unico aspetto preso in considerazione è invece legato a una (presunta) salute della coppia, che assume in realtà un rilievo tale da configurare quasi un diritto a un figlio. È  significativo, anzi, che si richiamino (impropriamente) gli artt. 29 e 31 Cost. per fondare un presunto diritto a procreare con qualsiasi mezzo o, meglio, a qualsiasi costo. Altro è, infatti, la libertà di procreare, che rientra tra i diritti fondamentali della persona, come riconosciuto anche dalla Corte costituzionale [49], altro è un inesistente diritto costituzionale alla “procreazione con ogni mezzo” [50] che non trova alcun fondamento nella Costituzione e, se tutelato, dovrebbe coerentemente portare a eliminare qualsiasi limite a ogni forma di procreazione artificiale.
La problematica evocata, poi, in un’ordinanza di rimessione circa la necessità per le coppie di spostarsi all’estero al fine di sfuggire ai limiti posti dalla legge n. 40, pur suggestiva, non tiene conto dei beni di rango costituzionale sopra ricordati e, oltretutto, è, come sottolinea Principato, “meramente astratta ed ipotetica in rapporto con il giudizio a quo”,  mancando “qualsiasi deduzione, nel giudizio principale” [51].
7. La procreazione eterologa, i giudici e  la politica.
Dopo decenni di dibattiti in Parlamento e nell’opinione pubblica la legge n. 40 del 2004 ha rappresentato un punto di compromesso, sia pure precario, tra coloro che sono assolutamente contrari a ogni forma di procreazione artificiale e i sostenitori del ricorso a tutte le tecniche che la scienza offre per raggiungere l’obiettivo di mettere al mondo un figlio.
Senza vietare in toto la procreazione artificiale la normativa approvata dal Parlamento ne ha regolato il fenomeno, ponendo limiti alle pratiche tecnicamente possibili e, soprattutto, un freno alla prevalenza degli immensi interessi economici di cui sono portatori i centri medici che praticano la PMA [52], anche a tutela di alcuni “principi generali di civiltà” [53].
I tentativi di scardinare tali limiti, una volta fallita la via del referendum, si sono intensificati sul versante giudiziario, con un proliferare di processi nei quali si è cercato di eliminare il numero massimo di embrioni creabili per ogni ciclo di procreazione e il divieto di congelazione degli stessi, i limiti all’accesso alla PMA, il divieto di diagnosi pre-impianto volta a scartare gli embrioni ritenuti malati e, infine, con i giudizi in esame, il divieto di procreazione eterologa [54].
La Corte costituzionale, con la richiamata sent. 151 del 2009, ha eliminato il “tetto” al numero di embrioni che possono essere creati per ogni ciclo di PMA, fissato dalla legge n. 40 in tre, ampliando anche le fattispecie nelle quali è possibile procedere alla crioconservazione degli stessi. In tal caso, tuttavia, il giudice delle leggi è intervenuto nello sforzo – non è questa la sede per analizzare se riuscito o meno [55] – di garantire la salute della donna, protetta a livello costituzionale dall’art. 32 Cost. Nella vicenda della procreazione eterologa la fattispecie è diversa [56], come si è cercato di dimostrare nelle pagine che precedono, e il diritto alla salute è solo oggetto di un richiamo infondato da parte dei giudici a quibus [57].
Appare, pertanto, insuperabile quanto su un piano generale ha autorevolmente ricordato Massimo Luciani, e cioè che “una comunità politica ha la responsabilità di decidere sulle questioni che la agitano attraverso i propri organi politicamente responsabili, non può sempre scaricare sui giudici il fardello della soluzione dei problemi” [58]. Nel caso della fecondazione eterologa la scelta degli organi rappresentativi è stata chiara. Il tentativo di superarla attraverso “scorciatoie giudiziarie” rischia non solo di trascinare soggetti terzi e imparziali sul terreno proprio della politica, ma di minare, come hanno evidenziato di recente Borrego Borrego e Principato, lo stesso carattere democratico del sistema [59].
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Note:
[1] Al riguardo v. il rapporto promosso dalla Commissione europea, dal titolo “Ethics, Law, and Practice in Human Embriology”, citato da C. Piciocchi, La Convenzione di Oviedo sui diritti dell’uomo e la biomedicina: verso una bioetica europea ?, in Dir. pubbl. comp. eur., 2001, 1308.
[2] Sent. 22 settembre 1998, n. 347 in Giur. cost., 1998, 2632 ss. con commento di E. Lamarque, La prima decisione della Corte costituzionale sulle conseguenze dell’utilizzo delle tecniche di procreazione medicalmente assistita, ivi, 2637 ss. Su tale decisione v. anche G.F. Ferrari, Biotecnologie e diritto costituzionale, in Dir. pubbl. comp. eur., 2002, 1569.
[3] Sulla preminenza dei diritti del bambino cfr. Corte costituzionale sent. 5 febbraio 1998, n. 10, in Giur. cost., 1998, 49 ss., sent. 24 luglio 1996, n. 303, ibid., 1996, 2503, con osservazione di E. Lamarque, L’eccezione non prevista rende incostituzionale la regola (ovvero il giudice minorile è soggetto alla legge, ma la legge è derogabile nell’interesse del minore), sent. 1 aprile 1992, n. 148, ibid., 1992, con osservazione di A. Cerri, Scandagli e rilievi sulle «logiche» di un’interessante sentenza in tema di adozione.
Su tale giurisprudenza e, più in generale, sulla protezione dei minori nell’ordinamento italiano v. A. Barbera, Mezzi di comunicazione televisiva e tutela della personalità dei minori, disponibile sul sito Internet della Rivista Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it.
[4] Sez. I civ., sent. 16 marzo 1999, n. 2315, in Giust. civ., 1999, I, 1317 ss.
[5] Al riguardo v. anche Tribunale di Napoli, sent. 24 giugno 1999, in Arch. civ., 2000, 891 ss., resa nell’ambito del processo nel quale era stata sollevata la questione di legittimità costituzionale risolta dal giudice delle leggi con la sent. n. 347 del 1998.
[6] Per tale critica alla decisione v. F. Gazzoni, Osservazioni non solo giuridiche sulla tutela del concepito e sulla fecondazione artificiale, in Dir. fam. pers., 2005, 170 s., il quale evidenzia come si trattasse di una sentenza “contra legem”, ma pur sempre “presentabile, perché chiunque comprende come, in termini di buon senso e di protezione del figlio, essa sia stata, se non legittima, sicuramente opportuna” (p. 171).
Sul punto v. anche F.D. Busnelli, Giurisprudenza e bioetica, in Frammenti di un dizionario, Torino, 2001, 114 s.
[7] Cfr. archivio storico dell’elezioni del Ministero dell’Interno, all’indirizzo Internet http://elezionistorico.interno.it/index.php?tpel=F&dtel=12/06/2005&tpa=Y&tpe=A&lev0=0&levsut0=0&es0=S&ms=S
[8] V. rispettivamente ordinanza di rimessione del Tribunale di Firenze del 6 settembre 2010, pubblicata in GU, 1ª serie speciale, n. 6 del 2 febbraio 2011; ord. del Tribunale di Catania del 21 ottobre 2010, pubblicata in GU, 1ª  serie speciale, n. 10 del 2 marzo 2011; ord. del Tribunale di Milano del 2 febbraio 2011, pubblicata in GU, 1ª serie speciale, n. 30 del 13 luglio 2011.
[9] Sulla complessa tematica della lis ficta v. A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, IV ed., Torino, 2009, 190 s. Ivi ampia dottrina sull’argomento.
[10] Sentenza S.H. and Others v. Austria del 1° aprile 2010 (Application no. 57813/00), disponibile sul sito Internet della Corte, all’indirizzo www.echr.coe.int.
[11] Così Corte costituzionale sent. 8-12 marzo 2010, n. 93, §. 4 del Considerato in diritto, in Giur. cost., 2010, 1065 ss.
Sulle sentt. 24 ottobre 2007, n. 348, in Giur. cost., 2007, 3475 ss., 24 ottobre 2007, n. 349, ibid., 3535 ss., v. A. Ruggeri, Ancora in tema di rapporti tra CEDU e Costituzione: profili teorici e questioni pratiche, nel sito Internet dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, all’indirizzo www.associazionedeicostituzionalisti.it; Id., Conferme e novità di fine anno in tema di rapporti tra diritto interno e CEDU, disponibile su Internet, nel sito della Rivista Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it; C. Pinelli, Sul trattamento giurisdizionale della CEDU e delle leggi con essa confliggenti, nel sito Internet dell’Associazione italiana dei costituzionalisti, cit.; S.M. Cicconetti, Creazione indiretta del diritto e norme interposte, ibid.; A. Moscarini, Indennità di espropriazione e valore di mercato del bene: un passo avanti e uno indietro della Consulta nella costruzione del patrimonio costituzionale europeo, in Federalismi.it, disponibile su Internet all’indirizzo www.federalismi.it; M. Cartabia, Le sentenze “gemelle”: diritti fondamentali, fonti, giudici, in Giur. cost., 2007, 3564 ss.; A. Guazzarotti, La Corte e la CEDU: il problematico confronto di standard di tutela alla luce dell’art. 117, comma I, Cost., ibid., 3574 ss.; F. Bilancia,  Con l’obiettivo di assicurare l’effettività degli strumenti di garanzia la Corte costituzionale italiana funzionalizza il “margine di apprezzamento” statale, di cui alla giurisprudenza CEDU, alla garanzia degli stessi diritti fondamentali., in Giur. cost., 2009, 4772 ss.; A. Travi, Corte europea dei diritti dell’uomo e Corte costituzionale: alla ricerca di una nozione comune di “sanzione”, in Giur. cost., 2010, 2323 ss.
[12] Sul significato da attribuire al concetto di “attuazione” della Costituzione v., da ultimo, P.F. Grossi, Attuazione e inattuazione della Costituzione, Milano, 2002, 4 ss. V., inoltre, A. D’Atena, L’autonomia legislativa delle regioni, Roma, 1974, 25 s.; Id., voce Regione (in generale), in Enc. dir., XXXIX, Milano, 1988, ora in Costituzione e regioni, Milano, 1991, 21 s.; A. Loiodice,  Attuare la Costituzione. Sollecitazioni extraordinamentali, Bari, 2000, 7 ss.
[13] G. Giacobbe, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano. Materiali per una ricerca, Torino, 2006,  66; M. Bessone, Art. 30-31, in Commentario della Costituzione. Rapporti etico-sociali, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, 1976, 93 ss.
Parte della dottrina, sulla base di un’esigenza di “certezza giuridica dei rapporti sociali”, ritiene che “tale regime presupponga quanto meno l’esistenza di un riconoscimento o di una dichiarazione già avvenuti relativamente alla filiazione” (P.F. Grossi, Lineamenti di una disciplina della famiglia nella giurisprudenza costituzionale italiana, in Id., Il diritto costituzionale tra principi di libertà e istituzioni, Padova, 2005, 160).
Altri autori sostengono, invece, che la Costituzione esprime in proposito una volontà che è “illimitata” (A.M. Sandulli, Art. 30 Cost., in Commentario al diritto italiano della famiglia, a cura di G. Cian – G. Oppo – A. Trabucchi,  vol. I, Padova, 1992, 36 s., nt. 4, 41 s.).
[14] Cfr. Corte di Cassazione, sez. I civ., sent. 15 marzo 2002,  n. 3793
[15] Corte costituzionale, sent. 27 marzo 1992, n. 132, in Giur. cost., 1992,  1108 ss.
[16] G. Giacobbe, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, cit.,  82. Sul punto v. anche P. Perlingieri – P. Pisacane, Art. 29, in P. Perlingieri, Commento alla Costituzione italiana, Napoli, 1997, 196.
[17] A.M. Sandulli, Art. 30 Cost., cit., 49.
[18] G. Giacobbe, loc. ult. cit.
[19] Sul punto cfr. G.F. Ferrari, Biotecnologie e diritto costituzionale, cit., 1566; I. Nicotra, Anonimato del donatore e diritto alla identità personale del figlio nella procreazione assistita, in Quad. cost., 2002, 795; F. D’Agostino,  Gli interventi sulla genetica umana nella prospettiva della filosofia del diritto, in Riv. dir. civ., 1987, I, 29 ss.
[20] Corte cost., ord. 9 gennaio 2012, n. 7, disponibile sul sito Internet della Corte, all’indirizzo www.cortecostituzionale.it.
[21] M. M. Fracanzani, Osservazioni in margine alla procreazione assistita mediante inseminazione eterologa, AA.VV., La fecondazione eterologa tra Costituzione italiana e Convenzione europea dei diritti dell’uomo, Atti del seminario svoltosi a Roma, il 2 aprile 2012, Torino, 2012, in corso di stampa.
[22] Sul punto v. A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, in AA.VV., Procreazione assistita: problemi e prospettive, Atti del Convegno di studi tenutosi presso l’Accademia nazionale dei Lincei, Roma, 31 gennaio 2005, a cura di G. Razzano, Fasano, 2005, 356 s.
[23] Per la tesi dell’art. 2 come clausola a fattispecie aperta v. A. Barbera, Articolo 2 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Principi fondamentali, Bologna-Roma, 1975, 66. Sul punto v., inoltre, A. Loiodice, Il rispetto dei diritti umani come limite di ogni regime, in AA. VV., Il processo di Norimberga a cinquanta anni dalla sua celebrazione, a cura di A. Tarantino – R. Rocco, Milano, 1998, ora in P. Giocoli Nacci – A. Loiodice, Materiali di Diritto costituzionale, Bari, 2000, 118; Id., Libertà religiosa, Costituzioni e globalizzazione, in Rass. Parl., 2002, 233 s.
Per una critica di tale tesi v., invece, P. Grossi, La famiglia nella evoluzione della giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., La famiglia nel diritto pubblico, a cura di G. dalla Torre, Roma, 1996, 14; M. Mazziotti di Celso, Lezioni di diritto costituzionale, parte seconda, II ed., Milano, 1993, 57 ss.; P. Caretti, I diritti fondamentali. Libertà e Diritti sociali, II ed., Torino, 2005, 135 ss. Sia, inoltre, consentito il rinvio a F. Vari, Concepito e procreazione assistita. Profili costituzionali, I, Bari, 2008, 59 ss.
Diversa è la posizione di A. Pace, Problematica delle libertà costituzionali. Parte generale, III ed., Padova, 2003, 22 ss., il quale, pur ritenendo  “che rigidamente intesa né la tesi della fattispecie «chiusa», né quella della fattispecie «aperta» può dirsi pienamente soddisfacente”, fonda la tutela del diritto alla vita del concepito sull’art. 2 della Costituzione, dal momento che esso riconosce “la soggettività giuridica di tutti gli esseri umani” e ne presuppone “la fisica personalità”.
[24] A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, cit., 355.
[25] Sul punto v. C. Casini, La coerenza del divieto di P.M.A. eterologa in rapporto all’istituto dell’adozione e al diritto a conoscere le proprie origini, in AA.VV., La fecondazione eterologa, cit.
[26] A. Baldassarre, Le biotecnologie e il diritto costituzionale, in AA.VV., Le biotecnologie: certezze e interrogativi, a cura di M. Volpi, Bologna, 2001, 41. V. G. Razzano, La legge sulla procreazione medicalmente assistita: incostituzionale o costituzionalmente necessaria, in AA.VV., Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 511.
Di queste problematiche non si rinviene alcuna traccia nella sentenza n. 49 del 2005 della Corte costituzionale, in Giur. cost., 2005, 388 ss., che ha ammesso il referendum volto ad abrogare le norme che vietano la fecondazione eterologa.
È vero che le decisioni nei giudizi sull’ammissibilità dei referendum abrogativi sono (o dovrebbero essere) ben diverse da quelle emesse nell’ambito di un giudizio di legittimità costituzionale (sul punto v. i rilievi di M. Luciani, Art. 75, in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, Bologna-Roma, La formazione delle leggi, t. I, 2, 2005, passim, il quale evidenzia criticamente come il giudizio di ammissibilità abbia assunto le caratteristiche di un giudizio di costituzionalità anticipato). Tuttavia, le problematiche sopra evidenziate erano state sollevate da alcuni Comitati contrari all’ammissibilità del referendum costituitisi nel procedimento davanti alla Corte (sui problemi legati alla costituzione di detti Comitati dinanzi alla Corte costituzionale v., criticamente, A. Pugiotto, Referendum sulla procreazione assistita: affollamento a Corte e fuga dal referendum, in Quad. cost., 2005, 377 ss.).
[27] V., ad es., F. Modugno, La fecondazione assistita alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionale, in AA.VV., Procreazione assistita: problemi e prospettive, cit., 281 ss.; A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, cit., 355 ss.
[28] Sul punto v. in particolare i contributi – pubblicati in AA.VV., La fecondazione eterologa, cit. – di A. Loiodice, Spunti introduttivi per un approfondimento delle ragioni di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa; F.J. Borrego Borrego, La prudencia judicial en la interpretación de los derechos humanos; R. Chieppa, Fecondazione eterologa e Corte Europea C.E.D.U.:  quali effetti vincolanti nel contrasto di interpretazione tra due decisioni ed altri profili processuali e di costituzionalità; A. Osti, La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo di fronte alla Corte costituzionale. Spunti di riflessione sull’uso delle sentenze della Corte di Strasburgo da parte dei giudici italiani e sul diritto alla salute; L. Principato, Il divieto di fecondazione assistita eterologa e la tutela della salute.
[29] Sentenza S.H. and Others v. Austria del 3 novembre 2011 (Application no. 57813/00), disponibile sul sito Internet della Corte, all’indirizzo www.echr.coe.int.
[30] F.J. Borrego Borrego, La prudencia judicial en la interpretación de los derechos humanos, cit.
[31] Sul punto v. Corte cost. sent. 8-12 marzo 2010, n. 93, cit., in cui il giudice delle leggi chiarisce che “la Corte costituzionale, pur non potendo sindacare l’interpretazione della CEDU data dalla Corte di Strasburgo, resta legittimata a verificare se la norma della Convenzione, come da quella Corte interpretata – norma che si colloca pur sempre ad un livello sub-costituzionale – si ponga eventualmente in conflitto con altre norme della Costituzione: ipotesi eccezionale nella quale dovrà essere esclusa la idoneità della norma convenzionale a integrare il parametro considerato (sentenze n. 311 del 2009, n. 349 e n. 348 del 2007)”.
[32] §. 92 della decisione. Sul punto v. A. Osti, La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo di fronte alla Corte costituzionale, cit.
[33] V. A. Loiodice, Spunti introduttivi per un approfondimento delle ragioni di costituzionalità del divieto di fecondazione eterologa, cit.
[34] Sul punto v. M. M. Fracanzani, Osservazioni in margine alla procreazione assistita mediante inseminazione eterologa, cit.
[35] M. M. Fracanzani, Osservazioni in margine alla procreazione assistita mediante inseminazione eterologa, cit.
[36] S. Mancuso, Riflessioni biomediche sulla fecondazione eterologa e sulla maternità surrogata, in AA.VV, La fecondazione eterologa, cit.
[37] S. Mancuso, loc. ult. cit.
[38] M. M. Fracanzani, Osservazioni in margine alla procreazione assistita mediante inseminazione eterologa, cit.
[39] In tal senso, tra le tante, v. sentenze n. 340, n. 136 e n. 35 del 2004 (in Giur. cost., 2004, rispettivamente, 3817 ss., 1485 ss., 487 ss.), n. 208 del 2002 (ibid., 2002, 1633 ss., con osservazione di P. Carnevale, A proposito delle interferenze tra legislazione di delega e decretazione di urgenza), ordinanza n. 168 del 2001 (ibid., 2001, 1334 ss.). Sul tema v. A. Ruggeri – A. Spadaro, Lineamenti di giustizia costituzionale, cit., 109 s.
[40] Sul punto v. A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, cit., 355.
[41] Corte cost. 1° aprile – 8 maggio 2009, n. 151 in Giur. cost., 2009, 1656 ss. con nota di M. Manetti, Procreazione medicalmente assistita: una political question disinnescata e di C. Tripodina, La Corte costituzionale, la legge sulla procreazione medicalmente assistita e la “Costituzione che non vale più la pena di difendere”?.
[42] A. Osti, La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo di fronte alla Corte costituzionale. Spunti di riflessione sull’uso delle sentenze della Corte di Strasburgo da parte dei giudici italiani e sul diritto alla salute, cit.; M. Palma, Divieto di fecondazione eterologa  e diritto alla salute: l’ipotesi di un diritto al concepimento tutelato ai sensi dell’art. 32 Cost.; L. Principato, Il divieto di fecondazione eterologa e la tutela della salute, cit.; G. Rocchi, Il divieto di fecondazione eterologa viola il diritto costituzionale alla salute?.
[43] F. Modugno, La fecondazione assistita alla luce dei principi e della giurisprudenza costituzionale, cit., 284 s.
[44] A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, cit., 355.
[45] Sent. 28 gennaio 2005, n. 45, in Giur. cost., 2005, 337 ss., con osservazione di G. Monaco, Il referendum per l’abrogazione delle legge sulla procreazione medicalmente assistita di fronte al limite delle «leggi costituzionalmente necessarie».
[46]  Nella stessa data in cui è stata depositata la sent. n. 45 del 2005, la Corte costituzionale ha depositato altre quattro decisioni che rappresentano indubbiamente un segno di contraddizione rispetto alla prima sentenza; e cioè le sentenze con le quali la Corte ha dichiarato ammissibili altrettante richieste di referendum volte ad abrogare parzialmente la legge sulla procreazione assistita n. 40 del 2004: la proposta che, almeno secondo i promotori del referendum, in caso di esito positivo dello stesso, avrebbe consentito di poter operare ricerche manipolative cliniche e sperimentali sugli embrioni, a scopo diverso dalla cura degli stessi (sent. 28 gennaio 2005, n. 46, in Giur. cost., 2005, 361 ss.); quella per poter produrre un numero di embrioni maggiore rispetto a quelli impiantati nell’utero della donna e per potere crioconservare, senza obbligo di impianto, gli embrioni prodotti in soprannumero (sent. 28 gennaio 2005, n. 47, ibid., 368 ss.); la proposta per ottenere, oltre che le ultime conseguenze ora descritte, anche l’abrogazione dell’art. 1 della legge il quale proclama che essa “assicura i diritti di tutti i soggetti coinvolti, compreso il concepito” (sent. 28 gennaio 2005, n. 48, ibid., 377 ss.); quella per consentire la fecondazione eterologa (sent. 28 gennaio 2005, n. 49, cit.).
La dottrina non ha mancato di rilevare come tutte le sentenze rese dalla Corte sull’ammissibilità dei referendum sulla legge sulla procreazione assistita appaiano contrassegnate da “una impressionante carenza di svolgimenti argomentativi” (A. Ruggeri, “Tutela minima” di beni costituzionalmente protetti e referendum ammissibili (e… sananti) in tema di procreazione medicalmente assistita (nota “a prima lettura” di Corte cost. nn. 45-49 del 2005), disponibile sul sito Internet della Rivista Quaderni costituzionali, all’indirizzo www.forumcostituzionale.it. D. Tega, Referendum sulla procreazione assistita: del giudizio di ammissibilità per valori, in Quad. cost., 2005, 385, sottolinea l’evidente contraddizione presente nel giudizio della Corte chiedendosi: “che senso ha giudicare inammissibile la richiesta di abrogazione totale della legge in nome della tipologia delle c.d. leggi costituzionalmente necessarie, per poi ritenere ammissibile quesiti che hanno come bersaglio proprio quelle disposizioni che, nel ragionamento seguito nella sent. n. 45, apprestano una tutela minima, non rinunciabile, a rilevanti interessi costituzionali?”. Per ulteriori critiche verso la posizione della Corte v. G. Azzariti, A proposito di procreazione medicalmente assistita (editoriale), in AA.VV., Costituzionalismo.it. Archivio, Torino, 2006, 258 s.; G.M. Salerno, Solo una riforma completa e organica può restituire vigore all’iniziativa popolare, in Guida al diritto, 2005, n. 8, 42 ss.
In riferimento alla sent. n. 45 del 2005 v. anche  E. Lamarque, Referendum sulla procreazione assistita: l’inam¬missi¬bilità del quesito totale, in Quad. cost., 2005, 383 s., la quale ritiene che la Corte avrebbe dovuto fare riferimento alla mancanza della omogeneità del quesito referendario, giacché la legge n. 40 “non si occupa di un’unica «materia», ma almeno di due – se non di più – differenti settori materiali di attività: la PMA, appunto, e la ricerca scientifica sugli embrioni”.
[47] Cfr. al riguardo M.R. Morelli, Valori fondamentali della persona e tecniche di interpretazione costituzionalmente orientata della nuova disciplina in materia di procreazione medicalmente assistita, in Dir. fam. pers., 2005, 244.
[48] Sul punto v. l’analisi di G. Rocchi, Il divieto di fecondazione eterologa viola il diritto costituzionale alla salute?, cit.
[49] V. sent. 332 del 2000, in Giur. cost., 2000, 2455 ss. Sul punto v. M. Palma, Divieto di fecondazione eterologa  e diritto alla salute, cit.
[50] Cfr. A. Barbera, La procreazione medicalmente assistita: profili costituzionali, cit., 355.
[51] L. Principato, Il divieto di fecondazione assistita eterologa e la tutela della salute, cit.
[52] Sui quali v. A. Loiodice, I “miliardari della provetta”. Aspetti mercantili della Fivet, in Studi cattolici, aprile 2005.
[53] Così v. G. Vassalli, Prefazione a F. Vari, Concepito e procreazione assistita, cit., VII.
[54] Cfr. il giudizio pendente davanti alla Corte europea dei diritti dell’uomo Costa Pavan v. Italy (Application no. 54270/10); ord. del Tribunale di Salerno del 13 gennaio 2010; ord. del Tribunale di Bologna del 29 giugno 2009; sentenza del Tribunale di Cagliari del 22 settembre 2007.
[55] Nella motivazione della decisione la Corte richiama, infatti, la possibile lesione della salute della donna derivante dal limite al numero massimo di embrioni creabili per ogni ciclo di PMA, citando come esempio la sindrome da iperstimolazione ovarica. In realtà, i dati forniti dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche sociali nella “Relazione del Ministro della Salute al Parlamento sullo stato di attuazione della legge contenente norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, dell’aprile 2008, provavano l’esatto contrario.  In detta relazione, infatti, si legge che, dopo l’entrata in vigore della legge n. 40 del 2004, che all’epoca limitava appunto il numero di embrioni che potevano essere creato per ogni ciclo di procreazione artificiale, si è verificato un “crollo delle complicanze per iperstimolazione ovarica (OHSS)”, passandosi dai “670 casi del 2005 ai 161 casi del 2006” (pag. 80 della Relazione).  Da tali dati emergeva chiaramente che la disciplina dettata dalla legge n. 40, limitando il numero di ovuli femminili fecondabili, aveva ridotto il ricorso alla deleteria e dannosa pratica di sottoporre la donna a violenti cicli di stimolazione ovarica per ricavare numerosi ovociti, con la conseguente sindrome da iperstimolazione.
[56] Sul punto v. L. Principato, Il divieto di fecondazione eterologa e la tutela della salute, cit.
[57] Sul punto v. A. Osti, La procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo di fronte alla Corte costituzionale. Spunti di riflessione sull’uso delle sentenze della Corte di Strasburgo da parte dei giudici italiani e sul diritto alla salute, cit.
[58] M. Luciani, Costituzionalismo irenico e costituzionalismo polemico, in Giur. cost., 2006, 1663 s.
[59] F.J. Borrego Borrego, La prudencia judicial en la interpretación de los derechos humanos, cit.; L. Principato, Il divieto di fecondazione eterologa e la tutela della salute, cit.
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