di Giusella Finocchiaro e Laura Greco Sommario: 1. Premessa 2. Gli ostacoli; 2.1.…
Il service provider e la legittimazione passiva nel procedimento cautelare per violazioni dei diritti d’autore commesse da terzi
di Deborah De Angelis e Davide Mula TRIBUNALE ORDINARIO DI MILANO, Sez. Spec. PII, 3 giugno 2006 (ord.) – G.D. La Rosa Beni immateriali – Diritti d’autore sulle opere dell’ingegno – Trasmissione non autorizzata di partite di calcio attraverso l’approntamento per il pubblico e l’inserimento nel sito incriminato di links che consentono di fruire di contenuti televisivi inseriti in rete da siti cinesi – Tutela cautelare in sede civile – Azione inibitoria nei confronti del provider per violazioni del diritto d’autore commesse da terzi – Vizio di legittimazione passiva – Rigetto (Art. 14, comma 1, d.lgs. 70/2003; art. 156 l. 633/1941; art. 1 commi 5 e 6, l. 21 maggio 2004, n. 128) La tutela inibitoria, invocata avverso il soggetto agente, nonché il service provider, non può essere ammessa nei confronti di quest’ultimo, stante l’ostacolo rappresentato dal principio generale di non responsabilità del fornitore di connettività, sancito dall’art. 14, comma 1, d.lgs. 70/2003, a condizione però che l’operatore non compia attività incisive sulla trasmissione e sulle informazioni. (Nella fattispecie il Tribunale di Milano ha accolto la domanda cautelare solo nei confronti del resistente principale, autore dell’illecito per aver attuato sistemi di collegamento telematico sul proprio sito Internet con siti cinesi che fornivano in rete la trasmissione di partite di calcio oggetto dell’esclusiva di Sky sul territorio italiano). Con l’ordinanza in esame il Tribunale adito respinge la domanda cautelare proposta nei confronti del fornitore di connettività – mere conduit – in applicazione del generale principio di non responsabilità sancito dall’art. 14, comma 2, d.lgs. 70/2003. La decisione in esame offre la possibilità di esaminare le varie norme che si sono succedute, in breve tempo, nella materia per tentare un raccordo sistematico ed interpretativo delle stesse. 1. Introduzione Parallelamente all’espandersi dei servizi e dei contenuti protetti immessi su Internet si è registrato un progressivo incremento delle controversie tra titolari dei diritti, fornitori dei servizi di accesso e di spazi web, webmaster ed utenti. L’ordinanza in esame pone l’accento, tra l’altro, sulla posizione e sugli eventuali obblighi gravanti sugli operatori fornitori dei servizi di accesso ad Internet (Internet Service Provider). Preliminarmente, appare opportuno illustrare brevemente i tratti caratteristici della figura del fornitore d’accesso ad Internet e delle sue diverse articolazioni, posto che tali nozioni saranno oggetto di costante richiamo nel corpo della presente trattazione. Con tale denominazione si suole individuare “una struttura commerciale o un’organizzazione che offre agli utenti (casalinghi o ad altre imprese) accesso a Internet con i relativi servizi” (1). In particolare possono distinguersi tre differenti tipologie di provider: – il cosiddetto provider mere conduit o access provider la cui attività consiste nel semplice trasporto di dati e di informazioni degli abbonati; – il cach provider la cui attività ha per oggetto la trasmissione di informazioni fornite dall’utente; – l’host provider che ospita l’utente tanto navigatore quanto creatore e gestore di siti sul proprio spazio web in maniera permanente (2). Mentre sulla validità di questa tripartizione, si è registrato un consenso unanime da parte degli operatori, non altrettanto è avvenuto in merito alla tematica della responsabilità civile e penale degli Internet provider, soprattutto qualora essi non siano gli attori diretti di attività illecite, ma consentano a terzi, anche solo indirettamente, la commissione di comportamenti antigiuridici (3). In particolare, una prima impostazione, maggiormente garantista, tende a distinguere nettamente le responsabilità del cach provider e quelle dell’host provider. A questo filone appartiene l’ordinanza del Tribunale di Napoli del 14 giugno 2002, avente ad oggetto il ricorso presentato da una casa editrice volto ad inibire l’immissione in rete di un manuale di psichiatria e psicoterapia. In tale provvedimento, l’organo giudicante affermava che «l’aver consentito di pubblicizzare la propria società su di un sito altrui non può certo significare che la società pubblicizzata possa rispondere di tutta l’attività svolta sul sito medesimo, dal quale è per così dire solo ospitata, né che abbia l’obbligo giuridico di accertare o d’impedire le eventuali immissioni di messaggi illeciti da parte del gestore dell’altro sito. In tale prospettiva il paragone con la posizione del soggetto pubblicizzato su di un giornale risulta del tutto pertinente, anche perché la differenza sopra evidenziata – cioè la possibilità di collegamento con il sito pubblicizzato – non modifica la posizione di “neutralità” della società che gestisce tale ultimo sito, dato che tale società rimane comunque estranea e non fornisce alcun apporto all’attività illecita realizzata attraverso i messaggi che possono di volta in volta essere immessi da altri sul sito». Il Tribunale evidenziava, pertanto, l’assenza di un qualsiasi obbligo di controllo, accertamento ed impedimento in capo all’host provider rispetto agli illeciti compiuti da soggetti terzi ospitati sugli spazi web da esso forniti. Di diverso avviso, anche a seguito dell’entrata in vigore del d.lgs. 70/2003 «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione nel mercato interno, con particolare riferimento al commercio elettronico», il Tribunale di Catania che, con la sentenza 2286 del 29 giugno 2004, stabiliva che la responsabilità dell’hosting/caching provider è configurabile quale responsabilità soggettiva: «colposa, allorché il fornitore del servizio, consapevole della presenza sul sito di materiale sospetto, si astenga dall’accertarne l’illiceità e, al tempo stesso, dal rimuoverlo; dolosa, quando egli sia consapevole anche della antigiuridicità della condotta dell’utente e, ancora una volta, ometta di intervenire». In particolare, il Tribunale ha per la prima volta compiuto una chiara distinzione della responsabilità del provider a seconda della concreta attività da esso effettivamente svolta, sancendo che: a) l’access provider non può essere considerato responsabile in quanto la sua attività si esplica esclusivamente e limitatamente nel fornire la connessione alla rete; b) i provider che erogano servizi aggiuntivi alla semplice connessione possono essere passibili di responsabilità qualora si dimostri che erano a conoscenza che l’attività o l’informazione trasmessa o svolta suo tramite fosse illecita, “tanto, seppure con la espressa limitazione derivante dalla circostanza che non si possa imporre al prestatore di servizi un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni trasmesse e memorizzate né, tanto meno, un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite”. Il regime delineato – sottolineava il Tribunale – “si traduce nella subordinazione della responsabilità del provider alla circostanza che questi sappia della illiceità dell’attività o dell’informazione o anche, semplicemente, della esistenza dell’attività o dell’informazione”. Il provvedimento giurisdizionale in commento ci permette, invece, di esaminare la questione della legittimazione passiva del service provider nella domanda cautelare per violazione di diritti d’autore commessi da parte di terzi. 2. Le azioni giudiziarie di Sky a tutela dei propri diritti L’ordinanza del 3 giugno 2006, emessa dalla Sezione Specializzata per la Proprietà Industriale e Intellettuale del Tribunale di Milano, ha accolto la richiesta di adozione dei provvedimenti inibitori avanzata da parte di Sky Italia S.r.l. (di seguito Sky) nei confronti del webmaster del sito TVgratis per “l’attività di messa a disposizione di software coolstreaming, di link ad alcuni siti cinesi pirata e di pubblicità a favore del software e dei siti ora detti e della loro messa in linea di programmi televisivi di Sky senza il consenso di quest’ultima”, rigettando, invece, il capo della pretesa relativo all’adozione dei medesimi provvedimenti nei confronti di Telecom Italia S.p.A. (di seguito “Telecom”). In particolare, Sky richiedeva che Telecom inibisse ogni accesso diretto e indiretto dall’Italia a tutti i siti cinesi o, quantomeno, a quelle pagine dalle quali era possibile accedere in qualsiasi modo ai programmi di titolarità di Sky, oltre alla fissazione di una penalità di mora per ogni giorno di ritardo nell’adozione di tali accorgimenti, non inferiore a 50.000,00. A tal proposito si ritiene utile ricordare che Sky, già in precedenza, aveva chiesto e ottenuto, in sede penale, dal Tribunale di Milano (4) di bloccare, con provvedimento d’urgenza, l’accesso dall’Italia all’indirizzo IP del tracking server usato dai sistemi peer-to-peer (5), per interrompere l’attività criminosa dei siti web italiani che consentivano attraverso molteplici link, la visione delle immagini del campionato di calcio italiano trasmesse on-line dalle emittenti cinesi CCTV5 e Shangai Great Sports sulla base di un contratto di licenza con la stessa Sky. Successivamente, il GIP di Milano, in fase di convalida del sequestro preventivo dei portali con annessi IP di ricezione dei dati trasmessi dalla Cina, con ordinanza dell’8 febbraio 2006, aveva respinto la convalida del sequestro dei siti imputati, ritenendo che il reato non sussistesse in quanto la trasmissione di eventi sportivi non costituisce opera intellettuale, qualificazione necessaria per l’applicazione della normativa in materia di diritto d’autore (6). Peraltro, era stato evidenziato che le immagini visibili via streaming non riportavano il logo di Sky e che, essendo la telecronaca in cinese, l’opera trasmessa fosse da considerare profondamente diversa (7), cioè, pur considerando le immagini trasmesse da Sky alla stregua di un’opera dell’ingegno, queste non potevano essere in alcun modo ricondotte alle immagini trasmesse dalle emittente cinesi che, a loro volta, non erano riconducibili all’opera di proprietà di Sky. Nulla era stato stabilito, invece, in ordine alla legittimità della trasmissione via Internet effettuata dall’emittente televisiva cinese in quanto Sky non aveva fornito il contratto di cessione dei diritti di trasmissione all’emittente stessa. Investito della questione, il Tribunale del riesame con ordinanza del 9 marzo 2006 affermava che «la rete internet costituisce un territorio – virtuale – non segnato da barriere internazionali […] La rete telematica internet è per definizione uno spazio non delimitato da confini territoriali, di tal che, una volta che un’opera sia immessa nella rete telematica, ovunque tale insediamento di dati in rete sia avvenuto, l’opera stessa diventa visionabile da qualunque soggetto presente nel mondo che disponga di un computer collegato a internet». Con questa affermazione il giudice intendeva prendere posizione in merito alla reale efficacia pratica della clausola contenuta nel contratto, questa volta allegato agli atti, in vigore tra Sky e le emittenti cinesi, che limitava la diffusione delle immagini via internet al solo territorio cinese della quale ha voluto evidenziare il non senso pratico (8). Sia il GIP che il Tribunale del riesame avevano evidenziato, tuttavia, come tale fattispecie, benché fosse esente da tutela penale, poteva essere tutelabile in sede civile ai sensi degli artt. 2043 e 2598 c.c. Il 4 maggio 2006, Sky, sulla base di fatti analoghi, ricorreva nuovamente al Tribunale di Milano, questa volta in sede civile, nei confronti del sito web TVgratis per “l’attività di messa a disposizione di software coolstreaming, di link ad alcuni siti cinesi pirata e di pubblicità a favore del software e dei siti ora detti e della loro messa in linea di programmi televisivi di Sky senza il consenso di quest’ultima” e contro Telecom Italia per ottenere l’inibizione di ogni accesso diretto e indiretto dall’Italia a tutti i siti cinesi o quantomeno a quelle pagine dalle quali è possibile accedere in qualsiasi modo ai programmi di Sky. Il 3 giugno 2006 il giudice delegato accoglieva il ricorso di Sky nella parte in cui era richiesta l’inibizione nei confronti del sito web TVgratis dall’approntare e mettere a disposizione del pubblico links ad altri siti idonei alla fruizione di contenuti televisivi oggetto dei diritti d’esclusiva di Sky Italia, la messa a disposizione di software strumentali a detta fruizione ed infine alla pubblicizzazione dei siti stranieri responsabili dell’immissione in rete dei contenuti riproduttivi delle trasmissioni di titolarità di Sky. Nell’accoglimento del ricorso, il giudice teneva in debita considerazione l’atteggiamento del webmaster del sito che, fin dalla fase dibattimentale si era adoperato nel rimuovere il materiale contestato (9). Per tale ragione condannava il convenuto al pagamento delle sole spese del procedimento. Nello stesso provvedimento il giudice rigettava, tuttavia, il capo del ricorso presentato contro Telecom, poiché la richiesta di Sky Italia “appare in prima facie destituita di fondamento, per l’insuperabile ostacolo costituito dal disposto dell’art. 14, comma 1, d.lgs. 70/2003 sancente l’irresponsabilità del prestatore del servizio della società dell’informazione consistente… nel fornire un accesso alla rete di comunicazione…(access provider: qui, Telecom), a meno che l’operatore non compia attività incisive sulla trasmissione e le informazioni”. Inoltre sempre il giudicante riteneva non applicabile l’art. 156 (10) della l. 633 del 1941 sul diritto d’autore (di seguito “LdA”), il quale tende a riconoscere non solo la possibilità che i provvedimenti inibitori vengano emessi contro i prestatori di servizi, ma ne delinea anche il contenuto, affermando come il fine di tali provvedimenti debba essere quello di prevenire o vietare a titolo provvisorio qualsiasi violazione imminente di un diritto della proprietà intellettuale (11). 3. Le norme applicabili La motivazione addotta dal Tribunale di Milano per il diniego all’adozione del provvedimento inibitorio richiesto da Sky non appare del tutto convincente. Il richiamo al disposto dell’art. 14, comma 1, del d.lgs. 70 del 2003 (12), nella parte in cui è stabilita l’irresponsabilità del prestatore del servizio a meno che lo stesso non compia attività decisive sulla trasmissione e sulle informazioni (13), mal si adatta alla pretesa avanzata dal noto operatore televisivo. Sky, infatti, non chiedeva l’emanazione del provvedimento sulla base di una responsabilità imputata direttamente a Telecom nella commissione dell’illecito da parte del sito web TVgratis, ma motivava la sua richiesta riconducendola alla fattispecie di cui all’art. 14, comma 3, del d.lgs. 70/2003 per la quale l’autorità giudiziaria può inibire agli access provider l’accesso a determinati siti per impedire la commissione di un illecito da parte di terzi (14). Ad ogni modo, sebbene la previsione di cui all’art. 14, terzo comma, del d.lgs. 70/2003 conferisce all’organo giudicante un potere esecutivo, tale potere potrà essere esercitato solo qualora il soggetto inibito non ottemperi al comando che gli è stato imposto, omettendo di porre fine al comportamento illecito. E, ciò, come già visto, non è avvenuto nel caso di specie, ove il webmaster del sito incriminato aveva già posto fine all’illecito. Per quanto concerne l’eventuale preminenza dell’art. 14, comma 1, d.lgs 70/2003 rispetto al disposto dell’art. 156 LdA, si potrebbe affermare che, in realtà, quest’ultima previsione, letta nel contesto della produzione normativa successiva alla introduzione della disciplina del commercio elettronico, manifesti la volontà del legislatore di voler derogare alla norma speciale precedente, tanto più che essa sembra ben sposarsi con quanto previsto dall’art. 14 comma 3, del d.lgs. 70/2003. Peraltro, potrebbe anche ritenersi applicabile il disposto dell’art. 1 comma 5, l. 21 maggio 2004, n. 128 (15) il quale afferma che: «A seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, i prestatori di servizi della società dell’informazione, di cui al decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70, comunicano alle autorità di polizia le informazioni in proprio possesso utili all’individuazione dei gestori dei siti e degli autori delle condotte segnalate » nonché il comma 6 il quale recita che: «A seguito di provvedimento dell’autorità giudiziaria, per le violazioni commesse per via telematica di cui al presente decreto, i prestatori di servizi della società dell’informazione, ad eccezione dei fornitori di connettività alle reti, fatto salvo quanto previsto agli articoli 14, 15, 16 e 17 del d.lgs. 9 aprile 2003, n. 70, pongono in essere tutte le misure dirette ad impedire l’accesso ai contenuti dei siti o a rimuovere i contenuti medesimi». Tuttavia, anche in questo caso, non solo si potrebbe opporre la mancanza di un concorso attivo del provider nella commissione di un illecito, ma anche, e soprattutto, la mancanza dei presupposti per l’applicazione della LdA. Come già visto, infatti, il Tribunale penale di Milano, in precedenza, aveva già avuto modo di negare tale qualificazione (16) sulla base dell’assenza dei necessari requisiti di creatività ed originalità. In effetti è difficile rinvenire nei programmi televisivi delle partite di calcio, trasmesse da Sky, quei requisiti di creatività ed originalità propri delle opere dell’ingegno. Mancherebbe, cioè, “la finzione che implica preordinazione”, caratteristica essenziale dell’opera dell’ingegno (filmica). È pur vero, però, che la posizione giuridica vantata da Sky, nel contesto in esame, è quella di titolare di un diritto connesso, disciplinato dagli artt. 78 e 79 LdA, dedicati alla tutela dei diritti sull’emissione radiotelevisiva, al cui titolare è riconosciuta la facoltà esclusiva di autorizzare o meno ogni forma di utilizzazione delle emissioni stesse. In ambito internazionale, l’adozione di provvedimenti inibitori a carico del provider può essere giustificata con riferimento al DMCA statunitense e alla Direttiva 2000/31/CE sul commercio elettronico. Il DMCA statunitense del 1998 rappresenta il primo esempio di disciplina organica della responsabilità degli internet provider (17). Per quello che rileva in questa sede, è opportuno ricordare che tale atto prevede un’esenzione di responsabilità per gli intermediari che come Telecom offrono servizi di connessione ad internet, “facendo ad ogni modo salva la possibilità di adottare anche nei confronti dei semplici prestatori di servizi provvedimenti inibitori come quelli chiesti nell’occasione” (18). Questa disposizione, d’altronde, ha influenzato fortemente il legislatore comunitario nei lavori preparatori della Direttiva 2001/31/CE specie nella formulazione dell’art. 12, ove è riconosciuta la facoltà ad un organo giurisdizionale o amministrativo di imporre al soggetto prestatore di servizi, compresi i provider, di interrompere o porre fine ad una violazione commessa da chi utilizza i suoi servizi. Peraltro, al considerando 45 della medesima direttiva, il legislatore comunitario ha specificato che «le limitazioni di responsabilità dei prestatori intermediari previste nella presente direttiva lasciano impregiudicata la possibilità di azioni inibitorie di altro tipo», lasciando liberi gli Stati membri di prevedere ulteriori forme di tutela. 4. Conclusioni Pur volendo superare le limitazioni evidenziate dalle ordinanze citate, soprattutto con riferimento alla natura di opera dell’ingegno delle immagini riprodotte da Sky, si ritiene necessario porre in evidenza che i riferimenti normativi fino a questo momento citati, evidenziano come l’obiettivo del provvedimento inibitorio deve essere quello di impedire il verificarsi o il ripetersi degli effetti di un comportamento illecito. I risultati che si raggiungono attraverso l’emanazione del provvedimento inibitorio sono due: da un lato far cessare il comportamento illecito già verificatosi, dall’altro imporre all’autore dell’illecito un obbligo di astensione per il futuro da ulteriori comportamenti dei quali sia accertata l’antigiuridicità. Ma, a ben vedere, l’illecito lamentato da Sky è cessato nello stesso momento in cui il giudice ha inibito la prosecuzione delle attività illecite all’altro soggetto imputato, ossia il webmaster del sito TVgratis. Telecom, dal canto suo, non ha partecipato alla commissione di alcun atto illecito, non ha mostrato alcuna volontà in tal senso e quindi non si ritiene che essa possa essere colpita da un provvedimento che deve avere come suo destinatario l’autore della violazione e non un terzo che, peraltro, “non e’assoggettato ad un obbligo generale di sorveglianza sulle informazioni che trasmette o memorizza, ne’ad un obbligo generale di ricercare attivamente fatti o circostanze che indichino la presenza di attività illecite” (art. 17 comma 1, d.lgs. 70/03). Ad ogni buon conto, anche qualora un provvedimento del genere venisse concesso, sarebbe comunque possibile per gli utenti di Internet collegarsi ai siti cinesi (o di altra nazione) incriminati. Questo grazie alla struttura a rete propria di Internet, creata e sviluppata affinché il blocco di un nodo di trasmissione non impedisca che il trasferimento e l’accesso alle informazioni possa essere comunque portato a termine. Non deve, inoltre, sottovalutarsi, come sostenuto da autorevole dottrina (19), che, qualora le ragioni di Sky e degli altri titolari dei diritti sui contenuti fossero accolte, i provider sarebbero costretti ad operare alla stregua di cyberpoliziotti, denunciando i propri clienti con il relativo danno economico e d’immagine che questo comporterebbe. Note: (1) Dalla voce “Internet Service Provider” da http://it.wikipedia.org/wiki/Internet_Service_Provider. (2) Con riferimento alla disciplina dei service provider nel Digital Millenium Copyright Act, D. De Angelis, La musica nell’era digitale, in Ciberspazio e Diritto 2000, vol 1, n. 3, 343 e ss.. (3) N. Ghibellini, La responsabilità del provider: dubbi e perplessità, luglio 2006 su http://www.consulentelegaleinformatico.it/approfondimentidett.asp?id=25. (4) Nel giudizio Sky c/Coolstreaming-Calciolibero, con nota di G. Dalia, Quando lo streaming di calcio non è illegale, in questa Rivista, n. 3/2006, 261 e ss. (5) Peer-to-peer (letteralmente: da pari a pari). In generale, il peer-to-peer (P2P) è un modello di comunicazione nel quale ciascuna delle parti ha le stesse funzionalità e ognuna delle parti può iniziare la sessione di comunicazione, in contrasto con altri modelli come il server/client o il master/slave. In alcuni casi, la comunicazione peer-to-peer viene implementata dando ad ognuno dei nodi di comunicazione le funzionalità di server e client. Nel linguaggio corrente il termine peer-to-peer viene usato per descrivere le applicazioni con le quali gli utenti possono, attraverso Internet, scambiarsi direttamente files con altri utenti. Per quanto concerne Internet, peer-to-peer è un tipo di network transiente che permette ad un gruppo di persone con lo stesso programma, di connettersi e accedere direttamente alle risorse condivise. Napster, Gnutella, Kazaa e altri sono esempi di tali software. Definizione tratta da Glossario Informatico disponibile su http://www.pc-facile.com/glossario/ (6) In argomento si veda, P. Perri, Problematiche giuridiche dei contenuti illeciti veicolati tramite pagine Web in Internet, in corso di pubblicazione, Milano, 2006. (7) Cfr. V. De Sanctis, voce Autore (diritto di), in Enc. Dir., IV, 382 e ss. (8) M. Checchi, Partite di calcio gratis via internet: non è questione di copyright, 4 marzo 2006 in Dir. e Giust. on line. (9) Cfr. A. Longo, Calcio italiano gratis su internet: ma il link è da cartellino rosso?, 30 gennaio 2006 su www.repubblica.it. (10) Così come modificato dal d.lgs. n. 140/2006 attuativo della Dir. 2004/48/CE del 29 aprile 2004 sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (Pubblicata sulla G.U.U.E. L 157 del 30 aprile 2004). (11) L’art. 156 LdA. dispone che «Chi ha ragione di temere la violazione di un diritto di utilizzazione economica a lui spettante in virtù di questa legge, oppure intende impedire la continuazione o la ripetizione di una violazione già avvenuta, può agire in giudizio per ottenere che il suo diritto sia accertato e sia interdetta la violazione». (12) L’art. 14 comma 1 del d.lgs. 70/2003 dispone che «Nella prestazione di un servizio della società dell’informazione consistente nel trasmettere, su una rete di comunicazione, informazioni fornite da un destinatario del servizio, o nel fornire un accesso alla rete di comunicazione, il prestatore non è responsabile delle informazioni trasmesse a condizione che: a) non dia origine alla trasmissione; b) non selezioni il destinatario della trasmissione; c) non selezioni né modifichi le informazioni trasmesse». (13) R. Spreafico, La responsabilità del provider e del fornitore di servizi telematici dopo il d.lgs. 70/2003, luglio 2006 su http://www.interprofessionale.net/dbpdfev/Provider.pdf. (14) L’art. 14 comma 3 del d.lgs. 70/2003 dispone che «L’autorità giudiziaria o quella amministrativa, avente funzioni di vigilanza, può esigere, anche in via d’urgenza, che il prestatore, nell’esercizio delle attività di cui al comma 2, impedisca o ponga fine alle violazioni commesse». (15) Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 22 marzo 2004, n. 72, recante interventi per contrastare la diffusione telematica abusiva di materiale audiovisivo, nonché a sostegno delle attività cinematografiche e dello spettacolo pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 119 del 22 maggio 2004. (16) D. Mula, La trasmissione di eventi sportivi non costituisce opera intellettuale, aprile 2006 in Newsletter n. 3 della cattedra di Diritto dell’economia digitale dell’Università TELMA (17) D. De Angelis, op. cit, 345 e ss. (18) Cfr. Sentenza del Tribunale di Cuneo del 19 ottobre 1999, in AIDA, 2000, 809. (19) A. Monti, “Calcio pirata, nessuna responsabilità per gli ISP” da http://puntoinformatico. it/p.aspx?id=1517095&p=2&r=PI