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Il p2p e’ come un prestito: carenze dell’ultima sentenza spagnola in tema di diritto al link

Diritto Al Link

di Davide Mula

Diritto al linkIn esito alle indagini intraprese da Columbia Tristar ed EGEDA (ente corrispettivo della nostra SIAE), nel 2005 la polizia spagnola aveva effettuato quattro arresti e sequestrato il sito internet di file-sharing CDCDGO.com. L’accusa era di violazione dei diritti di sfruttamento economico delle opere dell’ingegno, con finalità di lucro. Sosteneva, a riguardo, EGEDA che il ricavato della pbblicità attraverso la quale i gestori del sito finanziavano la loro attività dipendeva dal numero di opere messe illecitamente a disposizione degli utenti. Infatti, sulla rete, il numero di visitatori è il parametro di valutazione del quantum economico che gli inserzionisti pagano ai gestori di un sito dipende dal numero di contatti del sito, ovvero, di visibilità del banner o equivalente. Ovviamente, la circostanza che il sito consentisse ai membri di scaricare film situati sulle reti p2p, talvolta anche prima che gli stessi fossero visibili nelle sale cinematografiche, aveva permesso al sito di ricevere, in poco più di un anno, 11 milioni di visite. Sul rapporto sussistente tra opere rese scaricabili, visite sul sito e ricavi pubblicitari EGEDA aveva, dunque, ricostruito la connessione diretta del lucro all’attività di file-sharing. Dopo quasi cinque anni, la Corte Provinciale di Madrid si è pronunciata sul caso, con sentenza inappellabile, sancendo che la condotta posta in essere dai webmaster non costituisce reato in quanto il sito non ospitava effettivamente i file protetti da copyright e non traeva diretto profitto da tali violazioni. La pubblicità in quanto tale, sostengono dunque i giudici, non può essere considerata come ricavo diretto dell’attività illecita. In ossequio al più recente indirizzo giurisprudenziale spagnolo in materia di p2p, basato sul cd. “diritto al link”, i tre giudici hanno così statuito che non è stato commesso nessun reato. In questa pronuncia, tuttavia, si sono spinti oltre il mero riconoscimento del diritto al link, nella parte in cui paragonano il file-sharing alla vetusta pratica di prestito di libri o cd. A riguardo i giudici Oscariz, Gutierrez e Campillo hanno esplicitamente chiarito che “…fin dai tempi antichi ci sono stati prestiti o vendite di libri, film, musica e altro. La differenza ora consiste principalmente nel mezzo utilizzato – in precedenza era carta o un supporto analogico mentre ora tutto è in formato digitale, cosa che consente uno scambio molto più veloce, di qualità più elevata e inoltre con diffusione globale tramite Internet”. L’assenza del lucro sarebbe, dunque, il discrimen tra la liceità o meno della condotta. Ebbene, i giudici spagnoli paiono non aver considerato una differenza fondamentale tra il prestito ed il p2p: nel primo caso, infatti, il soggetto che presta si priva, ancorché temporaneamente, del bene, sia esso un cd, un libro o un film, viceversa nel file-sharing si ha uno sdoppiamento del bene, che entra così nel patrimonio duraturo del secondo soggetto, senza uscire dal patrimonio del primo. Si ritiene, dunque, che il confronto del p2p con il prestito non sia calzante, in quanto quest’ultimo presuppone un supporto materiale consegnato fisicamente. Nella rete, tuttavia, manca questa corporalità dei beni, a favore di una riconosciuta immaterialità del file. Si consideri, ad esempio, la stessa nozione di documento informatico vigente nell’ordinamento italiano, contenuta nel Codice dell’Amministrazione Digitale, d.lgs. n. 82/2005, che nel qualificare il suddetto documento come ogni “rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti” prescinde esplicitamente dal supporto fisico materiale di memorizzazione. Parimenti fuori luogo pare essere il riferimento alla qualità del bene scambiato. Infatti, nel prestito di un libro non si ha una perdita di qualità, possibile, al più, nel caso di fotocopie. Medesima considerazione può essere svolta con riferimento al prestito di supporti analogici come musicassette e vhs dove la copia dell’opera comportava una perdita di qualità. In altri termini, anche in relazione al dato qualitativo, i giudici sembrano aver frainteso tra copia analogica, in passato tollerata in virtù della scarsa diffusione del fenomeno, prestito e copia digitale. Il confronto compiuto dai giudici spagnoli, ancorché suggestivo, non pare correttamente inquadrato e, comunque, non importabile nel nostro ordinamento. Scarica la sentenza della Corte Provinciale di Madrid [pdf]
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