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Le pratiche commerciali scorrette tornano ad AGCM…o forse no? Un primo imprevisto effetto della pubblicazione del D.lgs.n.21/2014

di Giulio Pascali Abstract Il Governo Italiano ha recentemente introdotto, nel decreto legislativo di recepimento della più recente normativa comunitaria sui diritti dei consumatori nei contratti a distanza (Direttiva 2011/83/UE), una disposizione che restituisce all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato la competenza in materia di c.d. “pratiche commerciali scorrette” nei confronti dei consumatori. Il provvedimento adottato, tuttavia, se da una parte sana la discrepanza normativa venutasi a creare a seguito delle pronunce in Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato nn. 11, 12, 13, 15 e 16 del 2012, dall’altra rischia di aprire un nuovo fronte conflittuale con l’UE, introducendo, per caso o miratamente, una esenzione alla competenza di AGCM dai contenuti impropri e di difficile interpretazione. Sommario:

  1. Premessa.
  2. I principi alla base del D.lgs. n.21/2014.
  3. La struttura dello schema di decreto e quella del provvedimento adottato.
  4. Criticità della clausola dei 50 Euro.

 

1. Premessa.

Con il D.lgs. n. 21 del 21 febbraio 2014, pubblicato nella G.U. n. 58 del 11 marzo 2014), è stata recepita in Italia la Direttiva 2011/83/UE sui diritti dei consumatori. La Direttiva introduce a livello comunitario le più recenti innovazioni nell’ambito della tutela del consumatore, con speciale riguardo ai contratti conclusi a distanza e al di fuori dei locali commerciali. L’occasione dell’attuazione della normativa comunitaria è stata altresì sfruttata dal Governo per porre fine alla procedura di infrazione UE n. 2013/2169 [1], avviata a seguito delle statuizioni dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 11, 12, 13, 15 e 16 del 15 maggio 2012[2], riaffermando la competenza esclusiva dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nei confronti delle c.d. “pratiche commerciali scorrette”. La gestazione del provvedimento è stata rapida ed orientata a sanare i vizi segnalati dall’UE; alcune norme apparse in sede di conversione dello schema di decreto legislativo rischiano, tuttavia, di vanificare gli sforzi del legislatore e di aprire un nuovo fronte contenzioso interno e comunitario.

2. I principi alla base del D.lgs. n. 21/2014.

Il decreto in commento, come premesso, nasce quale recezione della Direttiva 2011/83/UE, il cui termine ultimo di attuazione era stabilito per il 13 dicembre 2013 [3]. La normativa comunitaria attuata[4] introduce una serie di obblighi addizionali in capo al professionista nell’esercizio della propria attività, per tutti i contratti sottoscritti con i consumatori: a partire dal 14 giugno 2014, sia per i contratti a distanza e i contratti negoziati fuori dei locali commerciali, che per i contratti che non rientrano in tali specifiche tipologie, il professionista è tenuto a fornire maggiori e più specifiche informazioni preliminari; cambiano anche le modalità e le tempistiche per l’esercizio del diritto di recesso, ad evidente beneficio dei consumatori. Nulla però stabilisce la direttiva in questione circa l’autorità competente per la tutela del consumatore per ciò che attiene le c.d. pratiche commerciali scorrette. In effetti, la disciplina di tali situazioni[5] è contenuta nella Direttiva 2005/29/CE (c.d. “direttiva sulle pratiche commerciali sleali” o “direttiva PCS”) [6], cheprevede la possibilità, per gli Stati Membri, di istituire “un’autorità amministrativa competente a giudicare in merito ai ricorsi”, e di conferire alla stessa ampi poteri di indagine e sanzione (art. 11-12). La decisione dell’Unione Europea di avviare una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia pone, nello specifico, il problema della prevalenza delle norme comunitarie in materia di pratiche commerciali scorrette rispetto ad ogni altra norma interna in contrasto con le stesse, affermata nella Direttiva PCS[7]. Contrariamente a quanto ritenuto dal Consiglio di Stato nell’Adunanza Plenaria del 15 maggio 2012 [8], insomma, quando in un settore regolato e dotato di propria Autorità competente si verificano comportamenti qualificabili come “pratiche commerciali scorrette” (rectius: sleali), e non esiste una disciplina di dettaglio per contrastare le stesse nello specifico settore, secondo l’Unione Europea la normativa antitrust prevale sempre su quella del settore di riferimento, e dunque anche la competenza dell’Autorità Antitrust nazionale prevale su quella di qualsiasi altra Autorità settoriale[9]. A ben vedere, tale principio era già presente, seppure in una formulazione poco chiara, nel nostro ordinamento: a seguito delle pronunce del Consiglio di Stato, infatti, era stata adottata una specifica disposizione (ora abrogata da Decreto Legislativo in commento)[10], secondo la quale […]in materia di pratiche commerciali scorrette, la competenza ad accertare e sanzionare […] è dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato, escluso unicamente il caso in cui le pratiche commerciali scorrette siano poste in essere in settori in cui esista una regolazione di derivazione comunitaria, con finalità di tutela del consumatore, affidata ad altra autorità munita di poteri inibitori e sanzionatori e limitatamente agli aspetti regolati[…]“. Una corretta interpretazione di tale previsione, nel rispetto dei sopra menzionati principi di diritto della Direttiva PCS, non avrebbe necessariamente implicato la violazione delle norme comunitarie: non esistendo, infatti, in Italia una specifica autorità di settore munita di poteri inibitori e sanzionatori superiori o più specifici di quelli dell’Antitrust, in materia di pratiche commerciali scorrette la competenza sarebbe dovuta rimanere saldamente in capo all’AGCM. Una interpretazione più rigorosa della citata disposizione normativa avrebbe dunque reso non necessario l’intervento normativo in commento. Va però considerato che l’ambigua formulazione della norma ha evidentemente indotto l’UE [11] a ritenerne prevalente un’altra interpretazione, decisamente più contrastante con il diritto comunitario, che escludeva la competenza di AGCM ogni qual volta fosse stata presente altra Autorità in un settore regolato, a prescindere dal contenuto dei poteri detenuti da tale ultima Autorità. Chiarito, in ogni caso, il principio alla base dell’attuazione proposta dal legislatore italiano, andiamo ad esaminarne brevemente i contenuti.

3. La struttura dello schema di decreto e quella del provvedimento adottato.

Lo schema di Decreto Legislativo licenziato dal Governo nel Consiglio dei Ministri del 3 dicembre 2013 [12], si componeva di due articoli: – l’art. 1 conteneva: a) le modifiche che rafforzavano la tutela del consumatore nei contratti conclusi a distanza e fuori dai locali commerciali, realizzate tramite la sostituzione degli articoli da 45 a 67 del Codice del Consumo (comma 1); b) l’introduzione, nello stesso Codice del Consumo, di uno schema universale per il modulo di recesso che il professionista deve sempre rendere disponibile al consumatore acquirente (comma 2); c) la riaffermazione della competenza esclusiva di AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette (comma 2-bis); d) l’abrogazione della precedente disposizione che disciplinava la prevalenza della normativa antitrust, i cui dubbi interpretativi abbiamo già riassunto nel precedente paragrafo (comma 2-ter, che abroga il comma 12-quinquiesdecies dell’art. 23 della legge n. 135/2012); e) le modifiche numeriche e dei riferimenti presenti nel Codice del Consumo, in conseguenza delle innovazioni introdotte (commi 3 e 4); – l’art. 2 conteneva invece le disposizioni finali, la più importante delle quali stabiliva che i nuovi articoli sostituiti nel Codice del Consumo avrebbero trovato applicazione ai contratti conclusi dopo il 13 giugno 2014, data di entrata in vigore delle nuove previsioni normative[13]. Come si è accennato, l’iter parlamentare del provvedimento in parola è stato breve: lo schema di decreto è uscito senza modifiche materiali dall’esame delle commissioni permanenti delle due camere, ed ha ricevuto solo generici “inviti” a rafforzare alcune tutele per il consumatore. Nessuna richiesta di modifica ha coinvolto la riaffermata competenza di AGCM, che è stata anzi plaudita dai relatori assegnati delle commissioni di esame come migliore soluzione di garanzia della tutela dei consumatori [14]. Venendo al decreto adottato [15], i contenuti dell’originario schema sono rimasti quasi immutati:

  • nella prima parte sono presenti le modifiche al Codice del Consumo già accennate, unitamente all’abrogazione delle disposizioni precedentemente in vigore sul riparto di competenza tra AGCM e le Autorità di settore (art.1);
  • nella seconda parte sono presenti le disposizioni finali, ed in specie quella sull’entrata in vigore delle modifiche al Codice del Consumo che riguardano gli obblighi informativi per il professionista, a partire dai contratti stipulati dopo il 13 giugno 2014 (art. 2);

  A prima vista, dunque, poco sembra cambiato nel provvedimento finale, rispetto allo schema iniziale. Tuttavia, le pur lievi modifiche che hanno interessato la struttura del provvedimento nella sua versione finale hanno un impatto di estremo rilievo sul riparto di competenza tra AGCM e le altre Autorità di settore. Alla luce del decreto adottato, infatti, si verifica una anomala sovrapposizione di previsioni normative: l’art. 67 del Codice del Consumo, infatti, ora modifica l’art. 27 del Codice stesso, introducendovi la competenza esclusiva di AGCM per le pratiche commerciali scorrette. I commi 6 e 7 dell’articolo in questione recitano: 6. All’articolo 27 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, sono apportate le seguenti modificazioni: a) dopo il comma 1 è inserito il seguente: “1-bis. Anche nei settori regolati, ai sensi dell’articolo 19, comma 3, la competenza ad intervenire nei confronti delle condotte dei professionisti che integrano una pratica commerciale scorretta, fermo restando il rispetto della regolazione vigente, spetta, in via esclusiva, all’Autorità garante della concorrenza e del mercato, che la esercita in base ai poteri di cui al presente articolo, acquisito il parere dell’Autorità di regolazione competente. Resta ferma la competenza delle Autorità di regolazione ad esercitare i propri poteri nelle ipotesi di violazione della regolazione che non integrino gli estremi di una pratica commerciale scorretta. Le Autorità possono disciplinare con protocolli di intesa gli aspetti applicativi e procedimentali della reciproca collaborazione, nel quadro delle rispettive competenze.”; […] 7. Il comma 12-quinquiesdecies dell’articolo 23 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, è abrogato.” Siamo, in sostanza, davanti al peculiare caso di una disposizione di legge che modifica un’altra disposizione presente nello stesso testo di legge![16] Non è, tuttavia, la mera questione formale della struttura del decreto legislativo o del Codice del Consumo modificato a destare perplessità in chi scrive, quanto piuttosto le implicazioni di diritto sostanziale che tale impropria formulazione porta con sé.

4. Criticità della clausola dei 50 Euro.

Rimandando l’analisi delle innovazioni a tutela del consumatore introdotte dal provvedimento ad una più approfondita trattazione in altra sede, occorre ora soffermare l’attenzione su una prima, grave criticità, che emerge dalla lettura del provvedimento in commento (e soprattutto dalle modifiche introdotte in sede di conversione, evidenziate alla fine del paragrafo che precede). Questo perché tali modifiche potrebbero compromettere in larga parte lo scopo di rimozione della procedura di infrazione comunitaria, sulla base del quale il decreto legislativo in commento è stato adottato. Particolari perplessità sorgono, in particolare, relativamente alla introdotta limitazione economica al potere di intervento di AGCM in materia di pratiche commerciali scorrette nel settore dei contratti a distanza o negoziati al di fuori dei locali commerciali. Il testo del nuovo articolo 47 del Codice del Consumo, come introdotto dal decreto legislativo in commento, è, infatti, destinato a creare alcune peculiari perplessità interpretative, se letto in relazione al nuovo art. 67 del Codice stesso. Nel dettaglio, secondo la norma in esame qualora l’importo singolo o cumulativo corrisposto dal consumatore al professionista sia inferiore a 50 Euro, al rapporto instaurato non si applicano le disposizioni contenute negli articoli da 48 a 67 del Codice del Consumo (tale è infatti l’estensione delle sezioni da I a IV del Capo riformato)[17]. Tale esclusione, forse introdotta per esentare gli acquisti di modico valore dagli obblighi informativi stabiliti per i contratti a distanza o negoziati al di fuori dei locali commerciali, si traduce però in una pericolosa complicazione, considerato il contenuto dei citati commi 6 e 7 dell’art. 67: secondo la ricostruzione appena effettuata, infatti, in caso si verifichi una pratica commerciale scorretta di qualsiasi tipo del valore inferiore a 50 euro, l’AGCM non avrebbe titolo ad intervenire a tutela del consumatore [18]. Una esenzione di tale portata, se può forse apparire funzionale in rapporto a specifici settori merceologici e servizi “tradizionali”, è però destinata a creare notevoli complicazioni ed incoerenze[19] se considerata in rapporto a settori più innovativi e digitali, dove gli importi oggetto di contestazione possono essere o meno inferiori a 50 euro: una pratica commerciale scorretta posta in essere nel settore dei servizi c.d. “a sovrapprezzo” [20], ad esempio, potrebbe diventare di volta in volta di competenza dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni o dell’Antitrust, a seconda degli importi effettivamente addebitati all’utente-consumatore [21]; la norma, dunque, ha il paradossale effetto di complicare l’individuazione dell’Autorità competente a sanzionare le condotte qualificate come pratiche commerciali scorrette. Se poi si aggiunge a tale obiettiva incertezza sulle tutele anche la naturale possibilità di errori di valutazione da parte delle Autorità coinvolte, nonché la possibilità per il professionista di compiere specifiche azioni per privare, di volta in volta, l’una o l’altra Autorità della rispettiva competenza [22], l’esenzione rischia di creare un sensibile aggravio procedurale ed economico non solo per i consumatori, ma anche per le Autorità coinvolte e per l’amministrazione stessa dello Stato. Se non sarà posto rimedio a questo cortocircuito normativo, è peraltro probabile che l’AGCM entri nuovamente in conflitto con altre Autorità di settore, riproducendo una situazione analoga a quella che nel 2012 ha portato alle sentenze dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato. Da ultimo, è opportuno considerare anche che l’esenzione per modico valore delle cifre coinvolte in una pratica commerciale non è ipotesi contemplata nella Direttiva 2005/29/CE, e sembra anzi confliggere con lo scopo stesso di tale direttiva, come evidente dal testo della diffida della Commissione Europea all’origine alla procedura di infrazione n. 2013/2169. L’adozione del D.lgs. 21/2014[23] potrebbe dunque costituire motivo per l’apertura di una nuova procedura di infrazione di normativa comunitaria, da parte dell’Unione Europea, o, peggio, di aggravio e prosecuzione di quella già avviata, con passibilità di sanzioni per il nostro paese. Note: [*] Il presente contributo è stato preventivamente sottoposto a referaggio anonimo affidato ad un componente del Comitato di Referee secondo il Regolamento adottato da questa Rivista. [1] La diffida della Commissione UE, pervenuta presso la rappresentanza permanente Italiana a Bruxelles il 18 ottobre 2013, contesta la “applicazione inadeguata dell’articolo 3, paragrafo 4, e degli articoli da 11 a 13” della Direttiva 2005/29/CE. [2] Si veda in proposito l’analisi critica, non limitata al solo settore delle telecomunicazioni, compiuta da R.Caponigro “L’actio finium regundorum tra l’Autorità antitrust e le altre Autorità indipendenti”, Relazione al Convegno Nazionale di Studi “Le Autorità amministrative indipendenti. Realtà attuali e prospettive future”, disponibile all’indirizzo http://www.giustizia-amministrativa.it/documentazione/studi_contributi/caponigro-actio_finium_regundorum.htm, e, più specificamente sul conflitto di attribuzione di poteri tra AGCM ed AGCOM, nonché G.Nava “La competenza in materia di tutela dei consumatori nei servizi di comunicazione elettronica tra normativa comunitaria e principi costituzionali”, in Diritto dell’Internet – manuale operativo, G.Cassano/G.Scorza/G.Vaciago (a cura di), CEDAM, 2013, 107-164. [3] Recita, infatti, il paragrafo 1 dell’art. 28 della Direttiva 2011/83/UE: “Gli Stati membri adottano e pubblicano, entro il 13 dicembre 2013, le disposizioni legislative, regolamentari e amministrative necessarie per conformarsi alla presente direttiva.[…]” (il testo integrale della Direttiva è reperibile all’indirizzo http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2011:304:0064:0088:IT:PDF). [4] Rubricata “sui diritti dei consumatori, recante modifica della direttiva 93/13/CEE del Consiglio e della direttiva 1999/44/CE del Parlamento europeo e del Consiglio e che abroga la direttiva 85/577/CEE del Consiglio e la direttiva 97/7/CE del Parlamento europeo e del Consiglio”. [5] E cioè quelle in cui viene a trovarsi un consumatore nei confronti di un professionista che adotti specifiche modalità e/o comportamenti commissivi od omissivi, al solo fine di falsare in maniera apprezzabile il comportamento economico di un consumatore nella media. La definizione di pratica commerciale scorretta si ricava, a livello normativo, dalla sintesi delle previsioni agli articoli 20 e 21 del D.lgs. n. 205/2006 (Codice del Consumo). L’art. 20, comma 2, stabilisce infatti che “una pratica commerciale è scorretta se è contraria alla diligenza professionale, ed è falsa o idonea a falsare in misura apprezzabile il comportamento economico, in relazione al prodotto, del consumatore medio che essa raggiunge o al quale è diretta o del membro medio di un gruppo qualora la pratica commerciale sia diretta a un determinato gruppo di consumatori”, mentre secondo l’art. 21, comma 1, del Codice, “è considerata ingannevole una pratica commerciale che contiene informazioni non rispondenti al vero o, seppure di fatto corretta, in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, induce o è idonea ad indurre in errore il consumatore medio riguardo ad uno o più dei seguenti elementi e, in ogni caso, lo induce o è idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso […]” Segue, nel medesimo articolo, una lista degli elementi fondamentali per una corretta informativa del consumatore. Sulla nozione di “consumatore medio”, si veda G.De Cristofaro “Il divieto di pratiche commerciali sleali. La nozione generale di pratica commerciale <<sleale>> e i parametri di valutazione della <<slealtà>>” in Le <<pratiche commerciali sleali>> tra imprese e consumatori, G.De Cristofaro (a cura di), Giappichelli, 2007, 119 ss., V.Meli “Diligenza professionale, consumatore medio e regola di de minimis nella prassi dell’AGCM e nella giurisprudenza amministrativa” in La tutela del consumatore contro le pratiche commerciali scorrette nei mercati del credito e delle assicurazioni, V.Meli/P.Marano (a cura di), Giappichelli, 2011, 1 ss. In materia di pratiche commerciali scorrette, si segnala F.Massa, voce “Pratiche commerciali scorrette” in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XVI, l’analisi compiuta da E.Guerinoni “Le pratiche commerciali scorrette – fattispecie e rimedi”, Giuffré, 2008, 1 ss., nonché A.Genovese (a cura di) “I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette – attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE”, CEDAM, 2008, p.27 ss. Sulle nozioni di consumatore e professionista, nell’ambito della disciplina delle pratiche commerciali scorrette, si veda anche A.Stazi “La nozione di consumatore nella normativa e nella giurisprudenza comunitaria e nazionale” in DIMT (https://www.dimt.it/2011/03/15/la-nozione-di-consumatore-nella-normativa-e-nella-giurisprudenza-comunitaria-e-nazionale/), e A.Stazi/D.Mula “Il Consumatore, la pubblicità e le pratiche commerciali scorrette” in Il Diritto dei Consumatori – profili applicativi e strategie Processuali, G.Cassano/M.Di Giandomenico (a cura di), CEDAM, 2010, 117 ss. [6] La Direttiva è disponibile in versione italiana integrale all’indirizzo: http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2005:149:0022:0039:it:PDF . Riguardo l’attuazione della Direttiva in Italia, si veda L.G.Vigoriti “Verso l’attuazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali”, in Europa e Diritto Privato, 2007, 521 ss., G.De Cristofaro “Il decreto legislativo n. 146 del 2 agosto 2007, attuativo della Direttiva 2005/29/CE” in Studium Iuris, 2007, 11, 1181 ss., C.Tuveri “Il decreto sulle pratiche commerciali scorrette. Una nuova frontiera in tema di tutela del consumatore” in Giurisprudenza di merito, 2008, 1830 ss., C.Granelli “Le “pratiche commerciali scorrette” tra imprese e consumatori: l’attuazione della direttiva 2005/29/CE modifica il codice del consumatore” in Studi in onore di Giorgio Cian, 2010, I, 1233 ss., e G.Howells “Unfair Commercial Practices Directive – A missed opportunity?” in The Regulation of Unfair Commercial Practices under EC Directive 2005/29. New Rules and New Techniques, S.Weatherill/U.Bernitz (a cura di), Hart, 2007, 103 ss. [7] L’art. 3, comma 4, della Direttiva PCS recita infatti: “in caso di contrasto tra le disposizioni della presente direttiva e altre norme comunitarie che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali, prevalgono queste ultime e si applicano a tali aspetti specifici”. Per una analisi più completa sul riflesso di tale principio sui poteri delle Autorità indipendenti, si rimanda a M.Clarich “La competenza delle autorità indipendenti in materia di pratiche commerciali scorrette” in Giurisprudenza Commerciale, 2010, I, 688 ss. [8] Nella sentenza n.11/2012 (ma il principio è contenuto, mutatis mutandis, anche nelle sentenze nn. 12, 13, 15 e 16 del 2012), il Consiglio di Stato in Adunanza Plenaria ha sostenuto una interpretazione restrittiva delle previsioni di competenza AGCM di cui all’art. 19 del Codice del Consumo, argomentando, in base al considerando 10 della Direttiva 2005/29/CE, che “la disciplina di carattere generale [e cioè la disciplina antitrust] si applica soltanto qualora non esistano norme di diritto comunitario che disciplinino aspetti specifici delle pratiche commerciali sleali; in pratica, essa offre una tutela ai consumatori ove a livello comunitario non esista una legislazione di settore. Alla luce di questa impostazione occorre leggere, pertanto, quanto previsto all’art. 3, comma 4, della medesima direttiva, trasfuso nell’art. 19, comma 3, del Codice del consumo, secondo cui prevale la disciplina specifica in caso di contrasto con quella generale: il presupposto dell’applicabilità della norma di settore non può essere individuato solo in una situazione di vera e propria antinomia normativa tra disciplina generale e speciale, poiché tale interpretazione in pratica vanificherebbe la portata del principio affermato nel considerando 10, confinandolo a situazioni eccezionali di incompatibilità tra discipline concorrenti”. Sul punto, si rimanda alle analisi già compiute da V.Mosca “Il riparto di competenza tra Agcm e Agcom in materia di tutela del consumatore a 18 mesi dall’Adunanza Plenaria: lo “stato dell’arte” e i possibili sviluppi” in Quaderni di DIMT, Anno III, n.3, 26 ss. (https://www.dimt.it/2013/10/30/il-riparto-di-competenza-tra-agcm-e-agcom-in-materia-di-tutela-del-consumatore-a-18-mesi-dalladunanza-plenaria-lo-stato-dellarte-e-i-possibili-sviluppi/), G.Nava “Il conflitto tra istituzioni sulla competenza nella tutela dei consumatori nei mercati regolati: una proposta risolutiva?” in DIMT (https://www.dimt.it/2014/01/14/il-conflitto-tra-istituzioni-sulla-competenza-nella-tutela-dei-consumatori-nei-mercati-regolati-una-proposta-risolutiva/) e C.Osti “La tutela del consumatore tra concorrenza e pratiche commerciali scorrette” in I contratti nella concorrenza, A.Catricalà/G.Gabrielli (a cura di), UTET, 2011, 423 ss. Sulla posizione del Consiglio di Stato, si veda anche M.A.Sandulli “Sanzioni amministrative e principio di specialità, riflessioni sull’unitarietà della funzione afflittiva” in www.giustamm.it, Anno IX, n.7/2012. [9] Nel testo della diffida si legge come la Commissione abbia preliminarmente sentito le autorità italiane in occasione  del caso EU-pilot 4261/12/JUST. “A seguito dell’esame di tali risposte, la Commissione è giunta alla conclusione che l’attuazione della direttiva in Italia non è conforme al diritto dell’Unione. In particolare, le informazioni fornite dalle autorità italiane hanno confermato che il vigente quadro giuridico e la sua applicazione da parte degli organi giurisdizionali sono divenuti incompatibili con le disposizioni della direttiva poiché contrastano con il suo carattere di armonizzazione piena e non garantiscono la sua corretta applicazione”. Sul concetto di armonizzazione comunitaria nel settore delle pratiche commerciali scorrette, si veda G.De Cristofaro “La direttiva n. 05/29/CE e l’armonizzazione completa delle legislazioni nazionali in materia di pratiche commerciali sleali”, in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2009, 1061 ss. [10] Art. 23, comma 12-quinquiesdecies del D.l. 6 luglio 2012, n.95, convertito, con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 135. [11] Ma non solo: la stessa AGCM, con delibera n.24467 del 23 luglio 2013, si spogliava di specifici settori di competenza, in favore di AGCOM (si veda, per il dettaglio, il Bollettino n.38/2013 di AGCM, reperibile all’indirizzo http://www.agcm.it/trasp-statistiche/doc_download/3829-38-13.html). [12] Si veda, per il dettaglio, la pagina della Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo Italiano relativa allo schema approvato il 3 dicembre 2013, all’indirizzo http://governo.it/Governo/Provvedimenti/dettaglio.asp?d=73975 . [13] Tale previsione è conforme al dettato del paragrafo 2 dell’art. 28 della Direttiva 2011/83/UE, a mente del quale gli Stati Membri “applicano tali misure a decorrere dal 13 giugno 2014”. [14] Si vedano, sul punto, per il dettaglio delle attività di esame dello schema adottando, la pagina web dedicata del Senato della Repubblica (http://www.senato.it/leg/17/BGT/Schede/docnonleg/26391.htm), nonché il bollettino del 21 dicembre 2013 della Commissione X sulle attività produttive, commercio e turismo della Camera dei Deputati (http://documenti.camera.it/leg17/resoconti/commissioni/bollettini/html/2013/12/21/10/comunic.htm) ed il resoconto sommario n. 38 della seduta del 14 gennaio 2014 della Commissione XIV sulle Politiche dell’Unione Europea presso il Senato (http://www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp?tipodoc=SommComm&leg=17&id=734889) ; [15] Reperibile in versione integrale sul sito della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana, al seguente indirizzo: http://www.gazzettaufficiale.it/do/gazzetta/downloadPdf;jsessionid=fGMhofFqlfEbVBqjdf85Ew__.ntc-as4-guri2b?dataPubblicazioneGazzetta=20140311&numeroGazzetta=58&tipoSerie=SG&tipoSupplemento=GU&numeroSupplemento=0&estensione=pdf&edizione=0 . [16] Si tratta di un vero e proprio errore in sede di conversione, di difficile identificazione ed originato dalla inavvertita mescolanza del contenuto che avrebbe dovuto avere il nuovo articolo 67 del Codice, e le disposizioni di attuazione del Decreto Legislativo. Altrimenti, non si spiegherebbe per quale motivo l’articolo 67 sia dotato di ben due secondi commi, e di numerose altre inappropriate aperture e chiusure di apici e paragrafi, che provocano il certamente non voluto risultato che si evidenzia nel presente contributo. Solo da impercettibili indizi si può desumere di essere in presenza di un mero errore. Una constatazione di questo genere non elimina, tuttavia, gli effetti imprevisti che ci si appresta a trattare. [17] Il comma 2 dell’articolo 47 stabilisce, testualmente, che “le disposizioni delle Sezioni da I a IV del presente Capo non si applicano ai contratti negoziati fuori dei locali commerciali in base ai quali il corrispettivo che il consumatore deve pagare non è superiore a 50 euro. Tuttavia, si applicano le disposizioni del presente Capo nel caso di più contratti stipulati contestualmente tra le medesime parti, qualora l’entità del corrispettivo globale che il consumatore deve pagare, indipendentemente dall’importo dei singoli contratti, superi l’importo di 50 euro”. [18] Non è chiaro a chi scrive se la portata di tale esenzione sia stata mal calcolata dal legislatore, oppure se la situazione venutasi a creare sia il semplice frutto di errori in sede di conversione dello schema di decreto legislativo. [19] Con ciò nuovamente violando il principio della lex specialis sancito dall’articolo 3, paragrafo 4 della Direttiva PCS. Si veda, sul rapporto tra clausole generali e disposizioni di dettaglio, non solo in ambito comunitario, M.Libertini “Clausola generale e disposizioni particolari”, in I decreti legislativi sulle pratiche commerciali scorrette – attuazione e impatto sistematico della direttiva 2005/29/CE, A.Genovese (a cura di), CEDAM, 2008, 27 ss. [20] Si tratta di servizi di vario contenuto informativo e/o ludico, disciplinati dal D.M. Comunicazioni 2 marzo 2006, n. 145, ed erogati verso telefoni fissi e mobili tramite numerazioni a ciò specificamente adibite dal vigente Piano di Numerazione Nazionale (Delibera 52/12/CIR AGCOM e s.m.i.), che sono direttamente tariffati all’utente con un “sovrapprezzo” sul normale costo di una telefonata; tali servizi, già noti alle cronache dottrinarie e giudiziali, sono soggetti, per espressa previsione di legge, alla obbligatoria vigilanza degli operatori di comunicazione elettronica e del Ministero dello Sviluppo Economico. Il settore ha tuttavia visto l’alternato interesse, negli ultimi anni, anche dell’AGCM e dell’AGCOM, che da ultimo si sono contese la competenza a sanzionare le pratiche commerciali scorrette poste in essere dai vari soggetti che operano in tale mercato. Per una sintesi sull’evoluzione normativa del settore, si veda G.Nava “L’evoluzione della regolamentazione dei servizi a sovrapprezzo sulle reti mobili” in Quaderni di DIMT, Anno II, n.2-3, 57 ss., disponibile all’indirizzo https://www.dimt.it/wp-content/uploads/2012/10/DIMT2-3_2012.pdf . [21] Gli addebiti per i servizi a sovrapprezzo sono soggetti a specifici e stringenti limiti economici settimanali e mensili, che variano a seconda della fornitura degli stessi in abbonamento oppure in singola occasione. Mettendo in relazione tali limiti di prezzo con le previsioni di competenza per pratiche commerciali scorrette di cui al D.lgs. 21/2014, emerge un quadro in base al quale uno stesso servizio, in conseguenza del fatto che il totale delle somme addebitate all’uno o all’altro consumatore superi o meno 50 Euro, potrebbe essere di volta in volta soggetto ad accertamenti e sanzioni non solo da parte del Ministero dello Sviluppo Economico, ma anche, alternativamente, dell’AGCM o dell’AGCOM. [22] A titolo d’esempio, la politica contrattuale di prezzi alti o bassi adottata da un professionista, potrebbe essere funzionale ad una “scelta” dell’Autorità che potrà legittimamente andare a valutare il suo comportamento nei confronti dei consumatori. [23] La cui entrata in vigore, per le parti non interessate dalle previsioni di cui all’art. 2, comma 1, era naturalmente prevista nell’ordinario termine di 15 giorni dalla pubblicazione in G.U. e, dunque, per il 26 marzo 2014. Scarica il contributo [pdf] Scarica il quaderno Anno IV – Numero 1 – Gennaio/Marzo 2014 [pdf] 

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